Era di
Leigh Fermor originariamente - di un suo personaggio, il conte Jëno Teleki -
l’idea di far derivare gli ebrei ashkenaziti dai Khazari, la fantomatica
tredicesima tribù convertitasi dal paganesimo all’ebraismo. Confidata a
Koestler a pranzo in una taverna di Atene, è divenuta un anno dopo “La Tredicesima
tribù” dello stesso Koestler.
Su
Patrick Leigh Fermor, l’ultimo animatore dei luoghi, gli entusiasmi ultimamente
si sono raffreddati. Il pettegolezzo, cui indulgeva, gli si è rivoltato contro
dopo la morte nel 2011, a 96 anni pieni. Con la biografia che ora tiene campo
di una sua amica e anzi familiare, Artemis Cooper, che indulge sullo snobismo
dell’uomo e cerca lo scandalo – Leigh Fermor? un gigolò per aristocratiche
ricche. Ma il narratore c’è sempre, anche se meno irresistibile del dittico greco
per cui è famoso, “Mani” e “Roumeli”. Migliore anzi della prima tappa del lungo
viaggio che rimemora, “Tempo di regali”.
“Fra i
boschi e l’acqua” completa la memoria di un memorabile viaggio a piedi da
Londra a Costantinopoli, a vent’anni, dal 1934 al 1937. È una memoria scritta,
a mezzo secolo dal lungo viaggio – questa seconda parte l’ha completata nel
1986, la prima, “Tempo di regali”, nel 1977. Alla maniera di Goethe e del
“Viaggio in Italia”: una memoria sedimentata. Qui il suo talento di far rivivere
il nulla, luoghi scomparsi, parole, usi in disuso, appare svogliata. Ma le
vette del narrare breve, su cui Leigh Fermor ha costituito la sua setta di
seguaci, anche in un capoverso, o in una frase, sono numerose. La storia del
Filioque, che tuttora alimenta inimicizie acerrime tra il Vaticano e
l’ortodossia, è magistrale in mezza pagina. È però anche vero che parla molto
di baroni, conti e duchesse.
Ci sono
anche errori: Mattia Corvino alla liberazione di Otranto dai turchi, o le
guerre di successione al trono di Polonia. E ripetizioni e imprecisioni nel
calderone della Transilvania, tra le tante orde che fino ai turchi presero
possesso a ondate dell’Europa latina. Mentre ritorna tre volte la storia dei
mongoli che nel Duecento avevano conquistato il mondo, dalla Cina all’Ucraina e
all’Ungheria. In un anno, o poco più. Ma all’improvviso, essendo morto nel
Karakorum Ogoda, il successore di Gengis Khan, i capitribù voltarono i cavalli
per correre alla successione. Dopodiché si scordarono di tornare. E questo è
forse augurale, se al posto dei mongoli si mettono i cinesi invasori
dell’Unione Europea.
Patrick
Leigh Fermor, Fra i boschi e l’acqua, Adelphi, pp. 290 € 19
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