Capelloni – Furono la
grande novità del 1968, e quella più contestata. Materia
di storie strazianti. Una serie di foto narrava su “Oggi” di una mamma che
ritrovava il figlio perduto fra i capelloni e lo convinceva a lasciare la
cattiva strada: “Finalmente Paolo piange, perfino i capelloni si sono
commossi”. Il fatto aveva incidenza igienica, si suponeva, oltre che
filosofica, ed era tema prediletto del “Corriere della sera”, che ad esso dedicò
la serie Barbonia e New Barbonia, corredate di foto di ragazzi imbruttite. C’erano
anche ragazze nei gruppi, ma il problema era maschile. Gli argomenti erano di
tre tipi, anzi di uno solo: prostituzione dei ragazzi, nozze sacrileghe tra
ragazzi, orge di droghe. L’aggettivazione era ampia: sporchi, pezzenti,
scansafatiche, parassiti, seminfermi, esibizionisti, invertiti.
Contro i capelloni si distinse il “Corriere
della sera” sotto la direzione di Giovanni Spadolini. Il ritorno
all’ipertricosi risorgimentale fu bollato come eresia dallo stesso Spadolini, del Risorgimento custode, che dirigeva il Corriere della sera”, disse l’argomento blasfemo
e promosse una serie di crociate giornalistiche contro. I fotografi del Corriere
della sera furono sottoposti a rudi fatiche
per fissare i giovani nei loro covi, che erano all’aperto, sui prati e
lungo i fiumi. I collaboratori del giornale, psicologi e sociologi, furono
sollecitati all’ardua decifrazione della mostruosità. E agli “esperti” che non
avevano contratto di collaborazione interviste si sollecitarono per esplicitare
l’inevitabile condanna.
Capellone era nel vocabolario la moneta di
bassa lega del ducato di Modena, così chiamata in quanto mostrava al diritto il
busto del duca Francesco III d’Este, il quale aveva lunghi capelli.
Eurasia – È la
condizione geografica dell’Europa, appendice del continente asiatico. Cui si
vuole apparentare, in ambito slavo, una concezione politica, contrapposta
all’Occidente. L’Occidente volendosi anch’esso un concerto fondamentalmente geografico:
la metà del mondo a Ovest del Meridiano Zero o Meridiano Primo, Greenwich, e a
Est dell’Antimeridiano: un’area da cui quasi tutta l’Europa è esclusa.
Politicamente,
esaurita la guerra fredda, che la divisione tra Est e Ovest spostò al centro
dell’Europa, la nozione di Western Hemisphere è solo recepita nella
Costituzione degli Usa, e si riferisce agli Usa stessi, il Canada e l’America Latina.
In tal senso è insegnata nei programmi scolastici. Teorizzata da James Monroe e
da lui posta a fondamento della Dottrina Monroe, che esclude interferenze
militari.
Culturalmente
l’Europa, rifacendosi alla classicità greco-romana, si escludeva dal Medio
Oriente e tanto più dall’Oriente, e anzi si caratterizzava in opposizione a
essi. Pur provenendone con ogni evidenza (linguistica, mitologica, religiosa).
La stessa Europa ha tuttavia ultimamente rifiutato questa caratterizzazione,
escludendo dalla sua Costituzione con pignoleria le “radici cristiane”, che del
mondo greco-romano sono la perpetuazione. Da tempo peraltro, con progressività
crescente, abbandona anche i riferimenti alla stessa tradizione greco-romana,
per una forma di “estraniazione” storica e per l’invenzione, ricorrente, di un’origine
nordica. Un’applicazione è la divisone che si è voluta imporre, nella crisi
economica 2007-2013, tra l’Europa nordica e quella mediterranea.
La
nozione è resuscitata dalla Russia postsovetica, e in particolare nei quindici
anni ormai di governo di Putin. Che fa dell’Unione Economica Euroasiatica, di
cui ha fissato la nascita al 2015, il perno della sua politica. Con cautela,
poiché il concetto di Eurasia è in Russia al centro dell’ideologia fascista
rinascente sulle spoglie del sovietismo, attorno al filosofo Aleksandr Dugin.
Ma Putin dichiara l’Eurasia “un’assoluta priorità”. Il Duemila vede delinearsi
grandi unità geopolitiche, e la Russia vuole legarsi strettamente all’Europa,
proiettandola verso l’Asia. Il patrocinio che sta dando alla Siria di Assad e
all’Iran Putin pone in questa prospettiva: non per una zona d’influenza, ma per
un coinvolgimento “europeo” nel Medio Oriente.
Dugin,
ben conosciuto in Italia attraverso la rivista “Eurasia”, di cui è uno dei
pilastri, e le Edizioni del Veltro, che editano la rivista e ne pubblicano le
opere ((la più nota è “Fondamenti di geopolitica”), lega la nozione a un
movimento di russi emigrati dopo il 1917, e alla minaccia che la
globalizzazione rappresenterebbe per tutte le diversità, nazionali, storiche, culturali.
Tradizionalista, lettore e seguace di Guénon e Jung, antiliberista e per questo
antiamericano, fu uno dei capi del Fronte di Salvezza Nazionale venticinque
anni fa contro l’ultraliberismo di Boris Yeltsin. Collaborò alla redazione del
programma del nuovo partito Comunista di Ghennadi Zjuganov. Presto si staccò dal
Fronte, per fondare nel 1994 un partito Nazional-Bolscevico, con Eduard Limonov.
Al quale qualche anno dopo lo lascerà. Sulla base di un manifesto, “La rivoluzione
conservatrice”, pubblicato nel 1994, che fa proprie le posizioni della “rivoluzione conservatrice” tedesca (antihitleriana)
degli anni tra le due guerre.
Di
dieci anni più giovane di Putin, Dugin ha la stessa formazione, all’ombra dei
servizi segreti che portarono alla perestrojika, e poi tentarono di governarla.
Nei primi anni Duemila ha fondato vari partiti e movimenti euroasiatici. Da
qualche anno ha posto il centro della sua attività a Astana, la capitale del Kazakistan,
che il dittatore Nazarbayev ha dichiarato capitale dell’Eurasia.
Guerra – “La guerra è l’impiego
illimitato della forza bruta”, è la prima e più vera definizione che ne dà von Clausewitz, il suo massimo teorico. Che
ribadisce il concetto: è “un duello su vasta scala”, e “un atto di forza per costringere
l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà”.
Sempre
si propone di Clausewitz la massima: “La guerra non è che la continuazione della
politica altri mezzi”. Per inferirne una “giustificazione”, come se la guerra
fosse un atto politico – diplomatico, di mediazione. E quasi inteso a ristabilire
il diritto. In contrasto con l’evidenza, ma anche col pensiero vero di
Clausewitz, secondo il quale “la politica è la culla dove si sviluppa la guerra”.
Clausewitz
aveva una concezione bellicosa e non compositiva della politica. Perché la
vedeva nella sua componente esterna, da nazione a (contro) nazione, invece che
come amalgama di una nazione e una società. E perché era anch’egli un
prussiano, che ragionava con logica prussiana, della politica come potenza – si
arruolò che aveva dodici anni, e divenne generale di corpo d’armata.
L’arte
della guerra prussiana si è peraltro estesa dopo le guerre napoleoniche a tutta
l’Europa, con la coscrizione obbligatoria e “il paese in armi”. Clausewitz lo
diceva: “La guerra non scoppia mai in modo del tutto improvviso, non è l’opera
di un istante”, e “non è mai un atto isolato”.
astolfo@antiit.eu
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