Non si trova, non c’è. Cioè c’è, ma è di
natura controversa. È il terrorismo iracheno secondo la Prima Corte d’Assise di
Roma, che ha giudicato l’assassinio a freddo di Giuseppe Quattrocchi a inizio
luglio 2004, nove anni fa, a Baghdad da parte delle Falangi Verdi o Brigate dei
Mujahiddin. Ilaria Sacchettoni riferisce ilare la sentenza sul “Corriere della
sera”, malgrado la trucidità dell’evento, e non a torto.
Il rapimento dei quattro italiani il 12
maggio 2004, e l’assassinio di Quattrocchi 58 giorni dopo, non furono opera di
terroristi: chi lo dice che erano terroristi? Il terrorismo, d’altra parte, è
come la Suprema Corte (la Cassazione, n.d.r.) lo definisce: l’uso della violenza
che genera “panico, terrore, diffusa insicurezza”, e questo non avvenne: “È chiaro
come, nel caso in esame, detta finalità non risulti dimostrata alla stregua
degli elementi di prova acquisiti”. Né
fu un rapimento a scopo di lucro: non ci furono richieste di riscatto. E
dunque: il rapimento e l’assassinio saranno stati un gioco dei sequestratori,
che per questo realizzarono anche cinque video delle umiliazioni inferte ai sequestrati
e dell’assassinio di Quattrocchi, e li diffusero tramite le televisioni Al
Jazeera e Al Ahrabiya.
Ilaria non dà il nome di tale
argomentatore, ma deve trattarsi di don Ferrante, quello dei “Promessi Sposi”,
che come si sa è immortale. Don Ferrante è quello che, dovendola analizzare scientificamente,
non trovava la peste.
Non per altro, per quieto vivere: “«In rerum
natura», diceva (don Ferrante), «non ci son che due generi di cose: sostanze e
accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l’uno ne l’altro, avrò
provato che non esiste, che è una chimera»”.
Senza obiezioni possibili - le sentenze si
rispettano, come sostengono altri augusti manzoniani: “La scienza è scienza”,
diceva sempre quello dei “Promessi sposi”, “solo bisogna saperla adoperare”.
Ma perché pagargli lo stipendio? Con l’auto blu, l’autista e il segretario? Il
vero don Ferrante lavorava per il re di Spagna.
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