È una scelta
di “Verba volant”, la raccolta delle lettere aperte di Parise, nella rubrica di
corrispondenze che tenne per il “Corriere della sera” nel 1974-1975, curata nel
1998 da Silvio Perrella. Allo stesso tempo che Pasolini incideva sullo stesso
giornale le famose “Lettere luterane”. Visto da destra e visto da sinistra?
Parise era massiccio, amava i nobili e la caccia – la caccia in botte, umida,
scomoda, una sfida alla laguna, alle folaghe e alle ossa. Doveva essere
l’inverso, anche fisicamente, di fronte al retrattile Pasolini. Ma lamenta le
stesse cose, solo non da maestro di scuola. È la venetosità? È il letterato
forzatamente misoneista?
Silvio
Perrella, che cura anche questa scelta, trova che oggi “la miseria dilaga”, già
denunciata nella rubrica. Doppio errore. La povertà è tanta, nel mondo e in
Italia, ma è meno di quarant’anni fa, e in tre quarti del mondo, Africa compresa,
è molto meno di quarant’anni fa. Ed è sbagliato ritenere che tra i
corrispondenti di Parise ci fossero i poveri. – a parte l’uso, per chi tiene
una rubrica, di “trovarsi” gli interlocutori giusti per dire quello che
intende. I poveri non leggono il giornale, e solo le maestre nubili e i
colonnelli in pensione scrivono – scrivevano quarant’anni fa – ai giornali. Lo
stesso Parise lo dice nell’ultimo “pezzo”, accomiatandosi. E dunque? Queste
prose sono “spiazzanti” – a volte – ma sempre nel soggiorno illuminato del
dottore (giornalista, scrittore) o professore che si voglia. Perrella cita in
fine Anna Maria Ortese: “Non c’è nessuna
intesa più fra lo scrittore e la vita della gente”. È la materia di Grillo e
degli altri “indignati”, e forse di Pasolini. Ma c’è mai stata? Perché, cos’è
la “vita della gente”, la gente non siamo noi? No, Parise è altro.
“Il rimedio è
la povertà”, che apre la raccolta, avrebbe potuto essere il titolo. La povertà
è in realtà la ricchezza, d’animo, di spirito, di libertà, contro
l’uguaglianza, l’appiattimento, l’inerzia del consumo indotto. Questi scritti
mantengono una notevole forza di attrazione. Che però non ebbero allora, questo
andava detto: perché Parise era, è, minoritario, non faceva opinione, solo
sopportato dall’ideologia “corretta” – lui usava già questo aggettivo, non
ancora riciclato dalla koiné Usa. La
memorialistica vuole Parise pudico, chiuso, disimpegnato, mentre era sfrontato
– con Gadda per esempio: solo era, si sentiva, isolato, benché premiato,
rispettato, ammesso nei circoli e i giornali corretti e prestigiosi. Perché era
anticonformista e semplice, diceva la verità delle cose – “credo nella
pedagogia, insieme alla democrazia”. Era, resta, anche uno dei pochi a sapere
che c’era la dittatura comunista alla frontiera orientale. Con alcuni
“pezzi”memorabili: la ricchezza della povertà naturalmente, la carriera
politica, e soprattutto - “L’Italia dei «lotti»” - il “paesaggio interiore” che
distrugge il paesaggio, la società, la storia, per “la forza delle cose”.
Goffredo
Parise, Dobbiamo ribellarci, Adelphi, p. € 7
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