Non ci sono criteri oggettivi per un
fallimento. Si dice che ci sono ma sono soggettivi. Il patrimonio,
l’indebitamento, gli attivi, sono tutti valori soggetti a valutazione. Gli
stessi indici previsti per legge o per disposizione delle Autorità di
sorveglianza sono soggetti a interpretazione. In alcuni casi si applicano, in
altri no. Mentre è – dovrebbe essere – interesse dei creditori evitare le
insolvenze.
Un “caso Fonsai” molto scoperto è stato il
San Raffaele di Milano, l’azienda ospedaliero-universitaria di don Verzé. La
maggiore banca creditrice, l’Intesa di Bazoli, si agitò molto per portarla al
fallimento – contro ogni suo interesse apparente. Attivando in tal senso la
Procura di Milano, con la famosa seconda perizia. Il Procuratore Capo di Milano
in persona, Bruti Liberati, ordinò una seconda perizia contabile allo stesso
revisore, Deloitte, e Deloitte subito si conformò: i debiti non erano più un
miliardo ma un miliardo e mezzo, e il patrimonio non più attivo per 30 milioni
ma negativo per 200. Don Verzé era vecchio e malato, il direttore Cai fu
vessato al suicidio, e il San Raffaele invece che alla Fondazione passò al
gruppo Rotelli-Intesa. Che lo rimise in
bonis dall’oggi al domani.
Con i Ligresti la storia è vecchia. Ci
avevano provato già al tempo di Craxi, venticinque anni fa – tentando di farne
una banda a delinque in quanto “due siciliani” (tre con Cuccia, che trasse
Ligresi dagli impicci). Ci hanno riprovato sei anni fa a Firenze, anche a costo
di implicare il sindaco Pd, Leonardo Domenici. Gli arresti per tutti li hanno
domati – e il fallimento Fonsai?
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