Buon numero dei racconti qui raccolti
sono degli anni dell’anonimato: dell’occupazione tedesca e la persecuzione
antisemita. “Le vergini”, il racconto che dà il titolo alla raccolta
originaria, fu pubblicato il 15 luglio 1942, due giorni dopo l’arresto, due prima
della deportazione. Una buona metà dei racconti della
scrittrice sono di questi tre anni di persecuzione, brevi, brevissimi e lunghi,
una sorta di rimodulazione della partitura centrale che andava elaborando e che
sarà, benché incompiuto, il capolavoro postumo, “Suite francese”.
Scritti in semi-cattività, da sfollata
con la famiglia a Issy-l’Évêque nel Morvan, nella campagna della Borgogna, questi “ultimi” racconti più degli altri sembrano d’evasione. Sono vivaci, il curatore li dice
popolati da “personaggi rivoltati”, ma allora di un altro mondo, non quello proprio della scrittrice. “Le
vergini” raccontano la solitudine, l’abbandono, il tradimento, ma sempre
celebrano l’amore, seppure impietosamente. Anche “I fantasmi” sono spettri dell’amore: “la maternità felice” può “far dimenticare l’amore”, ma l’amore non
si dimentica – “non si dimentica che la sofferenza”. Rivoltosi forse ma perdenti, personaggi
ingannati dalla fortuna, dal destino, dalla vita. O sarà una forma
estrema di difesa, uno sberleffo alla sfortuna. I racconti precedenti sono
mielosi. Compiaciuti. “Film parlato”, il lungo racconto del titolo, perfino del
genere che poi sarà detto neo realistico, “tutto disgrazie”.
“Film parlato” è in forma di
trattamentone, un abbozzo di sceneggiatura. È una scrittura che Irène
Némirovsky ha adottato dopo il successo del film che Duvivier trasse dal suo
“David Golder”, che ripeté il successo del romanzo, e resta negli annali come
“grande film parlato francese”, il primo film parlato francese. Ne scrisse
altri e all’epoca si disse scrittrice per immagini. Per tre-quattro anni dopo
il film di Duvivier, 1931, dirà: “Non scrivo un altro romanzo. Medito progetti
di film”. Ne scrisse altri quattro, di cui tre confluiranno con “Film parlato”
in un volume della collana “Renaissance de la nouvelle” che Paul Morand,
scrittore e estimatore di “testi brevi”, aveva creato e dirigeva per Gallimard
(nella stessa collezione tre anni più tardi, nel 1938, debutterà Marguerite
Yourcenar con le “Novelle orientali”).
“Film parlato” e i racconti immediatamente
successivi, “Eco”, “Magie”, sono “facili” e scontati. “Film parlato” è un
racconto di ombre più che di persone, di maschere, dai destini segnati, tra
l’innocenza impossibile e il vizio traditore. Crepuscolare – neo realistico.
Malinconico, ossessivo, unidimensionale, l’obiettivo immancabilmente puntato
sulla disgrazia. Lineare, una storia frusta su una scena morta, Paris-la-nuit. E
tuttavia è come Brasillach diceva, Irène Némirovsky è migliore narratrice nei racconti
che nei romanzi.
La guerra è sempre presente, come in tutta l’opera di
Irène Némirovsky, ma non è il tema
dominante, malgrado la guerra vera che la scrittrice viveva (“A causa della circostanze”, “Le carte”, “La
paura”). Onnipresente è invece l’amore, per lo più sconosciuto. Ai padri per i figli (non alle
madri), tra vecchi coniugi, tra lo scrittore e l’adoratrice (“La sconosciuta”).
Lo scrittore che è sempre vanitoso, e “le parole più preziose” si riserva
(“Eco”) “per se stesso, per il sogno interore che perseguiva notte dopo notte…”,
narciso totale, asociale. Al meglio emerge, come ovunque in questa scrittrice
immigrata, la Francia “profonda”, avara, sordida, remota – “La ladra”, lo stesso “Film
parlato”. E la borghesia urbana: “Eco”, “A causa delle circostanze”, “I fantasmi”. Soprattutto le figure femminili. Che “sanno”. Del marito destinato a
restare uno sconosciuto (“A causa delle circostanze”): “È così raro che si guardi
veramente, profondamente, un uomo che vive con voi, che dorme con voi da
quindici anni”. Della memoria familiare (id): “Gli uomini hanno una memoria
terribile. Una donna, sai, dimentica presto”, cioè no, “una donna non dimentica
niente, al contrario, ed è molto più forte, molto più terribile che per gli
uomini, rifletté, perché non è la nostra ragione che si ricorda ma le
profondità stesse della carne”. Della maternità compensativa, il tema di almeno
cinque dei dodici racconti. Morto l’innamorato, la giovane sposa “il primo uomo
sposabile”, perché pensa che “la maternità felice può far dimenticare l’amore”
(“la notte, i sogni stessi divengono placidi e innocenti accanto a una culla”).
O l’ananke a cui la donna “si garrota”, i “mille piccoli legami che, presi isolati, non sono più grossi di
un capello, ma che, tutti insieme, la ostacolano così tanto che non può fare un
passo fuori dal cerchio stretto”.
La scelta, operata da Olivier
Philipponnat sotto il titolo “Les vierges”, il biografo della scrittrice che
qui ne fa la presentazione, è curata da Marina di Leo, la traduttrice forse
meglio sintonizzata con la marcia di Irène. Una metà dei racconti erano già
usciti in traduzione da Passigli, “Giorni d’estate”.
Irène Némirovsky, Film parlato e altri racconti, Adelphi, pp. 198 € 17
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