Bisognerà rivalutare il tribalismo. Gli
Usa del resto, sotto la cui bandiera prospera l’era globale, non sono cosmopoliti,
nient’affatto: sono superetnici. Il padre del Grande Amico d’adolescenza del
padre dello scrittore, quindi siamo attorno al 1938, un irlandese, non sedeva a
tavola se l’“italiano” era invitato a mangiare. Ma ci sono anche effetti
benefici del tribalismo, e questo “Stolen figs”, la riscoperta di Gimigliano,
il paese dei nonni in Calabria, ne è celebrazione. Semplice, graziosa, golosa.
Trecento fittissime pagine di un modo diverso. Un mondo a parte anche, la
“parte misteriosa” della gloriosa Italia – i “fichi rubati” del titolo sono più
dolci, e per questo si rubano, non per bisogno ma per modo di essere, perché gustati
con lo scherzo o la beffa.
La scoperta è ritracciata attraverso la
memoria femminile, che sola assicura la persistenza, mentre il nonno e il padre
la rifiutano. Quindi attraverso il cibo, la devozione, la parentela – l’unico
ingolfato nel “tutto è mafia” è lo studente, il “novissimo”, che all’università
“segue” teatro e danza (teatro e danza si studiano o non si praticano?). Ma
niente di bozzettistico. Niente neanche di eccezionale, ma sì il miracolo della
scrittura – Rotella è anche (ri)traduttore di Levi, “Cristo s’è fermato a Eboli”..
Un miracolo pure di precisione, con
pochissimi errori nei toponimi o termini italiani, “Delianovo, “capicola”, roba
del genere (ma ha un “cazzo americano” invece di cazzone), e solo uno o due
errori di fatto. Uno forse non per colpa dello scrittore: un’addetta del
consolato italiano a New York lo convince che non può avere la cittadinanza
italiana via nonna, perché le donne fino al 1935 “non avevano diritti civili”. L’altro
è l’uso costante di ocean per i miti
mari mediterranei, il Tirreno, lo Ionio (il Roget’s se ne meraviglierebbe, che
solo registra di assimilabile le Oceanidi, le ninfe marine) – eredità forse
della Florida, dove l’autore è nato e cresciuto. Anche “affumicare la carne” è
sbagliato: il maiale in Calabria si bolle o si secca all’aria, facendolo poi
“rinvenire” nell’olio – ma può darsi che negli Usa, dove i nonni e i prozii dello
scrittore ne continuarono il rito invernale, abbiano dovuto ricorrere
all’affumicatura, altri climi.
Il pregio di questa riscoperta è che per
una volta si evita la nostalgia vacua - di che? È la novità, seppure delle
piccole cose, che Rotella fa gustare, giorno dopo giorno. Partendo dalla
casualità: in vacanza a Perugia col padre, lo convince a tornare, benché di
malavoglia, al paese per un week-end. In realtà per poche, svogliate, ore, ma
sufficienti a sorprendere il figlio. Ogni piccolo evento, gesto, saluto,
atteggiamento, smorfia, locuzione nei soggiorni successivi del figlio si
racconta con effetto di sorpresa, nella sua diversità, nelle radici se ce ne
sono, nei significati reconditi, storici, mitici, o solo di adattamento.
Non è un libro nuovo. Fa dieci anni
questo piccolo capolavoro della letteratura di viaggio, ma non trova editore in
Italia. La novità è questa. È un libro di scoperta, ma di scoperta della
Calabria, dove non si legge – è per questo che non si traduce? Ma costa poco in
originale, e si legge difilato, benché semplice, perché semplice – non bisogna
sapere molte parole d’inglese.
Mark Rotella, Stolen figs (and
other adventures in Calabria), Farrar, Strauss and Giroux, pp. 320 $ 16
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