O la vera storia del San Raffaele-Roma. Sergio Rizzo riesuma la vicenda oggi sul “Corriere
della sera” tacendo l’essenziale. Che invece era noto quindici anni fa esatti,
giorno più giorno meno (ripreso dal don Verzé cinque anni dopo nel suo libro
con Giorgio Gandola, “Pelle per pelle”):
“Il ministro della Sanità Rosy Bindi ha imposto
alla Fondazione milanese del San Raffaele di vendere a tutti i costi, anche a
costo di svendere, l’ospedale che aveva appena terminato di costruire a Roma.
Senza nessuna ragione, per atto d’imperio – i buoni cattolici sono spietati. Siamo
a settembre.
“Rosy Bindi ha fissato anche il prezzo di
cessione: 201 miliardi. Cioè lo svenamento per il San Raffaele, che pretende di
avere investito 350 miliardi. La Fondazione milanese però non ha alternative: è
impossibilitata a operare. Su impulso del predecessore di Bindi, Luigi
Berlinguer, ex Pci, aveva già assunto e formato anche il personale. Ma non può
aprire in mancanza della convenzione con la Regione Lazio. Che è retta da Piero
Badaloni, giornalista garbato, ma inflessibile Dc, anzi “popolare” come Bindi. Il
San Raffaele ha dalla sua, oltre che l’ex Pci, Cesare Geronzi e la Banca di
Roma. Ma niente da fare: Badaloni non risponde, e non si fa trovare –
immaginare Badaloni che tiene testa a Geronzi non è possibile, ma l’ex
giornalista è tenuto con la briglia stretta (come Rosy Bindi?) da ambienti
vaticani. Con i quali è anche Giovanni Bazoli, banchiere milanese ma forse più
influente di Geronzi.
“L’8 ottobre cade il governo Prodi, il nuovo
presidente del consiglio D’Alema fa ben sperare, ma poi è costretto a confermare
Rosy Bindi. Che, trionfante, fa fare una perizia a un suo consulente privato, e
tira fuori la cifra dei 201 miliardi. Senza dolo apparente: è lo Stato che si porta
acquirente, quindi meno spende meglio è. Siamo sempre a ottobre. La Fondazione
traccheggia, ma sono i banchieri ora a caldeggiare la retrocessione, “vivamente”,
come si suol dire, tutti molto cattolici, la Cariplo, Bazoli, lo stesso Geronzi.
La Fondazione firma un preliminare per 201 miliardi. Ma nicchia a finalizzarlo
in consiglio.
“A novembre il consiglio è convocato. Ma arriva
una telefonata di Antonio Angelucci, imprenditore sanitario di Roma, che si
porta acquirente per 270 miliardi. Un
salvagente insperato per la Fondazione. Che però nicchia ancora: non vorrà “lo
Stato” esercitare la prelazione, nazionalizzare alle sue condizioni? No, lo
Stato dà via libera. Una storia a lieto fine, dunque, seppure parziale?
“La storia non è finita. Perché ora, poche settimane
dopo l’irruzione del gruppo Angelucci (Banca di Roma? Geronzi personalmente?),
sembra completarsi diversamente. Il gruppo romano tratta già per rivendere il
San Raffaele allo Stato, e al ministro Rosy Bindi. Per 320 milioni. Cinquanta
miliardi di valore aggiunto in pochi mesi, per un’opera ancora non avviata: un
record. Ma di che natura?
“Il San Raffaele è nato a Roma nel 1994, uno
degli ultimi atti dell’ultimo rettore di sinistra – intelligente, onesto - dell’università
La Sapienza, Giorgio Tecce, per decongestionare il Policlinico Umberto I,
soffocato anche nelle opere murarie, coi posti letto in corridoio. E in meno di
tre anni era stato realizzato. Un investimento da 330-340 miliardi di lire, secondo
le stime dei più accreditati broker
del settore. Rosy Bindi ha agito su impulso del nuovo, chiacchieratissimo,
rettorato della Sapienza? Per conto degli Angelucci? Contro l’ex Pci? Con quale
utile per lo Stato, per gli utenti?”
Il progetto di
decongestionamento del Policlinico si riprende oggi, dopo vent’anni, su
iniziativa delle giunte di sinistra al Comune di Roma e alla Regione Lazio, e della “sinistra ferroviaria” di Trenitalia. Ma
è scommessa facile che non passerà.
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