Lo “squalo del
denaro” (“Manchette pubblicitaria”), “creatura primitiva che,\ in quanto priva
di\ apparato respiratorio autosufficiente,\
per esistere deve circolare\ non fermarsi mai”, è anche un trattato di
economia. È uno degli epigrammi, sembrerebbe in serie, per vena irresistibile,
sparsi dal poeta qua e là negli anni 1990, qui unificati figurativamente
attorno allo spoglio del giornale - per “frinire” ascoltando “remote\ le
rotative\ rotanti\ nell’oscurità\ per dare forma\ all’aldiquà”. Da “ermeneuta
del testo,\ ermenauta del resto”. Navigando già in rete, tra pixel e autostrade
a fibre ottiche, avvertito – “(Questa non è la tela, ma il suo ragno.\Questa
non è la rete, ma il reziario)”.
Un’antropologia
della contemporaneità (quotidianità), divertita (s’indovina), divertente (un
po’ meno). Gli epigrammi sono asintotici, come raffrenati. Da una voglia di
misura. O da un genio e una passione che non hanno voglia (hanno paura?) di
caratterizzarsi – “ogni diversità” tradotta “in un siero pentecostale”.
L’effetto è riduttivo: il tema vasto, perfino importante, la lettura del
giornale, si risolve in battutine. L’ironia dissecca?
Valerio
Magrelli, Didascalie per la lettura di un giornale
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