Best-seller – Il miglior romanzo italiano fu
scritto in omaggio al mercato, alla voga del romanzo storico dopo il successo
strepitoso di Walter Scott. Anche gli editori di Gadda si ponevano il problema
di pubblicare, o non pubblicare, i suoi racconti e romanzi con un occhio al
mercato: la novella borghese, il romanzone familiare, il giallo.
Chopin – Il Leopardi della musica? O
della “nobiltà della convenzione”. Sono le due ipotesi di Nietzsche “Umano,
tropo umano”, IV, 33. Di cui non si fa caso, forse perché è il Nietzsche
antiwagneriano, ma che di Chopin dà coordinate ineccepibili: “L’ultimo di
musicisti moderni, che ha guardato e adorato la bellezza, come Leopardi, il
polacco Chopin, l’inimitabile – tutti quelli venuti prima e dopo di lui non
hanno nessun diritto a quell’epiteto: Chopin a ebbe la stessa principesca
nobiltà della convenzione che Raffaello mostra nell’uso dei colori più
tradizionali e semplici – ma non in relazione ai colori, bensì alle tradizioni
melodiche e ritmiche. Queste egli lasciò sussistere, come nato nell’etichetta,
ma giocando, sonando e danzando in queste catene come lo spirito più libero e
leggiadro – ossia senza dileggiarle”.
Dante – Charles Dantzig ha (“Le
Magazine Littéraire” di ottobre) il “moralismo sfrenato” di Dante. A Dante oppone
Fellini, lo spirito corrosivo verso le istituzioni, compresa la religiosità:
“«Viaggio di G.Mastorna. La sceneggiatura» è la migliore critica letteraria mai
scritta su Dante”. Ma Fellini è Dante. Ben più dantesco che Piranesi con
cui la “Commedia” più spesso s’illustra, “La dolce vita” è l’“Inferno”. Anche Dante è corrosivo, della
religiosità compresa.
Enciclopedia – Il progetto
iniziale è di Ephraim Chambers, “Cyclopaedia or an universal History of Arts
and Sciences”, 1728. Con
una cinquantina di discipline, e numerosi romandi interni di una voce all’altra.
La sua enciclopedia, ripubblicata nel 1738 in due volumi, per complessive 2.466
pagine in folio, ebbe successivamente altre cinque edizioni, fino al 1749. Anno
in cui risulta tradotta e stampata a Venezia, in nove volumi. D’Alembert e
Diderot presero l’idea da Chambers, quando il tentativo di tradurre la “Cyclopedia”
in francese nel 1744 naufragò.
Italiano – Si fa gran
caso dell’italiano escluso qui e là, a Bruxelles o al Politecnico di Milano.
Mentre è già escluso dall’opera, che non è se non italiana. Da una dozzina
d’anni ormai i libretti d’opera e illustrativi che accompagnano i cd e i dvd,
per esempio quelli della Decca per Cecilia Bartoli, hanno eliminato l’italiano. Le note
introduttive si possono leggere solo in inglese, francese e tedesco,
nell’ordine. I libretti mantengono l’italiano, che è usualmente la lingua
originaria dei libretti stessi, ma in seconda posizione: aprendo si ha subito
il tedesco. Non che l’opera si venda di più in tedesco, si vende meglio negli
Usa e in Gran Bretagna, ma forse il tedesco è più autorevole.
Il
bellissimo saggio sulla “Norma” di Cecilia Bartoli, che accompagna la
riedizione dell’opera, cantata dalla stessa Bartoli, non è quindi fruibile per
un lettore italiano.
D’altra
parte la Decca è produttrice praticamente unica di bel canto, benché depurato
dell’italiano. Ancora per poco?
Helga
Schneider, Ornela Vorpsi, Helena Janeczek, che rappresenterà l’Italia
fra due settimane a Cognac, al festival Littératures Européennes, Amara Lakhous, Younis Tawfik, Talye Selasi, Helene Paraskeva, Christiana
de Caldars Brito, e numerosi altri scrittori, soprattutto del Nord Africa e dell’Est Europa,
hanno scelto, come già Edith Bruck, l’italiano da immigrati. L’italiano non è una
lingua dunque impossibile, ed è un mercato appetibile. Di più antitaliano è
l’italiano, intellettuale, scrittore.
Helena
Janeczeck l’ha scelto dopo il tedesco – in una relativa indifferenza, avendo
maturato in venti anni tre diverse “lingue”, col polacco o Yiddisch di origine,
ma lo maneggia con straordinario virtuosismo.
Metastasio,
che Alfieri bolla frequente nella “genuflessioncella di rito” all’imperatrice,
l’austriaca cattiva Maria Teresa, fu cinquant’anni e passa a Vienna senza impararvi
il tedesco. Non ne ebbe bisogno.
Kafka – Anche Zanzotto ha Kafka ebraico. Del “Castello” dice (“Tra viaggio e fantasia”, ora in “Memorie e luoghi”, ricordando una sua conferenza del 1952 a Pordenone): “Una sorta di derisoria parafrasi della Bibbia”. In questo caso pianamente riduttivo (nel mentre che, forse, vuole farne l’elogio): “Il Castello” è di più, o no?
Leopardi – È filosofo, senza riserve, nella lettura che si fa ora in lingua inglese, a Londra e negli usa, dello “Zibaldone” tradotto integralmente. Era la lettura che se ne fece subito Oltralpe, da Schopenhauer, e poi da Nietzsche. Sull’opera poetica stessa di Leopardi, prima che sui saggi filologici e su qualche sparsa traduzione dei “Pensieri” - sparsi e tuttavia a loro modo sistematici, come è il proprio di ogni pensiero.
Una lettura mai trapassata in
Italia. Ci sono dunque delle sensibilità nazionali. Dei modi di essere e
percepire, anche la poesia e il pensiero.
L’entusiasmo anglosassone sarà
pure da ricondurre all’impresa editoriale, di due primarie case editrici, Penguin
e Farrar, Strauss and Giroux, che devono rientrare dei costi di traduzione e
produzione delle 4.500 pagine di sparsi pensieri. Ma gli argomenti dei curatori
e dei critici non sono d’occasione. “Una mente che era la quintessenza della
modernità”, vuole Leopardi il filosofo politico inglese John Gray sul “New
Statesman”, anzi “antropologo della modernità”, essendo autore di “una delle
più spietate critiche degli ideali moderni”, della fede nel progresso – con e
senza la rivoluzione. O anche: “Quando Leopardi descrive il processo
paradossale che dall’aspirazione cristiana alla verità è arrivato a produrre il
nichilismo”, questo è (tutto) Nietzsche. O la “necessità” delle illusioni, con
la citazione d’obbligo. “Quello che uccideva il mondo”, alla fine dell’impero,
“era la mancanza delle illusioni; il Cristianesimo lo salvò non come verità, ma
come una nuova illusione”. In grado, si può aggiungere, subito a ridosso
dell’illuminismo, di prospettare la barbarie della”ragione”, della ragione
trasposta a personale visione del mondo, ma più dell’irresponsabilità connessa
alla tecnica e alla “modernità” – e questo è già Heidegger.
Un pensare perfino sistematico,
spiega il curatore dell’edizione angloamericana, l’italianista Michael Caesar: “È
lo stesso Leopardi in uno dei suoi indici a raggruppare per temi le sue
riflessioni, suggerendo dei libri virtuali come il «Manuale di filosofia
pratica», o il «Trattato delle passioni»”.
L’edizione angloamericana dello
“Zibaldone” mette sulla traccia di Leopardi una serie nutrita di grandi scrittori,
fino a Beckett, e compresi Melville, Thomas Hardy, Pessoa, Wallace Stevens.
letterautore@antiit.eu
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