Quando non ha nulla in mano, agita
l’incriminazione di Napolitano. Per che non si sa, ma fa titolo.
Ma non ne ha bisogno, ogni settimana un titolo
nuovo gli viene servito, grazioso, succulento. Una settimana il voto palese,
una settimana la Cancellieri, una settimana il finanziamento dei partiti, una
settimana l’abolizione della Rai, e poi c’è sempre di riserva, dopo Napolitano,
Berlusconi.
La tecnica della guerriglia (il contatto a
sorpresa, la ritirata altrettanto fulminea, l’imprevedibilità) è assicurata a
Grillo dai suoi avversari. O almeno da quelli che si penserebbero tali: i berlusconiani,
i democratici, le banche coi loro giornali – i giudici no, sono con Grillo e si
può capirli: hanno lo stesso obiettivo, di chiudere la legislatura, altrimenti
a giugno arrivano i referendum sulla giustizia.
È lo stato del Paese, si può dire, Grillo
non fa fatica a pescare. E invece no. Si fosse votato subito dopo fine
febbraio, si fosse votato di nuovo, Grillo sarebbe stato ridimensionato. In
assoluto, come numero di voti, e in percentuale, più elettori di destra e di
sinistra sarebbero andati a votare. È stato fatto invece di tutto per
consolidarne il suo voto di protesta. Il Pd gli ha pure sacrificato Bersani,
affogandolo nel ridicolo – che non era nessuno, era il segretario del Pd
stesso.
Anche adesso, non c’è chi non è stanco di
Grillo. Se non altro perché non se ne capisce nulla. Ma non si vota, si voterà
quando di Grillo non potremo più farne a meno.
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