Vito Teti
non nasce italiano del Sud. Nasce, come tutti, italiano. È dopo che “si scopre”
del Sud. Il suo approccio alla questione in questa narrativa storica dice
tutto: il Sud è un problema socio-economico e un problema antropologico, di
attitudini, e l’uno probabilmente si lega all’altro.
Già autore,
vent’anni fa, del recentemente riedito “Origini del pregiudizio
antimeridionale”, l’etnologo Teti si addentra, in un centinaio di pienissime
pagine, nel pregiudizio quotidiano, corrente. Fatto di stereotipi,
naturalmente, di abitudine più che di partito preso, ma anche di tanta
perversa, interessata, volontà. Non fa fatica nella ricerca, deve semmai limitarsi
– dalla sua prima indagine, 1992-1993, una “questione settentrionale” è stata
imposta: il Nord vittima del Sud. Un esito che aveva anticipato nell’ampia
introduzione due anni fa alla riedizione delle “Origini” (col titolo di
passaggio “La razza maledetta”): il Sud sfruttatore del Nord, il razzismo di
Miglio, la passione di Cristo a opera dei Bruzi – i calabresi di duemila anni
fa. Ora può aggiungere la genealogia calabrese di Giuda: Giuda Iscaliota invece
che Iscariota, di Scalea... Per questo il libro è gratificante, si legge come
un racconto d’avventure. Una perla, anche rara: Teti si muove fra riferimenti
sorprendenti – di cui purtroppo la bibliografia che correda il saggio non
sempre tiene conto. Che saranno grate probabilmente agli stessi “nordici”.
Che dire
dell’eterna questione? Chi è cresciuto al Sud come Teti negli anni 1950 - ma è
vero ancora negli anni 1960 - fatica come lui a riconoscersi nel Sud dell’ozio,
della pigrizia e del parassitismo. Oggi magari è vero, ma è l’Italia che ha
portato il Sud a questo, con l’assistenzialismo invece della politica. Teti non
lo dice, ma è la verità del suo stesso saggio: il problema del Sud è l’Italia.
O il Sud stesso ma perché non sa confrontarsi con questa Italia sempre fuori
fase: ora intromettente ora punitiva. La questione meridionale andrebbe infine
vista com’è: un Sud dentro l’Italia, il “Sud” è nato con l’Italia.
Si può
aggiungere, in parziale disaccordo, che la dieta mediterranea è ottima: tiene
in buona salute e fa molti centenari – Teti non dia ascolto a “esperti” che le
multinazionali del cibo confezionato telecontrollano. E che il meridionale è malinconico, pittoresco, conviviale,
generoso, avido. Come il settentrionale – forse pure come lo svizzero. Il
meridionale non differisce in sé dal settentrionale, sono due generalizzazioni.
Ma, ecco, non ha la capacità-possibilità di “accumulo” che gli altri hanno,
settentrionali e svizzeri. Nel senso tecnico del termine, dell’elettrotecnica:
di intraprendenza, industriosità, applicazione, controllo. Ogni volta che ci
prova trova gli spazi (il mercato) chiusi – il Sud è dentro un collo di
bottiglia, avrebbe detto la teoria economica classica. Compreso l’ordine
pubblico – eh sì, avendo visto nascere almeno quattro mafie nella Piana di
Gioia Tauro negli anni 1960 si può testimoniare che esse sono l’effetto
dell’ordine pubblico (carente – passivo, abulico, burocratico: le prime vittime
di mafia dovettero cercare loro i colpevoli, loro le prove, e perfino i giudici
che li condannassero, a nessun effetto a questo punto, la mafia aveva vinto, la
violenza contro il possesso, non dei baroni, che non c’erano, nemmeno
sull’albero, ma di chi l’aveva faticato).
Ogni esito
era – è – impossibile al meridionale, a meno di non fabbricarsi “speciali”
rampini. Dei quali invece può fare a meno se emigra. Magari non a Milano, dove
prima o poi sarà scoperto colpevole, ma sì in Francia, Belgio, Inghilterra,
Usa, Canada, Australia, e perfino in Svizzera. In Italia non ha possibilità di
sfogo nemmeno a parole: se c’è un sistema baronale al Sud da almeno un paio di
secoli è quello dell’opinione. Questa Italia – che poi è il Nord, e da una
ventina d’anni è solo Milano - scrive il Sud, e gli fa anche da maestro di
scuola. Nella filosofia esistenzialista, e a Roma, si direbbe: il Sud? non
esiste.
Vito Teti, Maledetto Sud, Einaudi, pp. 131 € 10
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