Ateismo
- Molto
è teismo.
Molto è anticlericale. Ma, anche qui,
concorrenziale: per una propria ritualità – il sacerdote si vuole esclusivo. In
forma di Ersatz, ripete del
clericalismo rituali (formule, vestimenti), templi, e perfino le gerarchie,
solo li nomina diversamente.
Chioma
–
La cantante lirica e performer canadese Barbara Hannigan ci fa la musica. A
Santa Cecilia è la sua chioma, porta da lei di spalle mentre dirige
l’orchestra, che soggioga lo spettatore. Lunga, morbida, mielata, ondulata, sua
è la direzione d’orchestra e la musica stessa: sono della le armonie, i tempi, gli
stacchi, le modulazioni, in breve le sonorità e la stesa gestualità del’esecuzione.
Una chioma, senza l’immagine di un viso cui riferirla. lo spettacolo, anche se
senza nessun viso. La traccia permanendo
quando la performer si trasforma in soprano, facendo aggio sul viso attraente.
E ancora dopo sul corpo da silfide, essendo la soprano anche danseuse. Quindi non per un fatto estetico-feticista:
la chioma è tutto lo spettacolo – tutto quanto c’è da vedere, ascoltare,
patire.
Per il 129.mo anniversario della nascita
di Hermann Rorschach, google propone una figura che ha tutta l’aria di essere
una chioma, fluente, vista da dietro. È la chioma, la forma, in armonia col
tempo, fluido, “liquido”?
Abol Hassan Bani Sadr, il primo
presidente della repubblica islamica dell’Iran alla caduta dello scià, occupava
uno spazio pomeridiano festivo alla tv di Teheran nell’autunno del 1980, mentre
una guerra sanguinosa l’Iran combatteva con l’Iraq, con una dotta lezione sulla
chioma. In particolare sulla chioma
femminile. Non possedendo il farsì, la sua argomentazione resta incognita. Ma fu
prolissa: dopo ancora un paio d’ore la sua lezione non era terminata, giusto le
sonorità e il ritmo sembravano allentati. Qualcuno disse che ne “faceva la
teologia”: la chioma in rapporto al “Corano”, all’etica, all’estetica
Bani Sadr era – è – un economista. Un
laico. Conosciuto a Parigi durante l’esilio prima della rivoluzione khomeinista
del 1978. Da laico operava alla presidenza, cui si poteva accedere
informalmente per i trascorsi, per una conversazione, aspettando in anticamera
un momento di disimpegno – fino alla sera in cui una giornalista del “Nouvel
Observateur” fece una scenata, che solo lei poteva stare lì, che lei era in
attesa di un’intervista esclusiva, che lei l’aveva concordata, un isterismo che
chiuse tutte le porte. L’anticamera era affollata di postulanti, quasi tutti
con una supplica arrotolata in mano, che chiedevano venisse consegnata al
“nuovo scià”. Bani Sadr non parlò mai di teologia, e anzi rifuggiva anche i
temi politici, solo si occupava di come far funzionare l’ingranaggio dello
Stato. Ma sulla chioma evidentemente faceva eccezione.
Ma sulla chioma nei testi sacri non c’è
molto di qualificativo o prescrittivo, a parte la registrazione di fatti
storici. Né nei padri della chiesa, che pure hanno imposto la tonsura ai preti,
e alle monache il sacrificio anzitutto della chioma – perfino san Francesco,
così tollerante, quando santa Chiara giovinetta fugge da case per rifugiarsi da
lui alla Porziuncola, per prima cosa le taglia la chioma. Né è prescrittivo il “Corano”,
anche se i suoi sacerdoti e i più devoti sono barbuti. Né c’è una filosofia
della chioma – non c’è un pensiero delle parti e delle funzioni del corpo.
Creazione
– Il
pensiero è di un personaggio voltairiano, Micromegas, il gigante smarritosi
nell’universo e finito per caso sulla terra. I filosofi della terra che lo
intrattengano ne suscitano incontenibile l’ilarità quando sostengono che
l’universo è stato creato per l’uomo. Non un eccesso satirico.
Dialogo
–
Dopo quello conciliare con i fratelli separati e con le relgioni monoteiste,
quello avviato dai due papi conviventi con i non credenti è una riedizione
della vecchia quaestio della
“salvezza impossibile”. Di dopo la scoperta dell’America, ma anche di prima,
del tardo Medio Evo: come può evitare la condanna eterna chi non è mai venuto
in contatto col verbo di Cristo? Se non che i non credenti non sono “selvaggi”
(infanti, ignoranti, innocenti), ma ben sofistici. Più dei preti ai quali si
contrappongono.
Chiara Frugoni sa di molte carte
geografiche medievali e di qualche portale di chiesa in Francia che risolvono
la questione con una abbraccio del Cristo a tutto il disco della terra, senza
distinzione di cristiani e non. Sembra questa la visione cui i papi Francesco e
Benedetto si attengono. Ma l’ateismo è ben emerso a questo punto, nella terra
tonda e al di sopra di essa: non è ignoranza del verbo, è rifiuto.
Femminismo
–
In tutte le sue forme politiche, eccetto quella minima della parità dei
diritti, è un rifiuto e un’amputazione.
Di una tradizione e di uno sviluppo (futuro). Di una mitologia, una poesia, una
filosofia anche. In quella millettiana della castrazione. E in quella
butleriana dell’indistinto. L’uniformità contro la diversità, la recinzione
contro il potenziale, l’ideologia contro il reale.
L’idea butleriana di una sessualità
indistinta biologicamente, solo storica, non è biologica, non è sociologica,
non è funzionale, e nemmeno comportamentale. È “una bella pensata” - nemmeno
progressista, quale Judith Butler si vuole in ogni spazio politico, in Medio
Oriente, e negli Usa. Originale, ma come tutto ciò che è impensabile.
Social
network –
La Borsa distingue fra twitter (comunicazione), che premia, e facebook (esibizione),
che punisce.
Sono l’individualismo impoverito – la
Bomba a uranio impoverito della comunicazione. Un pubblico (privato: pubblico
in senso inglese) palcoscenico. Piccolo, per quanto vasto o illimitato. Minuto
anche. Lo riproduce in tutto, anche nella gigioneria come incapacità. Non
volontà di comunicare – di spendersi, perdersi. Dell’esibizione immunitaria, un
virus personale antivirus sociale - comprensione, compassione, condivisione.
L’incapacità
di interagire, e anche di comunicare, della generazione dei social network. Esibizioni e grugniti, di
insicuri determinatissimi – mai uno sguardo a lato, in alto, di fronte. E se lo
si incrocia più spesso è vuoto.
Suicidio – Il come è
vario. Pomponio Attico, l’amico di Cicerone, si lasciò morire di fame. Silio
Italico pure, il romano più ricco dei tempi di Nerone e Domiziano, nonché
prolisso poeta d’Annibale, ma aveva settantacinque anni. Gruppi di cristiani
praticarono il suicidio per digiuno, le endura.
Ma è arduo: Beethoven, che avviò l’endura
in una grotta in giardino, al terzo giorno fu scoperto. Proust la troncò prima,
al pensiero che con lui si spegneva il ricordo della madre. Coma, nel carcere
mamertino, si uccise trattenendo il fiato, Porcia, figlia di Catone, mangiando
ceneri accese, Aiace Telamonio con la spada ricevuta dal nemico Ettore. Jack London,
l’autore di Martin Eden che si buttò dall’oblò, si fece venire una colica
renale.
Con
Plinio, Seneca attesta essere “il maggiore dei doni di Dio all’Uomo quello di
distruggersi quando gli piace: Dio stesso non lo può”. Ma non sempre si riesce:
“Vivere nolunt, mori nesciunt”, c’è chi non vuol vivere ma non sa morire, nota lo stesso Seneca.
Maupassant, l’autore di “Ivette e tre suicidi autentici”, si scannò e dissanguò
ma sopravvisse per due anni a quattro zampe – “monsieur de Maupassant va s’animaliser”, notavano i medici per il
futuro Kafka. Montherlant, meticoloso, s’è sparato con la pistola dopo aver
ingerito il cianuro. Lucrezio s’avvelenò prima d’impiccarsi, Caroline Günderode
prima di gettarsi nel Reno si pugnalò.
zeulig@antiit.eu
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