Le “fourmis” del racconto di apertura
sono piuttosto formicolii: li sente il soldato appollaiato, dopo una campagna al
fronte, su una mina che scoppierà a rilascio di pressione. Uno che insomma il
racconto ci fa in punto di morte, di corpi che s’afflosciano, lacerti che
volano, teste , braccia, gambe mozzate, e buchi che si aprono nei petti. Una
raccolta dei primi racconti, brevi, che si direbbero moralità: la guerra quale
è, gli sbirri manganellatori, di guardia al Partito Conformista, la tortura dei
compagni di viaggio in treno, il
fornaio usuraio del sudore della fronte con cui condire il pane. Ma sono già
Vian: un inventore, uno scopritore, e un trasformista. Delle cose e della
lingua.
È una proposta che è una sfida. Le riproposte
di Vian sono timide nella stessa Francia, ma in Italia sono ancora tabù, anche
se la censura del conformismo dovrebbe essere caduta. Ma sono per il lettore un
godimento.
Vian è una sfida anzitutto per il
traduttore. È considerato autore faceto, del genere burlesco. Ma racconta come
un Savinio più liberamente visionario – meno controllato ma con la stessa
“leggerezza profonda”, o il “profondismo”, aborrito, lieve. E scrive come poi
Robbe-Grillet e Godard e la Nouvelle Vague del cinema, per salti “logici”, il
dopo-prima, e viceversa, il sopra-sotto, il davanti-dietro, etc,. Si legge, a
quasi settant’anni dalla morte, per questo. I racconti, questi racconti in
particolare, tra i primi suoi, sono soprattutto del denudamento del linguaggio.
Dei suoi clichés il giocoso Vian è un
feroce cacciatore.
Boris Vian, Le formiche, Marcos y Marcos, pp. 270 € 10
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