Una “notte
brava” fra i teddy boys, a Milano. Dovrebbe essere alla James Dean, fra
bruciati (disperati), ma è alla Pasolini. Manierata, buona. Più nel genere
favolistico, che forse era nelle corde naturaliter
di Pasolini invece del maledettismo., Sceneggia la sua propria morte con quaranta anni di anticipo, si è detto. No, la notte di eccessi lega con lo sguardo
attonito di un bambino, che alla fine fa
involontaria giustizia. Niente e che vedere con la delinquenza vera, di
Quarto Oggiaro per esempio, come la ricordano oggi, per la recidiva di assassinii,
intellettuali e scrittori all’epoca ragazzi.
Un mondo gay
più che sottoproletario, di amicizie e corpi maschili, ma tristissimo, una
notte di Capodanno. Che Alberto Piccinini, generoso, fa rivoluzionario, sulla
base dei paratesti che hanno per molti anni sostituito l’inedito (riscoperto
nel 1995 da Edoardo Bruno, il direttore di “Filmcritica”, cui Pasolini aveva
mandato il dattiloscritto nel 1960-1961, che lo pubblicò infine per primo nella
stessa rivista).
Variamente
titolato da Pasolini tutto sommato incerto in questa gita fuori porta: anche
“Milano nera”, “La ballata dei teppa”, “La rovina della società”, “La notte del
gogna”, “Il Rospo si diveret”, “”I romanici”, “I goti”, “La polenta con le
sevizie”. Naldini se ne ricorda un altro, “Polenta e sangue”. È la
sceneggiatura del film “Milano nera”, da cui il nome di Pasolini scomparirà.
Completato nel 1964, per la regia di Gian Rocco e Pietro Serpi (dei quali si
ricorda solo un western al femminile, girato a Oristano, “Giarrettiera Colt”),
che ebbe solo una proiezione, in una sola sala di Milano, scriveva il 2
febbraio 1996 Piccinini sul “Manifesto”, ma aveva delle ambizioni. Con la
sceneggiatura base di Pasolini proponeva le musiche di Giovanni Fusco, il
compositore dei film di Antonioni. E s’illustrava, invece che con Celentano
come avrebbe voluto Pasolini, con Nico Fidenco, “Perché non piangi più”,
orchestrata e accompagnata da Luis Bacalov.
Una
sceneggiatura difficilmente è una buona lettura. Un racconto di Scerbanenco fa
molto più Milano nera. Pasolini porta a Milano il suo schema dell’adolescenza
incerta, ma disanimato, lezioso. Impossibilitato forse da una lingua che pensa
originale mentre non lo è. Tutto a Milano vuol essere manierato, e gli stessi
interpreti del teppismo ambrosiano per Pasolini sono bravi ragazzi, che
stravedono per lo scrittore già maledetto e celebre. A Roma è diverso, la città
gli si è conformata, le borgate come l’intellettualità e perfino il governo.
Cinque anni appena dopo “Ragazzi di vita”, che il presidente del consiglio
Segni, denunciandolo per oscenità, ha consacrato. Con l’assoluzione piena e la
celebrazione del romanzo nel film “La notte brava”. Mentre “Una vita violenta”
era in produzione. Milano sfugge a Pasolini, e il patetico resta in mostra.
Pier Paolo
Pasolini, La nebbiosa, Il Saggiatore, pp. 191 + dossier fot., € 14
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