Piccolo
omaggio dell’editore al filologo, apprestato per gli amici nel 2001, alla
vigilia della morte, è la raccolta di brevi testi sul silenzio come forma di
comunicazione mistica. Pozzi parte col piede sbagliato: “Tutto può essere spartito
fra gli esseri esistenti, fuorché l’esistere”. Mentre è vero il contrario: l’esistenza
può essere insopportabile perché forzatamente condivisa. Ma si è già corretto:
“L’uomo è un solitario non solo”.
Frate cappuccino,
svizzero di Locarno, docente a Friburgo, curatore avventuroso di testi necessari,
la “Hypnerotomachia Poliphili”, l’“Adone”, nonché di studi di larga attrattiva
per la stessa editrice, quale “La parola dipinta”, editore di mistiche
dimenticate, Angela da Foligno e Maria Maddalena de’ Pazzi, oltre a santa
Chiara, elabora nella più parte delle annotazioni il linguaggio e le “visioni”
di Adamo di Dryburg e Veronica Giuliani, nonché di Riccardo di San Vittore,
Bartolomeo Barbieri da Castelvetro, Jacopone, Angela da Foligno.
Il secondo
passo falso è più insidioso: la solitudine come bene ultimo. Seppure in scala
(a Dio) e a specchio (di Dio), secondo lo schema di santa Chiara. Si è
disperatamente soli: “Ogni luogo solitario finisce di essere tale quando viene
a dimorarvi un solitario”. Più che il silenzio, vale l’ascolto, la forte
“correlazione tra il silenzio e la parola”. Il libro – la paginetta finale vale
la lettura: “La cella e il libro sono le stanze della solitudine e del
silenzio”. Il libro, “deposito della memoria, antidoto al caos dell’oblio”,
vigila: “Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se
richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole,
tace”. E poi c’è la copertina: fra’ Bartolommeo attende ancora di essere
scoperto, da cinque secoli, in silenzio.
Giovanni
Pozzi, Tacet, Adelphi, pp. 42 € 7
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