Non si finisce, e ormai sono sei o sette
anni, di sentirsi a disagio nel’Ara Pacis di Meier. La vecchia teca era così
semplice, graziosa, e visibile, un monumento en plein air. Quella dell’architetto Usa è ingombrante e insignificante.
Sbagliata anche, nei volumi nella
disposizione, nell’orientamento, rispetto al luogo a alla luce. Solo
pretenziosa. Forse buona per le scuole, ma ai ragazzi non piace l’atmosfera di gesso
– vi si respira il gesso, anche se il materiale è il travertino. Per non dire
dell’ingombro. Un angolo di Roma e una piazza tutto sommato ancora importante,
col mausoleo di Augusto e due belle chiese, è stata tranciata dal cubone bianco,
un ecomostro.
Non è un caso unico. Meier è autore anche
di un altro monumento a Roma, la chiesa di Dio Padre Misericordioso a Tor Tre Teste.
Voluta dal Vicariato per riqualificare l’ex borgata, è anche monumento
d’ingegneria, con tre alte vele affiancate – la sfida di tutti è da qualche tempo la vela,
l’architettura aerea, la nuvola, etc. Ma non ha niente di Dio, né del Padre, né
della Misericordia. Meier dà netta l’impressone dell’archistar che scarica
progetti senza nemmeno una vista lampo ai luoghi. Fa monumenti invece che
edifici, che situa in ambienti estranei. Con la sola ambizione, evidentemente,
di tenere alto il cachet.
Sono, queste, due di un buon numero ormai
di opere faraoniche. Roma si può dire una galleria di queste opere avulse. Da
quando, da circa vent’anni, decise col sindaco Rutelli di svecchiarsi.
Purtroppo non di riempire i tanti buchi, che lascia ai topi e ai centri
sociali, per tutti l’enorme ex Mattatoio, mezzo quartiere Testaccio. Ma di
innestare il nuovo nell’esistente. Come il Meier di piazza Augusto Imperatore,
anche se meno stridente, è il celebratissimo Maxxi di Zara Hadid. La struttura
più fredda che sia concepibile. Brutto di fuori, si entra non si sa dove, non
fosse per i fascioni che annunciano le mostre, poco funzionale dentro, con
hangar altissimi sproporzionati, difficile termoregolarli, impossibile
suddividerli, afono palarci.
Anche come monumenti, queste strutture
sono inutili, perché fredde. Né si possono dire un investimento nel turismo:
sono una carta da visita di ridottissimo apprezzamento. Per non dire dei soldi
che fagocitano. Perché le archistar non si curano dei numeri, a parte la
parcella.E sempre sbagliano i conti: l’opera non viene a costare mai meno di tre
volte il progetto. Andando a prendere l’autostrada per Napoli, s’incontra da
anni nell’agro fuori del Raccordo Anulare lo scheletro di una gigantesca vela
bianca. Un monumnto che si chiama proprio “la Vela”, ed è dell’archistar
Calatrava. Doveva servire per il Mondiale di Nuoto a Roma nel 2009 ma è stato
abbandonato nel 2007. Il costo era lievitato da 120 a 650 milioni.
Calatrava non si scusa per questo. E d’altronde
la sua lievitazione è nulla al confronto con quella del Parco della Musica, sempre
a Roma, di Renzo piano. Dove i lavori sono stati infine chiusi forzosamente,
per bloccare l’emorragia finanziaria, a scapito della funzionalità. I tre
enormi scarabei sui colli sono quello che rimane del progetto di Piano, la
parte bella del progetto. La realizzazione, poco curata dall’archistar, e infine
lasciata ai costruttori, ha anch’essa, sebbene non del tutto freddi, spazi
altissimi e inutilizzabili. Che si succedono a scale altissime e anguste – i primi
anni i vigili del Fuoco hanno dovuto assicurarne l’agibilità con una presenza
costante durante le esecuzioni nelle tre grandi sale in alto. Uno spreco di cubature
nel quale erano stati dimenticati gli elevatori, per disabili, obesi e pigri.
Che sono stati ricavati successivamente, di ripiego, in modesti angoli della
megastruttura, pochi, piccoli e lenti.
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