Forse
l’opera più riedita degli ultimi vent’anni – in catalogo agli Editori Riuniti,
Einaudi, Laterza, Melangolo, Pgreco. In forma di dialogo, che il filosofo usa
quando vuole mettersi in mostra (ogni filosofo è più intelligente dei
precedenti, e quando vuole esibirsi fa
un po’ di teatro). Già questo è una spia: il superintelligente superscettico
Hume credeva in se stesso – cioè in che cosa?
Filone-Hume
fa fuori dapprima l’aristotelica Causa Prima: nulla è certo (“questa cosa” non
è questa e non è cosa…), il concetto di causa è solo umano. Darwin
dissentirebbe, ma Hume è già passato a demolire il Dio del Disegno.
Appoggiandosi all’incolpevole Galileo: Galileo ha osservato il moto tra i
pianeti, e poi lo ha ipotizzato per la terra, coi possibili nessi causa\effetto,
noi invece dove altro abbiamo visto Dio?
Credere per intuito, o senso comune, è solo voglia di credere, o misticismo, e “i mistici non sono che atei”.
Poi Filone-Hume anticipa Odifreddi. La materia si adatta - chissà mai per quale
istinto, ma l’evoluzione è salva. E il mondo è disordinato – salvando anche il
Big Bang. Quindi Hume si assicura il trionfo ripetendo Epicuro: perché Dio se
c’è il male, e c’è la morte?
Hume non
riteneva la ragione scevra da passioni, e anzi ve la assoggetta – “la ragione
è, e dovrebbe solo essere, schiava delle passioni”. L’uomo ritenendo non diverso
da ogni altra specie di natura vivente. Ma quando parla di Dio no, la ragione
riduce all’algebra. Succede che le ipotesi diventino assiomi nello scetticismo.
È inevitabile del resto che l’ateista si divinizzi: primo ateo professo, Hume è
lui stesso il Faber e l’Arbiter.
David Hume,
Dialoghi sulla religione naturale,
Bur, pp. 430 € 12
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