sabato 9 febbraio 2013

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (161)

Giuseppe Leuzzi

Sant’Arcangelo massone al potere
Almeno un paio di libri, “Il mago dei generali” di Silverio Corvisieri, ex capo di una frazione del Pci, dodici anni fa, e ora “Italia. La massoneria al potere”, dello specialista Fabio Zanello, sono centrati sulla figura di un calabrese, Giuseppe Cambareri. Che avrebbe regnato su Roma nel dodicennio 1933-1945. Dapprima su Mussolini, poi su Badoglio, e sempre per conto dei servizi segreti americani, anche se all’epoca non esistevano, e\o forse  inglesi.
Un calabrese emigrato in Brasile a dodici anni che nel 1933, arricchitosi, dice, con le fazendas, tornò a Roma come teosofo. Subito dopo aver fondato a San Paolo del Brasile, esattamente il 27 febbraio dello stesso anno, la prima Loggia della Augusta Fraternità Bianca Rosa Croce Antica. E il 27 luglio, a Rio de Janeiro, la loggia Aula Lucis Cagliostro. Il 30 settembre torna in Europa, e a Roma, dove si stabilisce con una ditta di export-import,  latinizza la sua prima loggia. Ma era già stato in Italia, forse, nel 1919, o nel 1921, tra le squadre fasciste.
A Roma si accrediterà quale ispiratore del presidente Vargas in Brasile, e confidente di Mussolini. Suggeritore, in particolare, delle mosse anti-sanzioni dopo la guerra all’Abissina. E nel 1938 della “pace di Monaco”, per la “coincidenza delle tre M”: Monaco, Mussolini, Michele Arcangelo. Si accrediterà anche come mago, insieme con la seconda moglie, Jole Fabbri Vallicelli, una medium in contatto con entità angeliche, specie col maestro Ergos. Con lei - e con, dicono alcuni, trecento altre persone che vogliono fare fortuna con le fazendas - tornerà in Brasile dopo la guerra. E vi fonderà la Fbuam, Federazione Bianca Univesale dell’Arcangelo Gabriele, con sede nella fazenda di Saô Roque, all’interno di Paratì, (bellissima) località di mare nello stato di Rio de Janeiro. Ma non prima di essersi accreditato, dopo l’armistizio, quale confidente di Badoglio e “istruttore” del colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo, il capo della resistenza monarchica che i tedeschi trucideranno con gli altri martiri delle Fosse Ardeatine. Sempre per conto dei servizi segreti americani e\o inglesi. Nonché quale organizzatore della Ratlinie, l’operazione che portò in Sud America i nazisti più feroci. Grazie naturalmente ai rapporti coperti con Peron e altri regnicoli locali.
Rinfrescante, specie per chi è cresciuto con sant’Arcangelo, il culto desueto dell’Arcangelo Michele,  che invece in Calabria era venerato. Venendo a fine ottobre, in tempo per l’acquisto del maialino da ingrasso e per la fiera degli utensili da campagna. Tanti sono gli Arcangelo ancora coetanei. Inoltre, il cultore dell’Arcangelo Michele si chiamava Cagliostro Cambareri, pare, anche all’anagrafe. Lo poteva perché in Sud America c’è l’uso di chiamarsi col nome della madre insieme con quello del padre. Ma, ammesso che ci sia stata una madre di nome Cagliostro, anche il nome resta confuso: Cambareri era nato a Solano, dove vigeva il matriarcato e la poliandria, ogni donna aveva più “mariti”.

La donna del Sud
Figliolanza. Domesticità, specie in cucina. E lutto, da quando la morte s’introduce per ogni generazione in famiglia – mediamente sui quarant’anni, ma anche prima, e poi sempre. È l’immagine della donna del Sud, cui si correlano le connotazioni di sottomissione, incapacità, bruttezza. Correlazioni però approssimate, di una sociologia superficiale – ma, più che della sociologia, del giornalismo, non c’è sociologia del Sud. Le tre funzioni sono passibili di opposta connotazione, che tale si rivela nella realtà.
La figliolanza è voluta. Da molte generazioni ormai. Le figliolanze non volute non sono lamentate al Sud più che in altro ambito, urbano, settentrionale, europeo. Anche dalle ultime bisnonne, madri degli anni 1930-1940. La padronanza della casa è esclusiva, e non perché l’uomo sia renitente alla cura domestica o incapace. Nel rapporto con i figli in specie, dall’alimentazione all’abbigliamento e alla scuola, ma in ogni manifestazione. È avvertibile anche là dove la padrona di casa non siederà alla tavola alla quale siete invitati, perché vi deve servire di ogni cosa. Il lutto, che non implica il beghinaggio, fa anche visivamente della donna la custode della continuità e dell’integrità della famiglia. Quando il lutto era di regola e anche ora che è desueto: la memoria (la tomba, i fiori, le ricorrenze) è della donna.
La famiglia – la continuità – è della donna. Ma anche il mondo. Quando le morti sopravvenivano in giovane età, le vedove volevano e sapevano gestire la figliolanza e la famiglia, i vedovi no, che dovevano risposarsi. Anche quando le leggi erano sperequate, la loro applicazione al Sud (eredità, matrimonio, separazione legale, patria potestà) non vedeva la donna soccombente. Il matrimonio è stato, è tuttora, spesso organizzato, ma non imposto. Il delitto d’onore, per cui il maschio della famiglia doveva vendicare l’onore offeso delle donne, era un onere e non un privilegio, da scontare con la prigione, per quanto ridotta, e con le inevitabili rappresaglie.
In famiglia e fuori, l’industriosità è il segno della donna del Sud. Nel commercio al minuto, ma anche nelle imprese medie, sono per numero – e anche per costanza - più le donne titolari reali e gestore degli affari che gli uomini. E nei lavori pesanti e oggi si direbbe degradanti, da qualche tempo dismessi. Avendo fatto le paghe per lunghi periodi negli anni 1950, le raccoglitrici di ulive, mestiere poi abbandonato per la gravosità, si presentavano sempre con le idee chiare su tutto: senza rivalse ma scontando i diritti acquisiti, in termini di orari, paga oraria, cottimi, trasporto – avendo disposto ognuna l’accudimento della casa. Sia le lavoratrici singole, o in gruppo familiare, sorelle, madre con figlie, sia quelle organizzate in squadre: a differenza che tra gli uomini, la “caporale” era sempre una che aveva più loquela e capacità organizzativa, mai una sfruttatrice.
Il Sud non figura matriarcale, perché la donna del Sud non rientra nell’archetipo, nella categoria storica. Ma essa viene da una cultura, quella semitica e poi magnogreca, che per millenni lo fu. Le tracce archetipicamente matriarcali sono ancora vive – lo erano fino a una pio di generazioni fa - in vaste zone del sassarese, a Bagnara (commercio ambulante) e Solano (agricoltura) nella Calabra prospiciente lo Stretto, e nel Salento interno. La modernizzazione, del resto, non ha sopravanzato le persistenze, e questo è il nucleo “privato” del ritardo del Sud – un fatto tanto incisivo, macroscopico, gigantesco quanto sottaciuto (come tutta la realtà del Sud): non c’è nella narrativa, né negli studi, poco nella poesia, forse solo in Calogero.
La donna del Sud è la Dea Bianca di Graves, la “madre divorante” mediterranea (anche africana), biblica e greca insieme. Molto presente nella letteratura ebraica contemporanea, da W. Allen a P. Roth e Susanna Tamaro, in forma di “liberazione”, di psicoanalisi della figura invece che delle persone. Di modernizzazione, o adeguamento a un diverso assetto della famiglia (legami di sangue), della pedagogia, dei rapporti di produzione e sociali. Al Sud, invece, la figura resta intoccata nella sua complessità, con effetto modernamente depressivo: la guardiania feroce della famiglia si traduce nel rammollimento delle sue unità. La funzione di protezione deborda nell’annullamento dell’iniziativa e delle stesse capacità di difesa. I figli vanno al “mercato agnelli sacrificali: troppo belli (pieni di sé) e tropo disarmati, presto “vittime”.

L’odio-di-sé
L’Italia è sempre esotica nel quotidiano per americani in Italia, “The American”, l’ex “Rome Daily American”, ora online. I suoi collaboratori, generalmente donne, trovano tutto diverso e strano a Roma, l’estetista, o la massaggiatrice, come il gelato – perfino quello, non ci lasciano niente. La single che decide di farsi animo con una seduta, poi due, poi tre, di massaggi (costano poco?) trova curioso il tanga di carte che le viene consegnato, le pareti sottili, le conversazioni delle massaggiatrici, che pensano di saperne più di lei, e tutto ciò che riguarda l’eterno problema della depilazione – c’è un problema di depilazione in questa Età dell’Acquario, o del mercato. Nulla di diverso, s’immagina, dagli Usa, dai quali il tanga di carta, i divisori laminari, e il knowledge delle massaggiatrici, in fatto di scapole e depilazioni, saranno magari arrivati. Nulla di più facile anche che le collaboratrici di “Tha American”, tutte giovani, facciano a Roma le esperienze che non hanno mai fatto a casa, come prendere il gelato da sole e farsi i massaggi, e che per questo ritengano tutto diverso e strano. Molto c’è anche la continentalità della Bildung americana, per cui tutto ciò che succede in Canada, appena dietro il Niagara, è stranissimo, figurarsi in Europa, in Italia, a Roma, dove si parla pure un’altra lingua. Ma quasi tutti questi collaboratori (collaboratrici) hanno nomi, o luoghi di nascita, italiani. Sono cioè figlie o nipoti di italiani, o sono nate e cresciute in Italia. C’è nella differenza, nell’incapacità di vedere un’altra Italia che quella strana e diversa dello stereotipo esotico, un complesso. Un disagio: non un rifiuto, ma l’insofferenza. Naturalmente di se stessi, ma addebitata al luogo d’origine o di esilio.

leuzzi@antiit.eu

Torna il nazionalismo nordico, senza Hamsun

È la sceneggiatura del film di Jan Troell, di una ventina d’anni fa, dallo stesso titolo, su Hamsun nazista e traditore della patria. Perché Hamsun oggi? Perché ritorna. Nel naturalismo (ecologismo) apolitico, e nella faglia originaria che Goffredo Fofi individua nella presentazione (individuava vent'anni fa - dopo la riunificazione tedesca?): “Un nazionalismo nordico in un’Europa teutonica”. Senza Hitler, che certo non è poco, ma è l’Europa di oggi.
Per Olov Enquist, Processo a Hamsun

venerdì 8 febbraio 2013

Eni scaccia Mps

Lo scandalo era atteso, anche se non c’è materia. Ed è arrivato puntuale. A Saipem e all’Eni la Procura di Milano contesta il pagamento di una commissione all’estero, a beneficiari algerini, per appalti presi in Algeria. Non la Procura di Algeri, ma quella di Milano. Sulla base di normative di diritto commerciale internazionale che proibiscono le provvigioni d’affari, ma non sono applicate. Non dalle Procure francesi, tedesche o americane, che vigilano sulle imprese concorrenti di Saipem e di Eni.
Va aggiunto che non si lavora nei paesi arabi, dove lo Stato ha natura ancora patrimoniale, se non si pagano intermediari e provvigioni. Ma in giudicato non viene la contestazione che la Procura di Milano muove contro l’Eni. Viene che questa contestazione era risaputa, e che si è verificata secondo la attese. Portata al massimo livello per dare clamore all’iniziativa - anche se Eni non è Saipem, la quale è una società quotata in Borsa, con sua propria autonoma gestione
Era risaputa da una settimana esattamente, due giorni dopo lo scandalo Mps. Solo la Procura era incerta, se avrebbe agito Roma o Milano, Pignatone o Bruti Liberati, i due grand commis di partito (di Bruti Liberati Francesco Greco resta lo specialista in reati aziendali). Guardando alle affiliazioni politiche di indagati e inquirenti, infatti, è un caso di Pd contro Monti. In risposta al Monti contro Pd di Siena: la giustizia politica è un fatto.

Sogni d’amore, attese divertite, ragazze single

Un “atto unico” avvincente: spiritoso, triste, feroce. E un graziosissimo album, spiritoso nelle poesiole come nelle illustrazioni. Un capolavoro di bravura della traduttrice, Annamaria Sacerdoti. Per intenditori (tutto secondo i dettami, assicura Sacerdoti, “del principale gruppo di Haijin italiani, che fanno capo a Cascina Macondo”) e, si sospetta, non. “Troppo” zen, quasi spensierato. “Operai edili:\ stereotipi ingiusti? \ non sento fischi”.
Beth Griffenhagen, ill.di Cynthia Vehslage Meyers, Haiku per ragazze single, Ultra € 10

giovedì 7 febbraio 2013

L’enigma Gramsci - e il romanzo Sraffa

Un anno esatto dai “Due carceri di Gramsci”, fascismo e sovietismo, e Lo Piparo ci riprova. Il “Quaderno dal carcere” mancante era già un corposo capitolo dei “Due carceri”. Qui le ipotesi sulla sparizione vengono dilatate e riargomentate. Anche se il succo è lo stesso: lo ha fatto sparire Togliatti. Ma a mezza strada.
Il titolo appropriato avrebbe dovuto essere sherlockholmesiano: “Il caso del quaderno mancante”. Oppure poteva essere poviano: “Il quaderno rubato di Gramsci”. Lo Piparo, da linguista sensibile alle differenze, lo ha voluto a mezza strada, come enigma. Punto d’incontro di una pluralità di enigmi, gli stessi posti nei “Due carceri”: perché manca uno dei 34 “Quaderni dal carcere”? Gramsci sapeva che Sraffa mandava e sue lettere a Togliatti? È possibile che Gramsci non abbia più scritto niente nei due anni e mezzo di semilibertà? E perché in clinica non riprese i contatti col Partito?
Il sospetto, l’accusa, non è da poco. Ma tra mille capziosità – la filologia è faticosa detective. Già un anno fa Lo Piparo aveva spiegato che era sparita, unica fra tutte, la lettera in cui Sraffa spiegava a Togliatti “dettagliatamente” temi e stesure dei “Quaderni”. E che le carte di Gramsci erano state sottratte da Togliatti alla famiglia, contro l’espressa volontà di Gramsci e dei familiari. Aveva anche sollevato l’interrogativo sulla campagna di stampa “Gramsci libero subito”, sempre contro la volontà di Gramsci, che ne aveva ritardato la liberta condizionata di un anno e mezzo. Insomma, il colpevole è Togliatti. Però.
Lo Piparo dà anche una lettura storicamente accettabile, e non ingiuriosa, del dissidio.  È studioso già dal 1979, “Lingua, intellettuali, egemonia in Gramsci”, della formazione liberale di Gramsci, per il rapporto stretto col glottologo Bartoli, suo maestro all’università, per le letture di Einaudi e Croce, e per l’amicizia con Gobetti. Di una convinzione persistente, che Gramsci riafferma ancora nel 1918, quando è già sovietizzante, dopo una prima perplessità sulla rivoluzione d’Ottobre: “Il liberalismo, in quanto costume, è un presupposto, ideale e storico, del socialismo”. Di cui Lo Piparo trova una reviviscenza negli ultimi anni di Gramsci, analizzando comparativamente le riscritture di alcuni “Quaderni”. Insomma, Gramsci è un fedele eretico nella chiesa (ex) Pci. Ed è in urto con Togliatti. Ma anticipa, ecco la chiave, un comunismo diverso: “Oggettivo cavallo di Troia”, di cui “l’astuto Togliatti fu l’Ulisse”.
Del revival gramsciano è questa l’unica novità sensata, per quanto contorta. Del dettaglismo non si può fare una colpa a Lo Piparo: colpito dalle reazioni brusche alla sua prima indagine, benché insignita del premio Viareggio, vuole mettere qui i puntini sugli i. E tuttavia niente, neppure questa pubblicazione è esente dalle critiche. Che già da un paio di settimane prima dell’uscita del libro si rincorrono. Tra Lo Piparo che insiste, per interposta voce di Luciano Canfora, e i suoi critici della fondazione Gramsci pure, quelli dell’ortodossia. Il problema a questo punto trasponendo: non è più se c’è un “Quaderno”  non pubblicato. Perché omesso, trascurato, accantonato, distrutto. Da Togliatti o chi per lui. No, si discute tra alcuni, residuati, defensor fidei, cioè del Partito, e e alcuni erotizzanti che si fanno di Gramsci una bandiera. A chi interessa?
C’è però anche qui qualcosa di buono. Un accenno a qualcosa di buono. È Sraffa, di cui infine si comincia a parlare. “I due carceri” Lo Piparo aveva chiuso ricordando che era rimasto fuori dal libro “il triangolo Gramsci, Sraffa e Witgenstein”. E che “Sraffa, le sorelle Schucht, Togliatti Gramsci, sono tutti personaggi tragici che vivono in un mondo tragico”, e “farne (averne fatto) degli eroi facili è (stato) un errore”. Sraffa è il personaggio più romanzesco, più delle sorelle Schucht (la moglie e le cognate, la fedele Tania e l’arcisovietica Eugenia), più delle trame al vertice del Pci, ma è rimasto finora stranamente quello più in ombra, benché abbia vissuto fino al 1983.  Lo Piparo non apre la finestra attesa con la parte forse stralciata de “I due carceri” un anno fa, rinvia a un suo saggio introvabile, scritto in inglese tre anni fa per una collettanea dell’università di Monaco di Baviera - in cui addirittura fa derivare Wittgenstein, non tutto, in parte, da Gramsci. Qui si limita a rinfocolare l’attesa: fra un anno? E a quando il romanzo delle sorelle Schucht?
Franco Lo Piparo, L’enigma del Quaderno, Donzelli, pp. 162 € 18

Nord Africa, donne e giovani non tornano indietro

Si protesta a Tunisi come al Cairo. In piazze affollate ma che si sanno perdenti. Come già a Teheran nelle ultime due elezioni presidenziali. Ma non è questa la verità del momento storico nel Nord Africa. L’assoggettamento delle forze moderniste (democratiche) del Cairo e di Tunisi al maincurrent islamico è la coda del vecchio imperialismo delle aree d’influenza. Che si serve – la Turchia fa testo – dell’islam moderato contro l’estremismo e il terrorismo. In uno di quei progetti che in gergo si chiamano di stabilizzazione. La novità è la prevalenza delle donne nella protesta. E dei giovani.
Perché questa è la realtà, checché si propongano i governi islamici, con o senza sharia. Ovunque si registra simbiosi, curiosità e assimilazione, Iran compreso. Mentre il regresso è un fatto di polizia. I diritti civili e umani cosiddetti occidentali sono ormai patrimonio comune e irrinunciabile – se non per residue code generazionali. Il rifiuto è di gruppi piccoli, le barbe, i talebani, i burqa, i kamikaze, anche se violenti.
Il caso delle donne va letto al rovescio, per la loro costante partecipazione ai moti di piazza, ma anche per un briciolo di corretta informazione: ciò che conta non è il ritorno, legiferato o minacciato, alla sharia, ma l’intangibilità dei loro diritti. All’indomani della guerra all’Irak e in pieni psicosi da terrorismo, donne giovani attillate in veli e soggoli monacali pubblicizzarono l’islam a Brooklyn: non era un ritorno indietro.
Le donne nei moti dei paesi islamici sono state dappertutto all’avanguardia - gli uomini hanno voluto che ci fossero, o non hanno potuto impedirlo. Anche in Iran, già dagli inizi del khomeinismo trentacinque ani fa. In Nord Africa oggi, dal Marocco all’Egitto. E probabilmente fra i turchi in Germania e gli algerini in Francia. La verità del momento storico è che la modernizzazione è irrinunciabile, quali che siano i disegni di stabilizzazione.

mercoledì 6 febbraio 2013

Fisco, appalti, abusi – 25

Cantanti d’opera, maestri, solisti: a Londra, che pure ha molto più pubblico, e più esigente, e quindi più mercato, vengono pagati un terzo che in Italia. Perché in Italia li paga lo Stato.

C’è negli appalti pubblici la clausola del “terzo garantito” che vige nelle aste d’arte? Sì, c’è. La clausola garantisce a chi vuole partecipare a una gara una percentuale dell’importo dell’appalto superiore a una certa cifra, a condizione che il beneficiario non avanzi offerte inferiori a quella cifra e limiti la sua propria offerta a quella cifra-base.

A Firenze, nel sistema sanitario migliore d’Italia, lo stesso oggetto, poniamo una siringa, viene comprato da una ditta che lo fornisce a mezzo euro, da una che lo fornisce a 40 centesimi, e da una che vuole due euro. Il criterio è l’equa suddivisione del “mercato” tra i partiti: di più a quelo di governo, ma l’opposizione non può lamentarsi.

Le multe stradali sono raddoppiate in dieci anni, a due miliardi. Grazie alle sanzioni per via telematica. Quattro quinti delle multe sono infatti comminate dalle apparecchiature di telerilevazione: telecamere, photored, autovelox, tele laser.

La moltiplicazione delle multe per effetto della telerilevazione ha solo fini di cassa: un Grande Occhio che i sindaci gettano sula città per incrementare le entrate di cui sono bulimici. Senza effetti per la sicurezza e la circolazione, se non genericamente dissuasivi: gli apparecchi non sono infatti segnalati opportunamente e spesso sono occultati. Questo è illegale, ma sta bene ai giudici di pace.

La Resistenza che manca, a sinistra

Uno dei tanti libri a perdere di una certa sinistra: modesta la riflessione di uno studioso che pure è, è stato, acuto lettore di Carl Schmitt e della migliore (meno targata) scienza politica europea.
La Resistenza sarebbe stata un ottimo appiglio, in quest’epoca truffaldina. Ma non evidentemente per chi la spreca contro un Berlusconi. Cosa (non) si fa per arrivare a “Repubblica” (qui Galli è perfino più prolisso i Cordero, che si pensava concionante inarrivabile)? 
Carlo Galli, Sinistra, Mondadori, pp. 166 € 17,50 

martedì 5 febbraio 2013

Il mondo com'è (126)

astolfo

Destra-sinistra – Una differenza c’è, e si lega alla Modernità quale la viviamo da due secoli e mezzo, da riportare a “quel grande movimento di idee e di pensiero che anticipa e accompagna la rivoluzione industriale e il capitalismo, ai grandi pensatori scozzesi, francesi, tedeschi, italiani del Sei e Settecento, all’erosione o all’abbattimento violento dell’Ancien Régime, all’asserzione dei diritti dell’uomo e del cittadino, all’ingresso nell’era individualistica e liberale”. Magistrale - infine libero? - intervento di Michael Salvati in argomento, su “Lettura” domenica, per “sistemare” la questione, con l’ausilio di Marcel Gauchet, “Storia di una dicotomia”, un vecchio testo, rispetto alla limitata (politica) distinzione di Norberto Bobbio.
Curiosamente, sullo stesso “Corriere della sera” di cui “Lettura” è il supplemento domenicale, Pierluigi Battista fa il giorno dopo un brillante  elenco delle insignificanze tra destra e sinistra. Una frontiera che lui stesso, lui fra i tanti, attraversa a ogni istante, sulle questioni etiche come sul quelle politiche ed economiche, e di diritto internazionale, di giustizia, di lavoro, generazionali. Ma non c’è dubbio, come dice Salvati, che “è una retorica legata a un’azione tenace di difesa dei diritti e dell’eguaglianza”. Uno spartiacque di fondo che continuerà a riproporsi, almeno “fino a quando resteremo nella Modernità, nell’era storica che h fatto seguito all’Ancien Régime, fin quando sarà presente l’individualismo che caratterizza le società contemporanee”. Perché è vero: siamo sempre nella fase storica successiva all’Ancien Régime, pur tra le guerre totalitarie e le rivoluzioni.

Europa – Muore di se stessa? Il declino è anzitutto demografico. Che è un fatto di convinzione: non c’è speranza. E poi religioso, cioè ideale.
Da qui forse il successo della ricetta tedesca, che da quasi un secolo ha rinunciato alla demografia per l’immigrazione (l’acquisto di manodopera). Ed è approdata all’indifferenza religiosa e all’amorfismo – quando interessi di bottega non siano in ballo. Tutto il contrario di quanto ancora si percepisce in Francia e in Gran Bretagna. Due paesi dove è forte il senso della cittadinanza. La quale è forte perché si può conseguire – a differenza della Germania (e dell’Italia) che segue il criterio del sangue e suolo. E dove è forte anche il senso della religione. Nella Francia repubblicana per esclusione. Che è tutt’altro che l’indifferenza, anche per il riconoscimento esplicito dell’opinione più fortemente laica e perfino scettica. In Gran Bretagna per l’inclusione: i primati delle maggiori religioni hanno un seggio di diritto in Parlamento, alla camera dei Lord, sul presupposto che la riflessione religiosa si deve considerare parte del processo normativo, in forma non pregiudiziale ma nemmeno simbolicamente, tanto per dire. Il discorso che Benedetto XVI andò a pronunciare a Berlino al Parlamento tedesco è caduto invece nel vuoto – benché il papa stesso sia tedesco.

Google – Ha parole “sensibili”, che protegge. Per esempio massoneria, e alcuni nomi propri (di massoni?). Si posti un testo che le contenga e non verrà pubblicato subito: sarà visibile sul vostro blog, ma non reperibile in rete. Per un certo tempo.

Italiano - Italiano: una nazionalità serena. Benché divisa, anche dal cibo. In rapporto ai vicini slavi e tedeschi, a fortissima componente tribale, fino ai tedeschi minori del Belgio, che l’università di Lovanio hanno voluto divisa a metà, compresa la biblioteca, e ora non sanno nominare un governo. In rapporto all’immigrazione, che non è un problema – solo in Italia (è mal governata, ma allora come tutto lo è in Italia). Per essere stati gli italiani stessi emigranti, quindi per essere “indebitati”. E per saper sottostare da millenni ormai alla vicende vaghe della storia, pur al chiuso dentro il Mediterraneo.
Una “sicurezza” visibile nell’emigrazione. L’italiano di Malta, di Corsica, di Corfù, di Buenos Aires, di San Paolo, sa restare se stesso e insieme identificarsi col paese che l’accoglie. Pure quello di Francia e di New York, benché per generazioni sottoposto a discriminazioni e angherie, e tuttora soggetto di rappresentazione negativa - l’irlandese può diventare presidente degli Stati Uniti, un mezzo neo c’è diventato, un mezzo italiano mai (Cuomo, Geraldine Ferraro e Giuliani non ci hanno realmente provato per questa tara).

Usa – Ha ballato per Obama all’Inauguration Day, la festa in piazza della rielezione, e una settimana dopo è stata uccisa a pistolettate. A quindici anni. Per nessun motivo, per caso. A Chicago, non all’inferno. Sarà la nostre fine, poiché tutto ci viene dagli Usa? No, è il diverso senso della morte, della vita e della morte, “inesistente” negli Usa. Come già nella Roma antica.
La condizione imperiale è tutta politica? Porta all’inconsistenza-irrilevanza della persona, se non nel quadro generale, politico.

L’America, paese grandiloquente, ha natura disincarnata. La retorica stessa non vi è fittizia, è l’unico posto dove i concetti, alcuni concetti, sono concreti: la nazione, il destino individuale, la giustizia. È il proprio della democrazia aristocratica: gli Usa sono Roma non solo per i campidogli e le leggi inaggirabili, la costituzione è aristocratica. Per il Senato che regola la democrazia: i tribuni del popolo e il presidente. La stessa elezione del presidente è democratica all’apparenza, è una cooptazione che si fa patrocinare dal popolo. Nasce da qui il senso del proprio diritto in quanto popolo, che una volta si chiamava onore, intrattabile: c’è l’America e niente, poco, altro.

Questo impero è romano per i campidogli, le legioni, le aquile, i pronai e i peristili non solo, dove di tanto in tanto si assassinano i cesari. Né solo per la massoneria, che presiedette all’indipendenza e alla costituzione, con cortei e messe laiche – e le presiederà ancora, la massoneria si segrega vincendo, a imitazione in tutto del clericalismo: resta ben massone il dollaro, con la piramide tronca e l’Occhio Vigile nel triangolo, e il numero 13 ovunque a guardare bene, la liberazione di Lucifero, tredici le frecce, i rami d’olivo e le olive dell’aquila, le stelle sopra l’aquila, le strisce dello scudo, gli strati della piramide tronca, le lettere di “E pluribus unum” e “Annuit coeptis” . L’America è romana per la legge, che è semplice e si applica, non come in Europa. È la democrazia. E per l’orgoglio della cittadinanza, anche i latini riottosi vi divengono fieri e disciplinati.
È Roma senza la Grecia. Allo stesso modo che s’è costituita, con la schiavitù, perdurante nella desegregazione – non dei negri, di tutti. Dominante, sulla natura e il mondo, conquistatrice. E senza chiesa, malgrado il bigottismo. È un popolo ateo idolatra. Di se stesso: la legge sono io.

L’America culturalmente non è Europa, saggia e stanca, stanca per dover essere saggia: molti equivoci nascono da questa identificazione. L’America è Roma, fin negli orpelli, il potere dei campidogli, delle leggi, dell’esercito, l’Europa invece è latina, nel senso che si è modellata sulla cultura romana addomesticata dalla chiesa, superba ma attendista, e lagnosa.
“Gli ordinamenti politici pesano più della capacità bellica”: è l’epitaffio di Pericle in Tucidide, e l’idea del romanizzato Polibio, che i Federalisti hanno ripreso dando agli Usa un cesare per quattro anni. Dell’Europa l’America ha mantenuto i fabbri ferrai, che sono i vecchi celti, il gusto di fabbricare.
Anche la pax americana non è senza progetto. Anche se Roma, civiltà imperiale per eccellenza, che faceva le conquiste per mantenerle, non ha mai redatto piani. D’altra parte gli americani, che con i campidogli e la costituzione, senatoriale e imperiale, vanno anch’essi piantando sassi ovunque, mai ne piantano uno che duri. Che sembra che duri. Né si riservano le pietanze buone delle case in cui entrano, come già gli spagnoli o gli inglesi. Mangiano male, e vogliono che tutti mangino male, per l’uguaglianza.

astolfo@antiit.eu

Morte (di Wagner) a Venezia, non commossa

La “funesta gondola” è di Wagner che muore a Venezia. Pochi mesi dopo che Liszt gli ha reso visita, a lui e alla figlia Cosima, sua ultima compagna. È il titolo di due pezzi per piano che Liszt ha composto per la morte del genero.
La morte non è tema desueto in Tranströmer, il poeta psicologo, che la incontra spesso nei suoi viaggi involontari (“I viaggi vengono a visitarmi”). Ma senza commozione. Poeta zen già in questa raccolta, che precede di quasi dieci l’ultima, tutta di haiku. Seppure su un fondo sempre “occidentale”, inquieto, della natura immobile ma vigile, una still life. Più zen qui, curiosamente, che negli haiku della metrica.
Gianna Chiesa Isnardi riprende l’edizione che già nel 2004 aveva approntato per Herrenhaus (la stessa raccolta con poche omissioni, è nell’antologia di Crocetti, “Poesia del silenzio”, col titolo “La gondola a lutto”), corredandola di un importante saggio sul Nobel 2011, La tastiera muta”. Sulle metafore, “di cui Tranströmer è considerato maestro”, e sull’uso “trasfigurato” del linguaggio piano.
Tomas Tranströmer, La lugubre gondola, Bur, pp. 156 € 10

lunedì 4 febbraio 2013

Il giornalista ne sa più del banchiere

Un libro di gossip, bancari. Stiracchiati. Dall’intervistatore che oblitera l’intervistato – alcune cose Geronzi vorrebbe dirle (il vero titolo è il blurb, “Massimo Mucchetti intervista Cesare Geronzi”).
Massimo Mucchetti, Confiteor. Potere, banche e affari. La storia mai raccontata, Feltrinelli, pp. 362 € 18

Ombre - 164

Le giudici di Ruby a Milano hanno dato ieri il legittimo impedimento che avevano rifiutato una settimana prima. Cos’è cambiato? Nel mezzo c’è stato il congresso di Magistratura Democratica, che ha consigliato moderazione- si tengono ancora i “congressi”.
Le giudici ruota di scorta, nel 2013, senza vergogna. ¡Ay, qué barbaridad!

Cirino Pomicino epistolare dà lezioni di politica a Monti. Ne ha titolo? Sì, era il suo datore di lavoro vent’anni fa, quand’era ministro del Bilancio e faceva le Finanziarie. Ma non è questo il punto. Il punto è che Pomicino ha ragione sul “cinismo burocratico” che nessuno nega a Monti.

Non  c’è una destra e non c’è una sinistra, ha detto Monti. Non c’è neanche il centro, ha detto, che pure lui prova a costituire. Ci sono le cose da fare. Forse per dare ragione a Pomicino, che dice questo “lo slogan di ogni autoritarismo”. Ma è lo slogan del fascismo.

Non poteva mancare la Procura di Firenze nello scandalo Mps, e cioè Verdini. Fatto: Fiorenza Sarzanini è convocata, e i quattrocchi fiorentini le vendono Verdini in affari loschi con  Andrea Pisaneschi. Il quale se però l’è presa, essendo nemico di Verdini.
Una palla alzata al coordinatore di Berlusconi? È che non sempre i giudici sono furbi – e i giornalisti.

Saipem, stella di Borsa, va in tilt per la vendita a Londra di un pacchetto in capo a un fondo pensione e\o d’investimenti. Questa la ragione ufficiale. La verità attesa è che Saipem, cioè Eni, cioè Monti, diventi la pietra dello scandalo scaccia-Mps. Milano è sempre manzoniana: a una tromba risponde una tromba. 

“Repubblica” lega Mussari a Tremonti (Berlusconi) e Guzzetti (Monti). E alla massoneria, certo. Formidabile – formidabile miscuglio di fascismo e sovietismo. Povere insegnanti!

Ed ecco i Procuratori Capo avventarsi sul Monte dei Paschi, ognuno per il proprio partito: Siena per i Popolari di Monti, Trani per Fini, e Pignatone per il Pd.
Il Mps non ha (più) padri ma, si direbbe, molti padrini sì.

I giudici, i politici, i giornalisti assassinati dalla mafia come i bastoni di Pulcinella, per dare legnate a questo e a quello: La Torre, Fava, Falcone, Borsellino. È la campagna elettorale, ma non c’è un limite all’indecenza?
Tutto ciò è sinistro. Ma perché dev’essere anche di sinistra?

Una metropoli di due milioni di abitanti immobilizzata dal Comune che non paga la benzina dei bus. È Napoli ma non vuol dire, non è un miracolo napoletano. Se non che il sindaco che non paga è un giudice. È per questo che i giudici a Napoli non indagano sul perché i soldi spariscono al Comune?

Chicago ha gli abitanti di Roma e 500 omicidi in un anno. Vengono dal futuro, come tutto che avviene negli Usa? Finiremo assassini, più spesso per nulla?

Miracolo a “Quattroruote”: c’è la macchina che fa 100 km. con 1 litro - uno. Con 3.000 di
cilindrata. E fa 250 km\h. Niente di meno. Ce ne sono anzi due, una a benzina e una a gasolio. Tedesche, naturalmente. Con un piccolo inconveniente, non più di mezza riga tra parentesi: solo per i primi 25 km. Se si va a trazione elettrica, finché dura la carica. Poi il consumo passa a 5 km\l – quello denunciato dalla casa.
Ma la Germania, li paga?

Dopo il miracolo tedesco, “Quattroruote” si dedica a quelli giapponese e coreano negli Usa. Al salone di Detroit. Con un tripudio di Suv. Anche quelli vanno ad aria? Che ecologisti saremmo, sennò.

Una telefonata più che corretta di Manganelli, il capo della polizia, sugli appalti di Napoli il “Corriere della sera” tramuta in ingiurie ai giudici inquirenti: “Il capo della polizia al telefono definì i magistrati «cialtroni»”. Leggere per credere:
Cialtroneria? Napoli? È Milano, la perfidia.

Manganelli, incredibilmente più che corretto per una conversazione rapida al telefono, lamenta  che la Procura di Napoli diffonda gioiosa, di un’inchiesta in cui non c’è nessun indizio di reato, “notizie” giorno per giorno. Perché un giudice è in confidenza con una giornalista. Questo non si stigmatizza, il puttanesimo.

Si scoprono nello scandalo Mps le fondazioni ex bancarie politicizzate. Trascurando di dire che fu il celebre giureconsulto Gustavo Zagrebelsky, che da “Repubblica” fa la morale anche al papa, a pontificarne dalla Corte Costituzionale la politicizzazione come “costituzionale”, presidio di libertà. Era appena dieci anni fa. Contro Tremonti, è vero. Quanto ci costa questa resistenza?

Il Superprocuratore Capo di Milano, Giovanni Canzio, tuona contro la prescrizione. Lo stesso giorno, venerdì, che alcuni processi nelle sue Corti andavano in prescrizione. Non per colpa di Berlusconi.

Manlio Minale, Procuratore Generale a Milano, vuole tutti carcerati: “Se le carceri non reggono, se ne costruiscano di nuove”. Minale è noto terribilista – debuttò condannando Sofri a 22 anni contro ogni evidenza. Ma dopo essersi professato garantista al tempo di Martelli guardasigilli, 1992. Era per la carriera? È Milano che li fa cattivi? 

Rigori senza vergogna

Un rigore evidente non dato all’ultimo minuto, uno inesistente inventato all’ultimo secondo: tutto palese, anzi in mostra sotto gli occhi di tutti in televisione, opera di arbitri impuniti. Nel mezzo una serie di arbitrii che hanno del fantasmagorico: maglie tirate, calcioni da dietro, sgambetti “tattici” a freddo impuniti se contro le squadre da punire, contro le quali invece cartellini a gogò. Senza mai una censura, per non dire una punizione, degli “organi competenti”. Col “responsabile” di questi delinquenti, uno che pure tanto chiacchiera, che non ha nemmeno una parola di biasimo.
Sono anche tanti che non si può considerarli un errore o un caso, tutti corrivi: Guida, Banti, Gervasoni, Calvanese, Valeri. E Braschi che li organizza. Che più spudorato non si può: “Ognuno dica quel che vuole, ma noi continuiamo a fare quello che vogliamo”. Per esempio: “Il calciatore del Genoa”, quello del rigore non dato, “colpisce la palla, se la tira da sé sul braccio, quindi la nostra opinione è che si tratti di un gesto involontario”… Braschi non è un cretino. Inoltre è un toscano, sa l’italiano.
Questo signore e i suoi compari sono un paradigma del potere in Italia: altrove il crimine si nega e si nasconde, qui è sfrontato. È esibito. Da una cricca talmente impunita che sbeffeggia e maltratta anche i suoi accoliti, Pulvirenti, Pozzo. Tre squadre devono essere favorite, quelle di Lotito, De Laurentiis e Galliani, e quelle lo sono. 
Non sono errori, sono truffe. Le Procure insistono con gli “slavi” – insomma con gli zingari – per non vedere quello che tutti vedono? 

domenica 3 febbraio 2013

Problemi di base - 132

spock

Fuori i partiti dalle banche, e i giudici?

La giustizia si manifesta onnipotente a Milano: il Dio sparito di Nietzsche e Heidegger non si sarà trasferito lì?

E non sarà la Dia che si cercava – i giudici inesorabili sono femmine a Milano?

Le prescrizioni, Canzio, sono colpa di Berlusconi o dei giudici?

Non c’è la legge a Milano?

Perché sono i giudici ad avere un’amica giornalista, e non per esempio le giudici un amico?

Profumo si contendeva con De Benedetti la prima tessera del partito Democratico: questi apostoli sono sempre Giuda?

Marchionne si scandalizza che lo Stato ci paghi 5 mila euro per una macchina a metano. L’ecologista plaude. Allo Stato non a Marchionne. Chi è lo sfruttatore?

Perché le squadre di calcio giocano in Borsa?

spock@antiit.eu

La ricerca del gambero

Un ricercatore italiano di una certa esperienza, poniamo sei anni d’anzianità Cnr, vinca un finanziamento europeo. È un bel risultato, ma non eccezionale in Italia. Il ricercatore italiano è però tenuto a pagare i collaboratori al suo progetto di ricerca secondo certi standard. Per cui un dottorando verrà a percepire una retribuzione, per quattro anni, superiore alla sua d’un terzo.
Sei anni fa la differenza fra lo stipendio italiano e la borsa di studio era di un quarto. Ma nei sei anni, ogni aumento d’anzianità al ricercatore italiano essendo stato bloccato, la differenza è aumentata. Non c’è limite al peggio.
Magari , se cinese o indiano, il dottorando ha 22 anni. Mentre il ricercatore italiano a questo punto, per legge, deve averne 36.

Che li eleggiamo a fare?

Il migliore, Pisapia, tassa i milanesi con le strisce blu in curva (“Quattroruote” ha le foto), e perfino in campagna: ventimila stalli nuovi ha fatto disegnare in pochi mesi, abolendo soprattutto i parcheggi nei piazzali della metropolitana. Senza pietà. Il più importante, Renzi, ha praticamente cancellato i parcheggi bianchi, che la legge vuole al 50 per cento dei parcheggi totali disegnati in città: sono meno del 10 per cento. Il più presuntuoso, De Magistris, non sa nemmeno che il trasporto pubblico fa girare la città. Nella sua megalomania si scorda di comprare la benzina. Pisapia ha ora 115 mila stalli blu a pagamento, contro i 75 mila di Roma, che ha tre volte la superficie di Milano, e meno di 30 mila stalli bianchi. Roma, che ha stroncato Veltroni, ora stronca Alemanno
Con Alemanno non ci vuole molto, bisogna dire – i mussoliniani (ex) sono facilmente presi dalla città al loro laccio. Gli stessi vigili che gli bloccarono la città per una modesta nevicata, senza che lui ne cacciasse nemmeno uno, ora scendono in frotte, quattro-cinque autopattuglie lampeggianti, la sera all’ora di cena, nei piazzali più tranquilli e paciosi, De Coubertin, Borghese, delle Muse, e multano tutti, ogni notte a migliaia. Meglio se di sabato e di domenica, lo straordinario notturno si carica anche di festivo. Una beffa doppia, ai cittadini che li mantengono, e ai (presumibili) elettori di Alemanno. Che non è mai riuscito a mandarne qualcuno dove la movida imperversa, con ingorghi di chilometri e liti, anche cruente. Ammesso che i vigili debbano “lavorare” solo quando scatta lo straordinario.
Ma, se Alemanno non fa testo, il metodo sì. Il carattere (la capacità?) del personaggio conta, ma non è il più importante. A Roma, per dire, gli stessi vigili hanno affossato un Veltroni. Senza difficoltà: impegnarono il tempo libero dagli affarucci a ordinare due milioni di “cartelle pazze”, cartelle esattoriali false, per multe già pagate o protestate. Sembra impossibile ma è accaduto. E questo – è questo il vero problema – può succedere perché il sindaco di tutto si occupa meno che dell’amministrazione.
L’elezione diretta ha portato i sindaci a credersi piccoli dei, che solo coltivano la propria immagine. Con balzelli di ogni tipo per farsi pagare la pompa: l’elargizione di posti, gli appalti, gli spettacoli gratuiti. Gli assessorati, i vigili, i netturbini, i mezzi pubblici facciano poi come meglio gli aggrada.
È morto Ed Koch, che fu un ottimo amministratore di New York per tre mandati negli anni 1980 - prima di Giuliani, altro ottimo amministratore. Giorno per giorno, sulle esigenze reali della città. Che salvò dal crack finanziario, e dal crimine all’ingrosso e al minuto, specie della droga. Ma lo celebrano solo perché fu gay ed ebreo. Come “vittima” - cosa che l’avrebbe fatto incazzare: era un duro repubblicano. Non si concepisce nemmeno che un sindaco possa governare una città.

Mucchetti furbetti

Non c’è il Monte dei Paschi, nel voluminoso libro-intervista di Massimo Mucchetti con Cesare Geronzi. Non che Geronzi eviti l’argomento, ma a Mucchetti non interessa. Mussari è nominato una sola volta, di passata. E quando Geronzi accenna a “dopo quanto è successo nell’estate del 2012” il giornalista del “Corriere della sera” sorvola. L’estate del 2012, cioè sei mesi fa, furono silurati in tronco i vertici della banca e della fondazione.
Si parla invece a lungo, Mucchetti ne parla, del “tentativo” di Tremonti di nazionalizzare la Fiat. Era una nazionalizzazione-portage, come poi sperimenteranno gli Usa nella crisi del 2007, per sollevare le banche dall’obbligo del “convertendo”, un’obbligazione da tremila miliardi di lire da rimborsare in azioni Fiat invece che in contanti – il Tesoro (il direttore generale Siniscalco, nell’occasione, più che Tremonti) si proponeva di isolare il malato Fiat evitando il contagio alle banche.
In tal senso Geronzi espone la proposta, avanzata da Siniscalco alle banche una mattina al ministero, e ritirata subito, le banche avendo assicurato che potevano farcela. Ma Mucchetti forse non capisce, o più probabilmente sì, e parla di ingerenza della politica nelle banche.
È un caso del banchiere migliore del giornalista? No, se uno ha la pazienza di leggere, Mucchetti si ritiene infinitamente superiore a Geronzi. Non  senza ragione, poiché se ne è servito gratis per l’“ascesa in politica” a senatore del Pd – e ora si serve del Pd: la poltrona si è assicurata senza campagna elettorale, senza nemmeno farsi vedere in circoscrizione. È un  Mucchetti furbetti. Del “Corrierino”.

Massoneria senza padri – di madri poliandriche

La “storia”, prolissa, che si rilegge da trent’anni di Gelli e Berlusconi. È questa la massoneria che controlla l’Italia, insieme con Bisignani - mancano naturalmente il Monte dei Paschi, Siena, Firenze, la Toscana, tutto ciò che conta, compresa la banca, grande e piccola..
Lo “studioso della massoneria” rispolvera Giuseppe Cambareri come figura centrale del complotto. Uno a cui Silverio Corvisieri ha dedicato un libro una dozzina d’anni fa, “Il mago dei generali”. Un calabrese emigrato in Brasile che nel 1934 tornò a Roma come teosofo, a capo di una Fraternitas Rosicruciana Antiqua, “antimassone”. Che si accrediterà quale mago - insieme con la seconda moglie, la medium Jole Fabbri Vallicelli, una in contatto con entità angelica, specie col maestro Ergos – nella questione delle sanzioni contro l’Italia nella guerra d’Abissinia. E ancora a fine guerra, prima di tornare in Brasile, quale confidente di Giuseppe Cordero di Montezemolo, il capo dei badogliani che i tedeschi trucideranno con gli altri martiri delle Fosse Ardeatine.
Cambareri aveva avuto una sua piccola fama nei cerchi esoterici romani nel 1938, per la “coincidenza delle tre M” nella “pace di Monaco”: Monaco, Mussolini, Michele Arcangelo. Le logge che creava le intitolava all’Arcangelo Michele, venerato in Calabria. Si chiamava Cagliostro Cambareri, pare, anche all’anagrafe, per avere soprammesso, com’è l’uso in Sud America, il nome della madre a quello del padre. Ma, ammesso che ci stata una madre di nome Cagliostro, anche il nome resta confuso: Cambareri era nato a Solano, dove vigeva il matriarcato e la poliandria, ogni donna aveva più “mariti”.
Fabio Zanello, Italia. La massoneria al potere, Castelvecchi, pp. 440 € 22,50