sabato 9 novembre 2013

Don Francesco, il cavaliere di Cristo

“L’ottica tutta vassallatica” del linguaggio di Francesco è dura da ingoiare ma nella preparazione del “santo” è indubbia: il Poverello di Assisi a lungo resta imbevuto di romanzi cavallereschi,di nobili cavalieri e principesse. Fino alla prova del fuoco, cui sfida il sultano d’Egitto Mālik Kāmil. Cavaliere è colui che si annulla nell’impresa, a maggior gloria di Madonna Povertà, del Re dei Cieli. Fino a rifare la Passione con le stimmate, Crocifisso deposto. Sempre devoto al suo re, che lo ama e lo protegge – Francesco ne ebbe tre, tre papi benevoli malgrado il suo radicalismo.
È sulla scorta dei romanzi che Francesco si avvia verso la Puglia, a combattere per Gualtieri di Brienne, avviando l’avventura francescana. Parte anche per allontanarsi dalla vita familiare di negoziante di stoffe, e di piccola usura. A Spoleto, alla prima tappa del viaggio, si scopre già stanco, torna indietro, e riprende la solita vita, di scherzi e banchetti. Ma il rovello s’è già installato, che ne muterà i sogni di grandezza. Tutti sognano, del resto, nell’esperienza francescana: Francesco, i vescovi, i papi. Sogni decisivi. E usano per decidere le sortes apostolorum, così come ogni cavaliere decide per “segni”: l’apertura a caso dei vangeli, da cui trarre “a caso”, dove l’occhio si posi per prima, i precetti da seguire. “Francesco pensava con le sequenze del sogno, dove in  un attimo si congiungono tempi e luoghi; non calcolava secondo ritmi umani”. Una storia fin qui non eccezionale - come quella del papa: papa Francesco ha avuto anch’egli la vocazione tarda, sui 25 anni, e come il santo si fa sensibile e giulivo, non promuovendo rivoluzioni ma testimoniando la fede. Ma sì se si riflette che la “storia francescana”, leggendaria, rivoluzionaria e duratura, è durata vent’anni, non di più: il vero miracolo è questo.
Sogni e chansons de geste: è il pregio di questa ricostruzione di Chiara Frugoni, allieva del padre Arsenio, lo studioso del sulfureo Arnaldo da Brescia. Che sa dirla breve e persuasiva. Arricchita, oltre che da tutta la letteratura del tempo, di cui Francesco era avido consumatore, dall’iconologia - miniature, rilievi, affreschi - che la studiosa padroneggia come le parole. Emula in questo di dame Frances Yates, pioniera delle immagini come fonti storiche. Anche “il prodigio della predica agli uccelli” spiega che era in qualche modo già scritto. Il “Cantico delle  creature” naturalmente no, quello è un unicum. Ma, insomma, anche i santi hanno una storia. In aggiunta alle “fonti” formative di san Francesco, molto conta anche il modo, anzi i vari modi, come la sua brevissima e pienissima biografia fu gestita dopo la morte: si può essere santi per molteplici aspetti.
Il Poverello di Assisi non fu prete né monaco. Fu un cavaliere della parola, con le armi della povertà volontaria: “Per Francesco il luogo della vita religiosa è il libero spazio da percorrere in un perpetuo cammino”. Un cammino di liberazione: “La povertà volontaria è libertà fisica – costringe a camminare e camminare – ma soprattutto libertà mentale”. Voglia e capacità di osare. Tutto è andato per il meglio, ma i suoi vent’anni di apostolato sono da don Chisciotte, niente in lui è meno visionario, nella gioia creativa invece che nella malinconia.
Parlando il francese, fosse o non di madre francese, Francesco crebbe con i cavalieri della Tavola Rotonda e la poesia cortese. Fino al punto da derivare il nome come soprannome: “Può darsi che il sopranome sia stato dato a Francesco già grande per l’entusiasmo con cui leggeva, in quei tempi necessariamente in francese, le «canzoni di gesta», i romanzi di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda”. Le sue gesta e anche il suo linguaggio ne risentiranno: tracciarne le fonti recondite è un’altra avventura, nella già eccezionale avventura del Poverello. È una tela di fondo che troppo spesso si trascura. Prima che di don Chisciotte sarà quella di una altro santo vicino a papa Francesco, sant’Ignazio di Loyola, che ne dà lui stesso certificazione nell’autobiografia che dettò, il “Racconto del Pellegrino” - Ignazio che “si convertì” cogitando: “Cosa avverrebbe, se io facessi ciò che ha fatto san Francesco e ciò che ha fatto san Domenico?”
Non è la sola novità. Molto nella vicenda di Francesco contano i sogni, le visioni dei sogni. Dei sogni da intendere come “residui diurni”, delle letture le fantasie che le accompagnano. Dei sogni che informano una vita, tante vite, anche potenti. Negli esiti più inattesi, tragici, rivoluzionari – senza mai menzionare Freud, privilegio da medievista. 
Chiara Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi

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