Heidegger
subì una fascinazione ultraventennale, dal 1932 al 1954, del “Lavoratore”, e
anche di “Foglie e pietre” (“Sul dolore”) e “Un cuore avventuroso”, tre opere
pur discontinue di Ernst Jünger. Su di esse, soprattutto sul “Lavoratore”, ha riflettuto
per oltre quattrocento fogli di glosse, appunti, progetti, che ora prendono un
volume delle opere compete, il XC, e vengono proposti da Marcello Barison con
l’originale a fronte. Non ne ricavò un corso, né organizzò i materiali, come
per Nietzsche, Hölderlin, Parmenide, Eraclito, non se ne “liberò”, se non in
minima parte nel breve dialogo “Oltre la linea”, ritornandoci anzi su
ripetutamente.
Nel 1953 se
ne staccherà condensando le riflessioni nella conferenza La questione della tecnica, la
cui pervasività riconduce al ritorno della metafisica (suo rovello costante,
tra Platone e Kant) attraverso la volontà di potenza, ridotta però a soggettività,
che si vuole misurabile, concretamente impiegabile, anzi progettabile. Finisce
così col rifiuto, in una sorta di voluttà reazionaria, l’avventura di Heidegger
con Jünger. Ma prima è come un suo alter ego: con lui si confronta sui temi più
sensibili. Attratto, forse più che dalla materia del titolo, da quella del
sottotitolo del “Lavoratore”: “Dominio e forma”.
L’identificazione
è anche politica, benché non detta, nella rivoluzione conservatrice di cui
Junger è capofila. Nella sfida della rivoluzione conservatrice all’innominato
socialismo, che è il fondale di scena di entrambi – non si riflette mai abbastanza
a quanto ha cambiato la storia della Germania il 1989, la caduta del Muro, e a quanto ha pesato prima, per settanta e più anni. Jünger
sembra dapprima servire a Heidegger per agganciare l’intellettualità che ricostituiva
la Germania nazionale, nella repubblica di Weimar internazionalista o degli
“adempimenti” di guerra, sottomessa cioè a Versailles, alla sconfitta. Ma gli si
rivela un punching ball stimolante
per molteplici questioni. La scoperta della Forma, o Gestalt (§§ 122-134) – la forma
mentis, poi sempre più immagine:
“Il concetto di Jünger è diverso non soltanto nel «che cosa» (soldato, combattente), ma anche nel come in quanto forma (non classe)” (§ 102). La soggettività,
da Jünger derivata da Nietzsche, a giudizio di Heidegger, e ampliata – come
Nietzsche - in volontà di potenza. Di contro al realismo, che definirà infine lapidario, tra i tanti andirivieni, come “competizione del pensiero con
l’essere” (§§ 69-75): “Prendere piede nell’essere. Ma come? In quanto attuazione della soggettività”. E al fondo sempre la
curiosità per il rigurgito metafisico costante, da Nietzsche a Jünger, in ragione sempre della soggettività.
Un
dizionario politico di Heidegger, in particolare, ci troverebbe ottimo
materiale. Al § 110: “Per nulla soggettivo – anzi troppo oggettivo – l’essere
della moderna soggettività. Psicoanalisi modernamente convertita in
forma di dominio e modificata in chiave poetica. Lo straniamento rispetto alla
storia, perché non presagito e perché vittima della ricerca: ossia
storiografia”. Con una curiosa difesa del “borghese”, che Jünger rappresenta
sfavorevolmente (“unilateralmente”) a fronte del lavoratore. Non per riflesso
condizionato ma per solida articolazione, attraverso il concetto di “dominio”,
al § 103: “Dominio apparente significa non soltanto che si trattava di un
dominio non effettivamente realizzato, bensì che l’essenza del dominio non veniva affatto esperita e non poteva
essere esperita. Jünger pone il borghese in una prospettiva di confronto che
questi fin dal principio non riconosce come tale”. E una rivalutazione del
“ceto” invece della “classe”, anch’essa articolata – al § 104: “La lotta tra i ceti non sconvolge mai la società nel suo insieme e
non attacca mai il «principio» della sua costruzione”. Il lavoro (§§ 94-95), l’“elementare”
(§§ 107-114), la guerra, la libertà (§§
135-148), il progresso (149-153). La volontà di potenza, su cui si registra (il lungo § 175) un primo distacco da Jünger, che Heidegger áncora a una concezione “romantica”: “Secondo Jünger.... la «volontà di potenza» indica un «atteggiamento», in cui giunge ad espressione un «senso di mancanza».... Questa è una assurdità.... Volontà di potenza significa comandare la potenza (ossia attuazione del dominio) - dominare la sua attuazione”. C’è perfino Dio, al § 120: “Il mondo come
«immagine» (Bild) – forma (Gebilde), caso ammaestrato – essenziale solo là dove il caso s’installa”.
Una conferma
delle inesauribili capacità analitiche di Heidegger – specie a fronte della relativa
indigenza delle proposizioni su cui si esercita (il proprio di Jünger è l’esposizione-narrazione,
con l’occhio dell’entomologo curioso, ma escludendone la precisione, fuori
quindi di ogni coerenza: la sua immagine
è dichiaratamente creativa, non ragionativa: evocativa, anche vaga). Riflessioni però anch’esse a fini di verità e non
di sistema, di dimostrazione – anticipando la “svolta” di fine guerra, quando Heidegger
pretenderà a un pensiero non sistematico, sul linguaggio, la poesia, la verità.
Singolare è la fascinazione che Jünger - uno scrittore, quando non era entomolog - esercita su Heidegger. Il non detto della raccolta è la sintonia sul nazionalismo. Fino al nazismo, o alla sua anticamera - da sopracciò, più che da critici: da intellettuali snob, Jünger per costituzione (formazione), Heidegger per posa. Uno storico del nazismo ci troverà molti riferimenti, evidenti anche se non dichiarati, comuni a Heidegger come a Jünger: sulla volontà di potenza, le necessità del dominio, la diversità (razzismo) spirituale. Insieme a un curioso, ripetuto, accenno a una sorta di fratria segreta, di cenacolo ristretto di uomini superiori.
Martin
Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani,
pp. 871 € 35
Singolare è la fascinazione che Jünger - uno scrittore, quando non era entomolog - esercita su Heidegger. Il non detto della raccolta è la sintonia sul nazionalismo. Fino al nazismo, o alla sua anticamera - da sopracciò, più che da critici: da intellettuali snob, Jünger per costituzione (formazione), Heidegger per posa. Uno storico del nazismo ci troverà molti riferimenti, evidenti anche se non dichiarati, comuni a Heidegger come a Jünger: sulla volontà di potenza, le necessità del dominio, la diversità (razzismo) spirituale. Insieme a un curioso, ripetuto, accenno a una sorta di fratria segreta, di cenacolo ristretto di uomini superiori.
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