Si parta dalla
fine, “Vesch”, un contributo al “Verri” del dicembre 1967 dedicato al teatro: è
una singolare constatazione del fallimento dell’avanguardia, nel luogo della
stessa avanguardia, e con l’intento di farsene mentore e interprete. Beffardo:
“Non c’è Solvejg che tenga, il che è esemplificato, volendo, dal fatto che il
teatro della crudeltà, in quanto Teatro resta un’utopia, in quanto Della
Crudeltà è teatro della crudeltà nei confronti del teatro, e in quanto Teatro
della Crudeltà non è propriamente teatro perché è un libro: Le Théâtre et son Double”. Della neo
avanguardia, o Gruppo 63. Che magari non fallisce perché la sua cifra resta
l’ironia, formidabile strumento passatista – “la cosa morta, sul catafalco, si
muove”. O lettura saggia del reale, da realpolitiker,
se si riflette che “la Rinascente”, ultimo luogo neo avanguardista del teatro,
dopo le piazze, i talk show, i tinelli e l’analista, è diventato il luogo –
tecnicamente il “non-luogo” – per eccellenza della socievolezza e la
rappresentazione del reale – Filippini dice contemplazione.
Nell’afasia. Le altre opere teatrali qui
riunite, “Flettere flette amore” e “Giuoco con la scimmia”, riflettono
questa impossibilità – l’ironia dissecca, a tan to più nella verbosità.
Si ripropone
Filippini narratore e commediografo con le ultime celebrazione del Gruppo 63,
Una neo avanguardia molto established,
Furio Colombo, Eco, Sanguineti, Porta…, professori, dirigenti editoriali,
politici. Filippini si toglie due anni, sì da potersi dire ventenne, e non già
trentenne qual era. L’ultima avanguardia, vista cinquant’anni dopo, è
autodistruttiva, sterile – questo si vede a Roma con malinconica esposizione
celebrativa al Parco della Musica, curata da Achille Bonito Oliva, Porta,
Spatola, Balestrini, Schifano, “I novissimi”, la dimenticata antologia poetica,
e “La nuova letteratura”, l’antologia narrativa rimasta ignota. Il Gruppo 63 fu
solo cassa d risonanza per i suoi autori. Molti dei quali non ne condividevano
peraltro più o meno nulla, Eco furbesco, Arbasino divertito, lo stesso
Sanguineti.
È diverso per
i racconti, meno programmatici. “Settembre” sì, un racconto sul modo di
scrivere un racconto, è legnoso, da maestrino – specie al confronto con la
presentazione, che Bosco riporta in nota, di Umberto Eco alla prima
pubblicazione, sul “Menabò” del luglio 1962. Ma già con qualche notazione
discorsiva: “Il vero personaggio”, benché ipotetico, “ha trent’anni, ed è
spacciato”. Il racconto del titolo, l’ultimo di Filippini, che apre il libro, è
invece accattivante: una sottile ma ribadita a ogni paio di pagine,
martellante, forma di estraniazione. Di astensione. Qui come incapacità di
amare, di empatizzare, entrare nell’altro. Con cui l’autore solo sa vivere come
guardandolo al microscopio, vivisezionandolo anche, nervetto per nervetto.
Conscio della propria impotenza. O dell’amore come fotogramma al montaggio, di
un montatore freddo. Bravo perché freddo. Filippini è un fingitore che non sa o
non vuole fingere. Per questo anche “scrive” poco. Scrive moltissimo, scrive
ogni giorno, è la sua professione, di redattore, editore, inviato speciale, ma poco come autore-fingitore. Una sorta di
tantrista, che il piacere esercita in
limine, con l’attesa, il rinvio, l’astensione.
Di questa
astensione riesce però a fare, specie in “L’ultimo viaggio”, quasi un romanzo,
infine materia di racconto: l’estraniazione di un’estraniazione. Avendo deciso,
da ultimo, dopo l’impasse cui confina
la parodia, per lo “scrivere spoglio”. Sul vissuto proprio, delle “enormi
stanchezze”, l’alcol, la salute, la solitudine (di Filippini, compagno muto di
banco al giornale, resta l’immagine di una testa arruffata, al volante della
indiscreta Dino-Ferrari rossa, in piazza Rondanini, una piazza minuscola al
centro di Roma che allora era un parcheggio, che il suo sguardo smarrito
dilatava e svuotava). Seppure praticando l’astensione: “So di cosa ho taciuto,
ma non ricordo bene di cosa abbiamo parlato”, si dice. Un’esistenza forse,
sicuramente una pratica letteraria dominata dalla dilettazione inconcludente.
Alessandro
Bosco, lo studioso che ne coltiva il patrimonio letterario, fa in questa svelta
raccolta dei testi creativi - racconti e teatro - di Filippini quasi
un’edizione critica. Piena di appigli coinvolgenti. Con un primo bilancio
esegetico.
Enrico
Filippini, L’ultimo viaggio, Feltrinelli, pp. 293 € 9,50
Nessun commento:
Posta un commento