domenica 1 dicembre 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (190)

Giuseppe Leuzzi

La mafia liberatrice
Manoela Prati, siciliana e storica, demolisce con documenti (con l’assenza di documenti) il mito della liberazione della Sicilia nel 1943 a opera della mafia. Fa molto di più (il libro s’intitola “La Sicilia e gli alleati. Tra occupazione e liberazione”): ricostruisce alcuni dei “vuoti” che si sono creati attorno all’impresa. La “scomparsa” degli inglesi. Le resistenze alla “liberazione”. Ma più di tutto ridimensiona il colonnello Charles Poletti, ex governatore dello stato di New York, attorno a cui si è costruito il mito della liberazione a opera della mafia. Che è una delle forme politiche di resistenza alla liberazione. Ma questo è argomento per gli specialisti.
La liberazione attraverso la mafia è però anche un’irrisione, e in questa forma è comune alla migliore Sicilia. Sembrerebbe una cattiveria appiccicata ai siciliani. E invece è mito propriamente siciliano: di grandi scrittori, Sciascia e Camilleri compresi, storici della mafia (Lupo compreso, che introduce Prati) e non, e delle conversazioni da treno, sotto l’ombrellone, al ristorante. Della Sicilia, un paradiso “sprecato”, si può ben dire “chi è causa del suo mal”? L’odio-di-sé è diabolico.
Ma quando cominciò la maledizione? Dev’essere intervenuta a un certo punto, perché per molti secoli la Sicilia fu creativa - eccezionalmente, come ancora si vede.

La questione nasce a Napoli
L’H a Roma passa raramente, è un mezzo veloce, con poche fermate, attraversa per linee rette la città, ed è sempre pieno. A maggior ragione oggi che c’è un mezzo sciopero dei tramvieri. È uno degli autobus dei borseggi - l’altro è il “64”, che va a San Pietro. Un uomo di mezza età, che ingombra l’uscita e mai scende, e impreca a ogni fermata contro coloro che ingombrano l’uscita, è la maschera del borsaiolo. È anche napoletano. Accanto a lui due giganti muti, uno bianco, uno nero, e inamovibili. Un piccolo trambusto si crea alla discesa: l’“H” salta la fermata del Palazzo delle Esposizioni, pare che ci sia una manifestazione, pare che il percorso verrà deviato, è infatti deviato, e quando infine si aprono le porte, la ressa è forte per uscire. Per ritrovarsi infine a terra, mentre le porte si chiudono e il mezzo riparte, con le tasche vuote, di soldi e documenti. Una novità - c’è sempre una novità nella vita. Impensabile anche, fino a un attimo prima le tasche si tastavano piene. Proprio per l’ombra dell’imprecatore, napoletano, “il borsaiolo”.
Una novità difficile da ingoiare. Essere derubati è come essere aggrediti, anche se la cosa poi è rimediabile, il danno in sé è poche centinaia di euro: è avvilente. Di più, il massimo, per un calabrese che un napoletano frega. Che si disprezzano vicendevolmente, ma il napoletano, a questo punto, con più ragione. Tutti i calabresi temono i napoletani, tutti i napoletani, anche i più miserabili, disprezzano i calabresi. Che sempre stanno in guardia contro i napoletani, e sempre ne sono fatti fessi.
Il cavallo
Questa del resto non è la prima volta. Molto peggio succedette per il ponte di Ognissanti all’indomani dell’11 settembre. Quanto l’automobile fu assaltata con tutti i familiari dentro, poi buttati fuori a qualche centinaio di metri. Proprio. Per terra, in mezzo alla strada. Nell’indifferenza generale, durante l’assalto e poi, nella feroce espulsione. Nel tranquillo sobborgo di Bàcoli nei Campi Flegrei, il paradiso alle porte di Napoli. Mentre il giornalaio, forse non complice, intratteneva del più e del meno nella sua chiusa bottega – mentre si faceva l’assalto. A poche centinaia di metri dal garage dell’albergo. Dopo una vacanza passata a sviare i tanti malintenzionati, apparentemente inesauribili, parcheggiando nelle aree guardate. Una pratica collaudata in innumerevoli visite, fino ad allora, a Napoli - consacrata quello stesso giorno dalla sfida certa, e infatti riuscita, di lasciare la macchina in un posto remoto, segnato come parcheggio del ristorante X, da raggiungere poi con una lunga scarpinata giù per un versante invisibile al parcheggio, certi che comunque la macchina era “guardata”.
Allora non ci fu il contraccolpo psicologico. Non ci fu tempo. Tra il soccorso da prestare, la ricerca di un posto dove effettuare la denuncia, per strade subito deserte, i più zoppicando, l’attesa di un’ora in  un ufficio dei Vigili Urbani vuoto, in piedi, mentre il comandante Maggiolini si sollazzava al telefono, la cacciata dai Vigili Urbani a opera dello stesso Maggiolini, “andate dai Carabinieri”, e il maresciallo dei Carabinieri Napolitano soprattutto sollecito a ritardare la denuncia – “perché siete qui? perché siete in macchina? è il vostro cavallo?”. Il maresciallo Napolitano si sciolse solo quando il comandante Maggiolini gli telefonò per congratularsi che il ladro dell’automobile aveva abbandonato una moto rubata nel pomeriggio. Ci portò in albergo, parlottò con gli albergatori, e gli albergatori non trovarono nemmeno un po’ di ghiaccio in cucina per lenire le sbucciature. L’indomani mattina il taxi per la stazione di Napoli volle 50 mila lire – quanto costava allora il percorso doppio Roma-Fiumicino. L’albergo non fornì nemmeno la prescritta prima colazione.
Non c’è Sud senza
Si direbbe la barbarie. Ma questo si sapeva: Napoli è così, prendere o lasciare. Gli esposti al Comune di Bagnoli, al Comando dei carabinieri e alla Procura della Repubblica non hanno avuto nessun riscontro. Che peraltro non era atteso: che ci fa giustamente uno a Napoli? Anche con tutte le cautele, della macchina sempre custodita, senza borse a tracolla, eccetera. Soprattutto: che ci fa un calabrese a Napoli?
Qui è più difficile rispondere. Perché un calabrese non può evitare Napoli? È così. Può volarci sopra, ma ne resta comunque jugulato. In treno, in automobile, e pure senza viaggiare, per la subordinazione geografica. Ora anche per un’improvvida politica di seconde case che ha consegnato mezza Calabria ai napoletani più ignoranti e insolenti. Non c’è modo per un calabrese di aggirare Napoli. In coppa, direbbe un napoletano, agli otto secoli di regno politico – si fa per dire. La stessa ‘ndrangheta si è fatta tentacolare per i legami con la camorra, da cui ha imparato le pratiche finanziarie e quelle spicciative, le “gomorre” che furbamente evitava.

Si potrebbe farne il perno della questione. Senza se anzi, lo è: della questione meridionale. Spiega le diverse risposte agli stimoli della questione meridionale, con la Calabria più indietro di tutti, subito dopo la Campania. Il Sud soprattutto per questo non è uno solo. La Sardegna non ha avuto mai nulla da spartire con Napoli. La Sicilia si, ma solo nominalmente, era un  vice-regno a parte. Deve mandare le sue merci ai mercati via Napoli, ma non ha smesso di cercare vie d’uscita: ora sperimenta il trasporto quotidiano di frutta e verdura via mare. L’Abruzzo, appena si è sganciato da Napoli per gravitare su Roma, è diventato una regione sviluppata. La Puglia idem – con la Basilicata, che si è aggregata al carro pugliese. Quando è stata fatta la Milano-Bari, la Puglia si è subito emancipata: è ricca, operosa, e perfino, a suo modo, civile. In tutte le sue regioni, dal Gargano e il foggiano al Salento. Celentano è diventato milanese, con profitto, invece di finire nelle sabbie di Napoli. Da Milano decretando – con Gaber, Jannacci e altri milanesi, è vero – la fine della canzone napoletana. Per la Calabria non c’è rimedio.

leuzzi@antiit.eu

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