giovedì 7 novembre 2013

Il miracolo della lingua

Un esercizio di virtuosismo impressionate. Un’arbasineide più concreta, il racconto “sull’unghia”, da social scientist – dieci anni fa sulla “mucca pazza”. Per di più opera di una tarda italianizzata: Helena Janeczek, dice la biografia, nata a Monaco di Baviera da genitori ebrei polacchi, e venuta a vivere in Italia all’età di diciotto anni, ha esordito in tedesco. La raccolta di poesie “Ins Freie” è del 1989, editore il super Suhrkamp. Di soli otto anni dopo è il romanzo italiano “Lezioni di tenebra”, premio Bagutta. Più che della mucca pazza, questo è un racconto della lingua, un suo trionfo.
Il fatto c’è, e anche semplice benché drammatico: “Buona parte dei morti accertati a causa del morbo della mucca pazza (sono) abitanti del Nord (inglese) depresso e della Scozia rurale, gente alimentata a basso costo e in modo sbrigativo con i prodotti ricavati dalla carne riprocessata, avanzi ricavati dalle carcasse scarnificate con potenti getti d’acqua che li contaminano con gli schizzi di midollo dorsale”. Non senza malizia, la triforcuta Helena sa bene che la mucca pazza è stata succeduta dalla peste aviaria, suina, etc. . Oppure ancora no quando lei ne scriveva, ma sa che ci sono le mafie – si sa come vanno queste cose tra monopoli, che si bastonano senza colpa, facendo aggio sulla credulità. E non senza senso pratico, da viziosa del wiener Schnitzel, la cotoletta.
Anche la storia esemplare che utilizza a traccia della dannazione, di Clare Tompkins, una ragazza che muore a ventiquattro anni dopo sofferenze infami, benché fosse vegetariana dall’età di undici, è semplice. È una storia di ordinaria incapacità medica, che non sa diagnosticare il morbo di cui parla in continuazione. Janeczek ne fa l’allucinazione di un’allucinazione – una moltiplicazione della lingua. 
Helena Janeczek, Bloody cow, il Saggiatore, pp. 58 € 10

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