La mafia liberatrice
Manoela
Prati, siciliana e storica, demolisce con documenti (con l’assenza di
documenti) il mito della liberazione della Sicilia nel 1943 a opera della
mafia. Fa molto di più (il libro s’intitola “La Sicilia e gli alleati. Tra
occupazione e liberazione”): ricostruisce alcuni dei “vuoti” che si sono creati
attorno all’impresa. La “scomparsa” degli inglesi. Le resistenze alla
“liberazione”. Ma più di tutto ridimensiona il colonnello Charles Poletti, ex
governatore dello stato di New York, attorno a cui si è costruito il mito della
liberazione a opera della mafia. Che è
una delle forme politiche di resistenza alla
liberazione. Ma questo è argomento per gli specialisti.
La
liberazione attraverso la mafia è però anche un’irrisione, e in questa forma è
comune alla migliore Sicilia. Sembrerebbe una cattiveria appiccicata ai
siciliani. E invece è mito propriamente siciliano: di grandi scrittori,
Sciascia e Camilleri compresi, storici della mafia (Lupo compreso, che
introduce Prati) e non, e delle conversazioni da treno, sotto l’ombrellone, al
ristorante. Della Sicilia, un paradiso “sprecato”, si può ben dire “chi è causa
del suo mal”? L’odio-di-sé è diabolico.
Ma
quando cominciò la maledizione? Dev’essere intervenuta a un certo punto, perché
per molti secoli la Sicilia fu creativa - eccezionalmente, come ancora si vede.
La questione nasce a Napoli
L’H a Roma passa raramente, è un mezzo
veloce, con poche fermate, attraversa per linee rette la città, ed è sempre
pieno. A maggior ragione oggi che c’è un mezzo sciopero dei tramvieri. È uno
degli autobus dei borseggi - l’altro è il “64”, che va a San Pietro. Un uomo di
mezza età, che ingombra l’uscita e mai scende, e impreca a ogni fermata contro
coloro che ingombrano l’uscita, è la maschera del borsaiolo. È anche napoletano.
Accanto a lui due giganti muti, uno bianco, uno nero, e inamovibili. Un piccolo
trambusto si crea alla discesa: l’“H” salta la fermata del Palazzo delle
Esposizioni, pare che ci sia una manifestazione, pare che il percorso verrà
deviato, è infatti deviato, e quando infine si aprono le porte, la ressa è forte
per uscire. Per ritrovarsi infine a terra, mentre le porte si chiudono e il mezzo
riparte, con le tasche vuote, di soldi e documenti. Una novità - c’è sempre una
novità nella vita. Impensabile anche, fino a un attimo prima le tasche si
tastavano piene. Proprio per l’ombra dell’imprecatore, napoletano, “il
borsaiolo”.
Una novità difficile da ingoiare. Essere
derubati è come essere aggrediti, anche se la cosa poi è rimediabile, il danno
in sé è poche centinaia di euro: è avvilente. Di più, il massimo, per un
calabrese che un napoletano frega. Che si disprezzano vicendevolmente, ma il
napoletano, a questo punto, con più ragione. Tutti i calabresi temono i napoletani,
tutti i napoletani, anche i più miserabili, disprezzano i calabresi. Che sempre
stanno in guardia contro i napoletani, e sempre ne sono fatti fessi.
Il cavallo
Questa del resto non è la prima volta. Molto
peggio succedette per il ponte di Ognissanti all’indomani dell’11 settembre. Quanto
l’automobile fu assaltata con tutti i familiari dentro, poi buttati fuori a
qualche centinaio di metri. Proprio. Per terra, in mezzo alla strada. Nell’indifferenza
generale, durante l’assalto e poi, nella feroce espulsione. Nel tranquillo
sobborgo di Bàcoli nei Campi Flegrei, il paradiso alle porte di Napoli. Mentre
il giornalaio, forse non complice, intratteneva del più e del meno nella sua
chiusa bottega – mentre si faceva l’assalto. A poche centinaia di metri dal
garage dell’albergo. Dopo una vacanza passata a sviare i tanti malintenzionati,
apparentemente inesauribili, parcheggiando nelle aree guardate. Una pratica
collaudata in innumerevoli visite, fino ad allora, a Napoli - consacrata quello
stesso giorno dalla sfida certa, e infatti riuscita, di lasciare la macchina in
un posto remoto, segnato come parcheggio del ristorante X, da raggiungere poi con
una lunga scarpinata giù per un versante invisibile al parcheggio, certi che
comunque la macchina era “guardata”.
Allora non ci fu il contraccolpo
psicologico. Non ci fu tempo. Tra il soccorso da prestare, la ricerca di un
posto dove effettuare la denuncia, per strade subito deserte, i più zoppicando,
l’attesa di un’ora in un ufficio dei
Vigili Urbani vuoto, in piedi, mentre il comandante Maggiolini si sollazzava al
telefono, la cacciata dai Vigili Urbani a opera dello stesso Maggiolini,
“andate dai Carabinieri”, e il maresciallo dei Carabinieri Napolitano
soprattutto sollecito a ritardare la denuncia – “perché siete qui? perché siete
in macchina? è il vostro cavallo?”. Il maresciallo Napolitano si sciolse solo
quando il comandante Maggiolini gli telefonò per congratularsi che il ladro
dell’automobile aveva abbandonato una moto rubata nel pomeriggio. Ci portò in
albergo, parlottò con gli albergatori, e gli albergatori non trovarono nemmeno
un po’ di ghiaccio in cucina per lenire le sbucciature. L’indomani mattina il
taxi per la stazione di Napoli volle 50 mila lire – quanto costava allora il
percorso doppio Roma-Fiumicino. L’albergo non fornì nemmeno la prescritta prima
colazione.
Non c’è Sud senza
Si direbbe la barbarie. Ma questo si
sapeva: Napoli è così, prendere o lasciare. Gli esposti al Comune di Bagnoli,
al Comando dei carabinieri e alla Procura della Repubblica non hanno avuto
nessun riscontro. Che peraltro non era atteso: che ci fa giustamente uno a
Napoli? Anche con tutte le cautele, della macchina sempre custodita, senza
borse a tracolla, eccetera. Soprattutto: che ci fa un calabrese a Napoli?
Qui è più difficile rispondere. Perché un
calabrese non può evitare Napoli? È così. Può volarci sopra, ma ne resta
comunque jugulato. In treno, in automobile, e pure senza viaggiare, per la
subordinazione geografica. Ora anche per un’improvvida politica di seconde case
che ha consegnato mezza Calabria ai napoletani più ignoranti e insolenti. Non
c’è modo per un calabrese di aggirare Napoli. In coppa, direbbe un napoletano,
agli otto secoli di regno politico – si fa per dire. La stessa ‘ndrangheta si è
fatta tentacolare per i legami con la camorra, da cui ha imparato le pratiche
finanziarie e quelle spicciative, le “gomorre” che furbamente evitava.
Si potrebbe farne il perno della
questione. Senza se anzi, lo è: della questione meridionale. Spiega le diverse
risposte agli stimoli della questione meridionale, con la Calabria più indietro
di tutti, subito dopo la Campania. Il Sud soprattutto per questo non è uno
solo. La Sardegna non ha avuto mai nulla da spartire con Napoli. La Sicilia si,
ma solo nominalmente, era un vice-regno
a parte. Deve mandare le sue merci ai mercati via Napoli, ma non ha smesso di
cercare vie d’uscita: ora sperimenta il trasporto quotidiano di frutta e
verdura via mare. L’Abruzzo, appena si è sganciato da Napoli per gravitare su
Roma, è diventato una regione sviluppata. La Puglia idem – con la Basilicata,
che si è aggregata al carro pugliese. Quando è stata fatta la Milano-Bari, la Puglia
si è subito emancipata: è ricca, operosa, e perfino, a suo modo, civile. In tutte
le sue regioni, dal Gargano e il foggiano al Salento. Celentano è diventato
milanese, con profitto, invece di finire nelle sabbie di Napoli. Da Milano
decretando – con Gaber, Jannacci e altri milanesi, è vero – la fine della
canzone napoletana. Per la Calabria non c’è rimedio.
leuzzi@antiit.eu
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