Non si è spento il ridicolo della guerra preventiva
al siriano Assad, già decisa da Hollande, che in Libia le “forze rivoluzionarie”
che Sarkozy ci ha imposto di liberare si sparano nelle città. Parigi ha
adottato una politica di forza che è manifestazione di forte debolezza.
Due presidenze deboli e avventurose non
sono un caso – tanto più che succedono alla lunga presidenza minoritaria di Chirac.
Svanito il bluff Mitterrand, la Francia mostra la sua vera dimensione: di paese
ricco, sicuramente tra i maggiori in Europa, ma non più una potenza. Non la
potenza che pretende di essere. La misura del vuoto è nell’arrendevolezza dei
suoi tonitruanti presidenti di fronte a Angela Merkel: l’asse franco-tedesco
non pende più – da tempo – verso Parigi ma verso Berlino.
Più grave ancora, se si può dire, è l’indigenza
intellettuale che accompagna quella politica. La Francia ha avuto a lungo una
funzione di preminenza culturale. Ce l’ha tuttora in alcuni paesi, l’Italia per
prima, la Spagna, la Grecia, il Portogallo. Ma è impossibile riconoscersi nel “Monde”
di oggi, che non sa essere altro che anti-americanista, roba da anni 1950. O nei
suoi “filosofi” in vario modo guerrafondaisti, Lévy, Bruckner, Glucksmann.
La scomparsa della Francia è la difficoltà
più forte che l’Italia, terzo incomodo dell’Unione Europea, trova in questo
momento. Che vede nella stessa Ue il punto debole della sua integrazione
internazionale (l’Italia ha rapporti ottimi con gli Usa, la Russia, e i mondi
più lontani, ma pessimi in Europa). La Francia non è stata amichevole con l’Italia,
che pure aveva creato, per tutti i suoi 150 anni di storia. Ma era un
contrappeso utile nella bilancia europea.
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