Già negli anni
1890 ci fu, all’interno della divisione sempre feroce tra destra e sinistra,
un’ulteriore divisione in uno degli schieramenti, contro Crispi. Uno dei
devotissimi dello statista siciliano, ritornato al potere dopo un periodo di
disgrazia, chiamato dal re per supplire al momentaneo disimpegno di Giolitti
per lo scandalo della Banca Romana, si schierò alla fine contro di lui:
Cavallotti, milanese, garibaldino, poeta, storico, drammaturgo, deputato,
radicale di sinistra, “il bardo della democrazia” – la divisione nella
divisione avvenne allora a sinistra. Per rimproverare a Crispi tutto, dalla
bigamia a una raccomandazione alla Banca Romana. Cioè niente, e non solo perché
il libello è precisino tanto quanto pretestuoso, noioso – nulla al confronto
col “J’accuse” che Zola scriverà tre anni dopo, nel 1898. Ma allora di grande
effetto: la “Lettera” fu
pubblicata nel giugno del 1895 come supplemento speciale al “Secolo” di Milano
e sul “Don Chisciotte” di Roma.
Si può dire Cavallotti, oggi noto solo a coloro che abitano
nelle tante strade a lui intitolate, e nemmeno a loro, un precursore di Grillo:
nei giornali se ne parlava moltissimo. Fece erigere il monumento a Giordano
Bruno al Campo dei Fiori a Roma nel 1889 e sostenne 33 duelli, nell’ultimo dei
quali rimase ucciso. Siccome questo avvenne qualche tempo dopo la pubblicazione del
libello, se ne parlò per qualche tempo anche dopo morto. Il duello mortale col
conte Macola, veneziano, avvenne alla vigilia della svolta reazionaria di casa
Savoia, che culminerà due mesi dopo nella strage milanese di Bava Beccaris. Fu
il conte un sicario di re Umberto? Ferruccio Macola era stato autore,
quattro anni prima, “L’Europa alla conquista dell’America Latina”, della maledizione
dei “sudici”, la gente del Sud (“degenerati che aborrono l’acqua in terra e in
mare” etc., dalla “immensa sporcizia”). Lorenzo Stecchetti sosterrà che mandante non
fu il re ma Crispi. Con Crispi invece si schierò, impetuoso e fantasioso, Carducci.
Il nucleo
della lunga “Lettera” è una decorazione concessa nel 1891 a un affarista,
Cornelio Herz, presentato dal banchiere parigino di origine tedesca, Jacques de
Reinach nato Jacob, che i Savoia, per obbedienza massonica o per servizi resi,
avevano nobilitato nel 1866, a 26 anni, col titolo di barone – poi riconosciuto
a Berlino da Guglielmo I. Herz fu però segnalato come persona inaffidabile e,
pochi giorni dopo la concessione, l’onorificenza venne revocata. Crispi
c’entrava in quanto fautore di una politica di avvicinamento alla Francia nei
quattro anni in cui fu presidente del consiglio, fino al 6 febbraio 1891.
Reinach gli aveva raccomandato Herz, e Crispi risultò avere comunicato a
Reinach il 7 febbraio 1891 l’onorificenza, e il 7 marzo la revoca. Ma risultò
avere ricevuto successivamente da Reinach, il 21 marzo, un accredito di 50 mila
lire, che Cavallotti dice il “prezzo” dell’onorificenza – non concessa.
Nella lunga
argomentazione, curiosamente, Cavallotti non attacca Reinach, suicida un anno e
mezzo dopo la vicenda, uno dei profittatori dello scandalo finanziario legato
alla realizzazione del Canale di Panama. La questione morale è sempre torbida.
Felice
Cavallotti, Lettera agli onesti di tutti i partiti
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