martedì 3 dicembre 2013

Voleva ridere, la mandarono a Auschwitz

Una rilettura ferma in Francia da ormai un lustro, e più, che invece trova in Italia fervida attenzione, e anche ottima cura. Qui a opera della direttrice Cristina Guarnieri. Gli Editori Internazionali Riuniti precedono Passigli - che aveva avviato l’edizione dei racconti a tappe - con tre volumi. In questi primi due sono raccolti 32 dei 50 racconti finora pubblicati, i primi e gli ultimi.
Il primo volume si distingue perché raccoglie, unico fra le tante edizioni in concorrenza, anche  quattro dei cinque “Nonoche” che Irène scrisse sui 18-19 anni, quando, approdata infine a Parigi attraverso mille peripezie dalla Russia rivoluzionaria, frequentava la Sorbona: “Dalla chiaroveggente”, “Al Louvre”, “In vacanza”, “Al cinema” (il quinto episodio s’intitola “Al potere“). È una vena originaria e diversa dalla Némirovsky nota, sottovalutata purtroppo anche dai suoi biografi, Philipponnat e Lienhardt, la figlia Denise, ed è importante per definirne la personalità. I racconti, in forma di “dialoghi comici” tra Nonoche e l’amica Louloute, altrettanto sgallettata, furono pubblicati sulle riviste satiriche “Fantasio” e “Le rire”. Un personaggio alla Colette ma con qualcosa in anticipo su dadaismo e surrealismo, e molto in anticipo su Queneau e Boris Vian.
Fanno parte del primo volume anche i trattamenti per il cinema (più lunghi del soggetto, meno dettagliati della sceneggiatura) che Irène scrisse sull’onda del successo di “David Golder” al cinema, nel film realizzato da Duvivier, il primo film parlato francese. “I fumi del vino” è un malloppone purtroppo confuso contro la rivoluzione d’Ottobre, “Film parlato” sceneggia la sua orribile madre, “Ida” la fine delle illusioni con l’età, “La commedia borghese” quello che dice, la falsità della condizione borghese, amori, affari, famiglie. Nel mezzo i vagheggiamenti domestici,  per un’attenzione e una pedagogia sempre vive nella scrittrice: il padre egoista (“Echo”), le liti fraterne (“Domenica”), il matrimonio senza amore (“Rive felici” – ma il matrimonio è più spesso senza amore), la malinconia (“Un pranzo in settembre”, salutato alla prima pubblicazione come un “capolavoro”, o anche “perfetto come una novella di Cechov”), la Russia impoverita, di servi e emigrati (“Nianja”), l’inverno al confine con la  Finlandia tra il 1917 e il 1918, al buio tra i ghiacci (“Natività”).
Il secondo volume raccoglie i racconti degli anni di guerra, quando Irène, proscritta in quanto ebrea, poté continuare a pubblicare, per sopravvivere, grazie alla compiacenza di alcuni direttori, sotto pseudonimo. Tra vincoli sempre più restrittivi che l’avevano convinta del peggio – la deportazione e la morte arrivarono a metà luglio 1942, a 39 anni. Sembrano divagazioni, ma non lo sono: la scrittrice sapeva e, come diceva, si teneva “occupata nell’intervallo”, aspettando la deportazione. Ritornano l’amore, la guerra, le famiglie, gli alti e bassi della fortuna, la Francia bottegaia (“Il galantuomo”, “L’incendio”), con un più di disincanto. Alcuni, i più vivaci, sono i racconti della vecchia Russia, “Il sortilegio”, come già “Nianja”. Compreso  l’inverno trascorso alla frontiera con la Finlandia dopo la fuga da Pietroburgo scossa dalla rivoluzione: “Aino”, ”Gli spettri”. “Il signor Rose” anticipa uno dei migliori Céline, quello dello sfollamento della Francia sconfitta – è il tema di “Suite francese”, che però verrà pubblicata dopo oltre mezzo secolo. “Fraternità” tratteggia la condizione dell’ebreo che si nega – serpeggia anche in “Ida”. Senza più lo scandalo che accolse “David Golder”, senza cioè il realismo: qui c’è compassione. Ma sempre da parte di un’ebrea sorpresa di sentirsi incolpata per questo – Irène era una che credeva alla Francia, all’Europa, all’Occidente.
Per chi comincia a leggere questa scrittrice, è l’edizione più corretta. Irène Némirovsky non  organizzò i racconti in raccolte – anche perché la buona metà della sua produzione breve è quella degli anni di semiclandestinità. L’esito è che oggi le varie raccolte si sovrappongono, tanto più da un anno, da quando, a settant’anni da Auschwitz, è cessato il copyright. Tutti insieme, i racconti hanno anche un altro pregio, in riguardo dell’autore, e del rapporto tra il lettore e l’autore: ne sintagmatizzano i tempi e il tono. L’ordine cronologico è per questo significativo.
Il tono è lieve, è vero. A volte ironico, scherzoso, e sempre con l’impressione di futile. Anche il secondo volume, quello dei racconti clandestini. Ma apparente. Un po’ perché la fine si proietta sull’opera. Ma molto per la scrittura – per quanto diseguale, variatissima: ripetitiva e secca, teatrale e attardata, spedita e compiaciuta: Némirovsky sa scrivere il quotidiano.
Irène Némirovsky, Tutti i racconti. Vol. 1 (1921-1934), Editori Internazionali Riuniti, pp. 341 € 17,50
Tutti i racconti. Vol. 2 (1940-42), Editori Internazionali Riuniti, pp. 300 € 17,50 

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