Autoritratto
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L’autofiction si moltiplica
indefinitamente con i selfie, gli
autoritratti che i telefonini hanno messo alla portata e nelle abitudini di
tutti in ogni momento e occasione. Per lo più postati, se non immortalati, su
facebook, una tribuna mondiale. Si può dire il millennio dell’autoritratto, se
non propriamente dell’autofiction,
campo finora riservato agli artisti, che ne usavano con parsimonia.
Correttezza – Gli ottimi
classici Oxford, della Oxford University Press, si corredano di uno svelto
apparato di note e un glossario. Nei quali si spiegano (a uso degli americani,
degli anglo-asiatici?) parole come Patagonia, Madagascar, “edizione speciale”, e
che “d----bly” è “damnably”, e “una volte per tutte” è “costruzione francese”,
ma non “poleaxed”. Non per pudore, che i testi e le situazioni spesso
soverchiano senza remore, per correttezza politica: per non disturbare i turchi
e i cinesi, che l’impalamento praticavano.
Femminismo – Senza più
ostacoli in campo maschile, che è anzi corrivo e perfino ancillare. Ma sempre
più circoscritto, e in qualche modo demotivato, dal movimento gay, o
dell’indifferenza sessuale (promiscuità).
Golpe – È il marchio del Millennio –
perlomeno in Italia. È iniziato col golpe dell’euro, denunciato dall’antropologa
Ida Magli. Ora Luciano Gallino ne ha uno “di banche e di governi”. Ora, un
golpe dei governi è una contraddizione in termini, ma chi può dirlo. Berlusconi
dunque non è il solo, che il golpe lo vuole a giorni alterni di Esposito o
Napolitano – ma perché non potrebbero essere uniti i due nella lotta, se sono entrambi
napoletani…
È una
derivata molto moscovita. Degli zar prima e poi di Stalin e il sovietismo:
dappertutto e ogni giorno, si può dire, c’era un golpe da sventare. E il
sovietismo è sempre forte in Italia. Il massimo avvisatore dei golpe in Italia,
Giulietto Chiesa, che ne denuncia uno ogni paio d’anni, si era illustrato quale
corrispondente da Mosca, seppure della liberale “La Stampa”.
Kabila – Chi è a capo del
Congo, che ha bloccato le famiglie italiane invitate nel paese per completare
le pratiche di adozione? Joseph Kabila, il presidente del Congo, in carica da
dodici anni, virtualmente eletto, è succeduto al padre, Laurent Kabila,
all’assassinio di questi il 16 gennaio 2001. “Monsieur” Laurent, il fondatore
della dinastia, era personaggio in vista a Dar Es Salaam negli anni 1970, dove si
era esiliato, per la vita dispendiosa e i costumi liberi. E per aver incontrato
i favori, tra le tante, di Miss Ewan, Dorothea, che poi morì nel 1975 sulla
strada per‘Ndola, in un incidente che forse è casuale. Il suo vedovo non
sconsolato, monsieur Laurent, si faceva chiamare mzee, vecchio, ed era agiato imprenditore, di flotte da pesca, casini,
e rapimenti, di studiosi europei o americani, che risolvendo in contanti o
contro armi - monetizzava il mal d’Africa. Aveva un suo movimento di liberazione,
Parti de la Révolution Populaire, filocinese, a Hewa Bora, tra Burundi e Congo,
e una moglie tutsi, nera e alta. Ma manteneva il centro degli affari al sicuro
in Tanzania. Ci sarà sempre un movimento di liberazione in Congo, terra delle
tenebre, ma da cosa?
S’incontrava allora il Che sotto tutte le
forme di gadget a Dar Es Salaam. Dove transitavano le armi fornite da russi e
cinesi in gara per il socialismo, fucili Fal, mitra Uzi, pistole Beretta, roba
capitalista liberamente rivenduta. Lo vevano distrutto, il Che, nel Congo.
Obbligandolo per mesi a camuffarsi di dentiere e peli posticci, col nome comico
di Tatu, e a medicare troie e sifilitici, mentre i militanti sopratutto scopavano,
tra le zecche e i pungiglioni di Kigoma, Kibamba, Lulinga, accasciandolo di critiche
violente dei sottopancia rivoluzionari, nelle anticamere dei capi. Ognuno
pensava alla sua collosa tribù, e il Che era lì per nulla: Soumaliot demagogo e
venduto, Kabila logorroico, Gbenye un bandito, Olenga un cretino, si aumentava
i gradi a ogni villaggio conquistato, Mulele separatista del Kasai. E un
tenente colonnello Lambert che, protetto dalla dawa, il liquido magico,
si dichiarava “invulnerabile alle palle”: “Mi sparano, ma le palle cadono senza
forza al suolo”. Era il 1965, il primo anno in cui non ci fu una rivolta in Congo. Trent’anni dopo, Kabila ce l’aveva
fatta, dopo aver sobillato il Ruanda, e occupava anche Kinshasa, spodestando Mobutu,
per la sua propria rivoluzione.
Miss Ewan morì incinta di cinque mesi, fedele
a Laurent Kabila. Si poteva vedere alcuni anni prima, nella capitale della
rivoluzione, rossa di minigonna, fiammeggiante, altissima su gambe scalpitanti,
che mostrava fino all’inguine. Tutta inglese come si dichiarava, rapida nella
controllatissima parlata, energetica sulla jeep
che si guidava da sé, con l’aureola di apparizioni periodiche, i giorni passando
a distribuire matite e gomme da cancellare ai bambini delle scuole povere.
Integra malgrado tutto, nessuno l’avvicinava con intenzioni recondite, gli
indigeni sembravano non vederla. La fondazione che rappresentava era canadese, diceva,
i soldi di un magnate australiano.
Kabila II non si sa invece chi sia.
Quando sia nato, da quale madre, in che anno, in che posto. E come faccia a
governare, essendo di carattere schivo, e di età giovane, trenta, massimo
trentacinque anni nel 2001. Forse un ruandese, figlio di una delle mogli di
Laurent, una tutsi chiamata Marcelline. E di un generale che era stato a capo
dell’esercito congolese, James Kabarehe, di cui Joseph era l’autista e figurava
il nipote, e che da qualche mese l’aveva nominato comandante in capo
dell’esercito congolese. Kabila II vive a Kinshasa senza parlarne la lingua
locale, il lingala, mentre parla il
kenyarwuanda, che si parla in Ruanda. A suo favore c’è un precedente: un altro generale
schivo e silenzioso fu messo a capo del Congo per vent’anni e oltre, Mobutu. Ma, a
differenza di Mobutu, non controlla il paese. Che in effetti è grande, ma Kabila
II non controlla nemmeno Kinshasa, i movimenti di liberazione continuano a
pullulare.
Mercato – Presuppone una forte (dominante) posizione di potenza. Storicamente: si è imposto quando l’Inghilterra dominava i mari, a metà Ottocento. E, nella storia contemporanea, dove e quando gli Usa hanno avuto una posizione di forza: dal Patto Atlantico alla Cina di Deng. O meglio alla caduta del Muro con Tienanmen, la caduta del comunismo. A patto naturalmente di produrre più merci più a buon mercato. È il problema oggi dell’Europa, soggetta all’egemonia tedesca, ma non dichiarata e non produttiva.
Spiegato
suasivamente da Adam Smith , e dimostrato – probabilmente – da Ricardo, il
libero mercato si realizza solo in ambito imperiale, dove una potenza esercita
un’egemonia incontestata. Tale da restringere a un solo caso la\le possobile\i
eccezione\i. L’impero inglese ne dà dimostrazione anche in negativo: di un
mercato ristretto e perfino annientato se contrasta con la potenza. Imponendo
nel Sei-Settecento, con i Navigation Act, l’uso di navi e equipaggi inglesi per
i commerci, per stroncare la concorrenza olandese e francese. E nell’Ottonceto,
con la rivoluzione industriale in corso, eliminando la concorrenza indiana nel
tessile col blocco delle esportazioni, con dazi e contingenti.
Roma – È la città delle divinizzazioni,
se non proprio santa – i santi, cioè, li fa. Ha cominciato Augusto con Cesare –
e in prospettiva con se stesso. La chiesa le ha rilanciato su vasta scala. Roma
ci ha pure provate con le dive, sulla scia di Hollywood, ma si è fermata a
Sophia Loren – la materia prima si è perduta nel femminismo, livellatore. Ha supplito
l’energetico Giovanni Paolo II, che ha rimesso in moto i processi a grande
velocità
Snobismo – Arte
recenziore, dispendiosa, inutile. A tutti gli effetti anzi devastante, e
tuttavia diffusa. Celebrato attorno all’aristocrazia inglese, in realtà ambìto in ogni classe sociale – impensabile è
lo snobismo nei ceti popolari meridionali, in Sicilia, in Puglia, nel
napoletano, in Calabria. L’imitazione la prosopopea da chi meno ci se lo aspetterebbe.
È un fenomeno di compensazione, prodromo alla (o esito della?) invidia sociale.
astolfo@antiit.eu
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