Giuseppe Leuzzi
“ I Tarentini avevano più giornate di festa che
di lavoro”, ricorda Nietzsche nel “Servizio divino dei Greci”.
A Bari e Napoli sono i giudici maschi ad avere
un’amica giornalista. A Milano invece i giornalisti sono maschi e il giudice
femmina. Anche questo è Nord e Sud?
Il “genio italìco “ (poi si sarebbe detto
magno-greco) Nietzsche individua nel 1876 a Basilea, nelle lezioni sul
“Servizio divino dei Greci”, in una “matematica fantasia costruttiva” – seppure
“pedante e giuridica”. Chi l’avrebbe detto. Si è poi perduta? In Italia?
L’odio-di-sé
Gli scacchi hanno la “difesa siciliana”. I
manuali la dicono una delle “aperture di gioco semiaperto”. Siciliana solo
perché descritta per la prima volta, se non inventata, da Pietro Carrera nel
1617, che era siciliano. E per questo così battezzata dallo scacchista inglese
Jacob Sarratt ai primi dell’Ottocento – la parola allora non era negativa.
Don Pietro Carrera, sacerdote, fu un prolifico
falsario secondo Salvatore Nigro, “Dizionario Biografico degli Italiani”. Ma
non se ne ricordano falsi d’importanza. Mentre è centrale alla storia degli
scacchi, come giocatore, per la “difesa”, e per una scacchiera 8 X 10, che sarà
poi riproposta da più famosi scacchisti, Bird e Capablanca.
Per Salvatore Nigro, autore di una biografia
spregiativa dall’inizio alla fine, il paese, la famiglia, i maggiorenti, etc., Carrera
è l’autore “di una serie di interessati «falsi», ai quali deve la sua fama
assai discussa”. Ma non dice quali. La biografia di Nigro merita una lettura:
Tutto vi è malvagio e sciocco: anche stampare
libri piuttosto che stuprare vergini, seppure da innominati. Che senso ha fare
la storia di un personaggio, un’epoca e dei luoghi per i quali si professa,
senza altro, disistima. Che senso ha tanta arroganza?
Orazio Niceforo su “Oggi” spiega apodittico che
i voti alti alla maturità in Calabria e in Puglia sono rubati. Spiega anche un
suo schema di “griglie” multiple per sanare lo scandalo. Da vero burocrate.
Meridionale – Cognomix censisce, su 87 Niceforo in Italia, 26 in Calabria, 18
in Sicilia e 11 in Campania?
“Gli studenti del Nord avrebbero tutto da
guadagnare da una riforma di questo tipo”, conclude Niceforo. Che si professa
consulente del ministero, di tutti i ministri, e professore all’università Roma
Tre. Non gli studi e la scuola ne profitterebbero, gli “studenti del Nord”. In
effetti, se è meridionale, Niceforo potrebbe avere ragione: chi gli ha dato il
diploma?
Il fatto, com’è noto, non va visto in termini
percentuali, in rapporto alla popolazione scolastica, ma in assoluto: il numero
delle eccellenze è generazionale e irrelato alla demografia. Se si correla a
qualcosa, è ai modelli culturali – familiari e sociali – e alle opportunità
(magari in Calabria non ce ne sono molte, a parte lo studio).
Mafia e
antimafia
Tomas Tranströmer, il poeta svedese Nobel 2011,
psicologo di professione, ha nella breve autobiografia, “I ricordi mi
guardano”, l’arte di non opporre resistenza ai prepotenti come il mezzo
migliore per disarmarli. Ma non funziona: i mafiosi sono bestie.
È avvilente, prima che indecoroso, lo
spettacolo che si ripete di allineare i morti in Sicilia ognuno a proprio
piccolo vantaggio, di carriera, di promozione, di brand, di “chiara fama”.
Pazienza i figli, ma i fratelli, le sorelle, i nipoti, i colleghi, gli amici, e
gli amici degli amici con i parenti dei parenti. È la Sicilia, che allinea il
meglio e il peggio di tutto. Ma con un limite: nelle querelles di chi se ne
avvantaggi si trascura la mafia. Da troppi anni ormai. Questo è perfino
illegale, ma a chi dirlo?
I limiti in realtà sarebbero due, e il secondo
è peggio, molto, del primo. L’uso dei morti assassinati, giudici, politici,
giornalisti, per dare legnate a questo e a quello. I giudici si distinguono in
questa campagna elettorale nell’immonda profanazione, Ingroia, Boccassini e i tanti
minori. Ma peggio sono i parenti: sfruttare i morti è i principio della mafia,
della violenza.
Si processano in Sicilia molti giudici tra di
loro, a Caltanissetta per Palermo, a Catania per Caltanissetta e Messina. E
alcuni politici, praticamente tutti i politici siciliani. Ma non si processano
più mafiosi.
Sicilia
Paul Klee viaggiava molto alla maniera di
Goethe, per formazione. Più spesso che altrove in Italia. Dovunque “dipingeva”
lo spirito del luogo, città o campagne, con segni astratti – di colori, di
forme. In Sicilia non ci riusciva, i colori gli imponevano delle forme
concrete.
Lampedusa dice del suo alter ego Salina (“Gattopardo”,
223): “«Non c’è che l’acqua a essere davvero buona», pensò da autentico
siciliano”.
Stefano D’Arrigo si dice a Messina, ventenne o
poco più, scrivendo la “Lettera come memoria a Michele”, amico di Udine (ora in
“Il Licantropo altre prose inedite”),
“uno di quaggiù, che ci consumiamo di sentimenti”.
Messina è mentre scrive “nella nebbiolina del
mattino”, ma non spersa: “Qua sono i moli con le merci, zolfo, pomice, agrumi,
qua la Passeggiata con le palme da datteri”. Erano gli anni 1950. Qualche traccia
ce n’era ancora negli anni 1960. Ora è tutto sparito. Anche le palme.
L’orecchio di Dionisio a Siracusa dà un’idea
grandiosa del segreto, cavernosa. E insieme molle, stagnante.
Un monumento molto siciliano alla tirannide, su
una caverna vuota.
Sychelios
è a Creta lo tsipouro, la grappa. La grappa è dunque siciliana? È grappa di
fichi: la Sicilia è il paese dei fichi, si dimentica.
Secondo Graves, nel corso della “Gigantomachia”,
la lotta tra i nuovi e i vecchi dei, Atena scaglia un gran masso contro Encelado,
che, appiattendosi, forma la Sicilia. È qui l’origine della piattezza, che da
qualche tempo la Sicilia sembra avere interiorizzato: nell’irrilevanza, il
pettegolio, il lamento, la nessuna considerazione di sé? Per il senso di colpa
che potrebbe avere interiorizzato: ogni siciliano ormai si ritiene un po’
mafioso.
Platone nelle “Lettere” si dice infine siciliano.
Dopo aver detto dei siciliani: “Sono come le vespe”.
La Sicilia può essere faticosa, la tradizione
spossa. Quando c’è il culto della tradizione, cosa può venirne di buono, e di
cattivo? Quando si è vissuto troppe volte, nell’Ottocento coi Piemontesi, nel
Settecento coi Sardi (che erano piemontesi) e con gli Spagnoli, come nel
Seicento e nel Cinquecento, nel Quattrocento coi Catalani, e prima con i
Francesi, i Normanni, gli Arabi, i Bizantini, i Romani, i Greci, resta il
manierismo stinto dei maestri di scuola media.
Vengono lampi dagli occhi vivaci, predoni, che
sanno come va il mondo, ma si fanno vedere e non vedere.
leuzzi@antiit.eu