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Amore e morte – È tema, si può dire, essenzialmente tedesco.
Tutto
Freud è in Wagner, la pulsione di morte, l’essere-per-la-morte. L’amore compreso del
film di Fassbinder, “L’amore più freddo della
morte”.
La tradizione
è antica. “Che
c’è in Germania degno di nota”, scriveva il Campano agli amici in Italia nel 1471? “Soprattutto
il fatto che i morti vivono”, mortui vivant. Schopenahuer, come Budda,
distinguerà sottile: “Nascendo
morimur”: La sua
vita è
la morte: “La vita migliore è la morte. La morte è il più alto grado di
guarigione. La morte è da considerare il vero fine della vita”. Il mondo si
preserva distruggendosi. L’amore soprattutto.
L’amore soprattutto, in
Germania è mortuario. A
partire dalla “Messiade” di Klopstock che
inaugura la poesia tedesca: il lungo poema ha una sola storia d’amore, tra
due morti risuscitati. E ancora in Bürger, nella celebrata “Lenora”, le nozze della
vergine si celebrano nella tomba con lo scheletro amato. Per non dire dei suicidi, che si potrebbero
intendere “meglio morto che sposato”: l’amore-morte, che in italiano è un gioco
di parole, in tedesco è un’equazione
ferma.
Del totes Leben, la vitamorta. Mentre
l’incubo il tedesco grazioso chiama Alp,
il folletto, una morte in vita. Una pulsione attestata peraltro anche dai
tedeschi di fuori Germania: Herta Müller, Jelinek, Celan, Dürrenmatt, Kafka. Sommo diletto è
in Schlegel fantasticare la morte dell’amata Lucinde, straziarsi per lei. O nel
giovane Kleist, e in Rilke. In Kafka non si muore per accidente, malattia o
vecchiaia, ma inevitabilmente per amore.
L’amore
biedermeier muore anch’esso giovane,
sui vent’anni, nella penombra. E questo si può capire, anticipava la bohème, il tragico piccolo borghese. Ma
l’olimpico Goethe che fa morire tutte le eroine d’amore nel “Wilhelm Meister”, il romanzo
dell’“arte di vivere”, Sperate, Mariane, Mignon, Aurelia, l’arpista? Tristano e
Isotta si amano per morire. “La notte appartiene alla morte”, sussurra la
Sibille thomasmanniana al fratello Wiligis per incitarlo all’incesto. Da qui il
verso celebre di Celan: “La morte è un maestro della
Germania”.
O si
prendano i “rapimenti della morte” di Novalis, le Todes Entzuckungen.
Questa radice ent- affascina del tedesco, “essere” e insieme “contro”, di cui
non c’è l’equivalente in traduzione. Rapimento significa abbandono e anche il
suo opposto, una violenza. Ma Novalis, il poeta dei rapimenti che studiò da
ingegnere, è uno che s’innamora di una dodicenne, la quale a tredici anni s’ammala
e a quindici muore, la morte spesso non è simbolica
Ci
fu un tempo in Germania che si usavano le
case dei morti: per scongiurare le morti presunte, le salme vi sosta-vano
alcuni giorni. Giuridicamente ancora vive. Per paura non della morte ma delle resurrezioni,
temute. Le
Eve e le Veneri Lucas Cranach fa morte, non da ieri, scavate, esangui, laide.
Gli uomini, perfino il Cristo, Grünewald fa pure loro scheletriti, disseccati o
mummificati, quando non pieni di vermi. E Dürer: figure umane in forma di
scheletri.
Prima
della guerra si vedevano
molti film tedeschi, c’era
una produzione importante in Germania. Di cui Borges fa questa sintesi:
“Simbologia lugubre, tautologia o vana ripetizio-ne di immagini equivalenti,
oscenità, inclinazioni teratologiche, satanismo”.
Cimitero – Prima di “Spoon River” è terreno molto frequentato, da “Ossian” in poi
(1760), e il Foscolo, “Jacopo Ortis” e “I sepolcri” (1807). C’è
il V.Hugo giovane “hugoista” di “Nel cimitero di
***”. E “Il cimitero marino” di Valéry”. E prima con molta poesia pre-romantica e romantica.
Sul prototipo dell’“Ode su un cimitero di campagna” di Thomas Gray, 1750 - subito
tradotta da Melchiorre Cesarotti, 1775 (mentre Pindemonte
tentava, senza concluderlo,un carme sui “Cimiteri” e scriveva un’epistola sui “Sepolcri”.
Il genere dei
cimiteri fu specialmente fertile in Germania. Wagner
all’ottanta per cento è “notte e nebbia”, che
gli dei invocano nell’“Oro del Reno”
– prima di diventare la parola d’ordine di Hitler nel 1941 per ogni sorta di sterminio.
Funerario, di
morti in agguato, minacciate e
approntate, o cercate. Il cimitero come
luogo dell’orrido, di
paesaggi cupi e desolati. Il teatro di Wagner è una
natura selvaggia, di personaggi per lo più bestiali, che al meglio dà la malinconia, volentieri notturna, spettrale. Mentre
il cimitero è
normalmente un giardino, esposto al sole, anche ben curato.
Fu
un genere, la “poesia sepolcrale”. L’Enciclopedia Treccani ha ancora la voce
“Sepolcrale, poesia”. Per un gruppo di opere di fine Seicento- inizio Settecento
ispirate alla sepoltura.. In realtà della prima metà del Settecento, poiché i casi che si citano, “inglesi e protestanti”,
dice l’enciclopedia, sono della prima metà del Settecento: “Night-piece on Death”
di T.Parnell (1712-13), “The Grave” di R.Blair (1743), “e
soprattutto “Night Thoughts” di E. Young (1742-45),
“Meditations among the Tombs” di J.Hervey (1748) e l’ “Elegia”
di Gray. Una poesia che “si ricollega e
talora si confonde con quella della notte e delle rovine”..
Donna-oggetto - Tsto-saggio: sull’origine della sfera “speciale” della donna, del declassamento
della donna. È recente. Borghese!!! Argmetarlo.
Oppure
come tema, di vari blog…. (tipo Dante, Proust, Céline..)
Lucus a non lucendo - Moravia,
formichino solerte mai sorpreso, l’ha trovato in Africa: “È un buio assoluto;
il buio della boscaglia africana; quel buio totale cui pare alludere, i maniera
paradossale, il detto latino sulla foresta: lucus
a non lucendo”.
Gabriello Chiabrera ne aveva fatto la
festa con santa Lucia alla Marina di Savona: “Lucida lucenti lucescis,
Lucia, luce,\Lux mea luceat, Lu-cia, luce tua”.
Nano – Alberico dell’“Oro del Reno”,
genio del male non antipatico, è nano. Tutta la mitologia nordica (germanica, celtica)
ha stirpi di nani benefici, anche se ctonoi, sotterranei – prima che la
conformazione si definisse brutta, e quindi cattiva. I Nibelunghi lo
sono, del
wagneriano Nibelheim, o i folletti del Mondo di Mezzo di Tolkien. Benefici perché
abili e operosi artefici, soprattutto del ferro, cioè del fuoco. Benefici e
simpatici, come ancora i nani “tedeschi” di Biancaneve, e per questo adornavano
fino a qualche anno fa i giardinetti delle famiglie inglesi. Anche i greci
avevano le divinità del ferro, i Dattili – forse anche loro nani.
Oggi si
dovrebbe dire brachiconformato, o acondroplasico. Mentre è da vedere se il nano vero non vuol essere considerato nano, come
il nero nero, dopotutto, e
la donna donna. Anche per non perdere una
tradizione, perché no, che è pur sempre un’identità - per conformasi a
un comodo “essere”, per quanto stereotipo. Il linguaggio politicamente corretto
è una forzatura, e una sorta di armatura: nega più che dare.
Nella fattispecie,
Alfonso Troisi, riflettendo sulle “basi evolutive del comportamento”, col
sussidio di quindici quadri famosi, fa dei nani di Velàsquez i prototipi della “diversità”,
della “reazione ambivalente che la diversità suscita nella nostra mente”.
Riflessa come allo specchio da “Don Sebastian de Morra”, che il neuropsicologo
dice “bello, bellissimo”. Rilevando che “non c’è nulla nel suo ritratto che induca
al ridicolo o al commiserevole”.
Opera – il belcanto e Verdi vivono a
Londra, alla Decca e alla Royal Opera House. Con Rossini, Bellini e Donizetti.
Puccini vive molto negli Usa. Certamente non in Italia, e soprattutto non alla
Scala. Che
più sciatta non si può.
Napoli
ha una miniera praticamente intonsa, di tesori operistici. E tale la lascia.
Wagner - Ascoltando e vedendo “L’
Oro del Reno”, si capisce il raccapriccio di Nietzsche, duplice. Che
Wagner sia tornato a un senso religioso della vita (cristiano,
compassionevole). E un dio esibisca “compromesso in tutti i modi”, come nota
D’Annunzio, e forse incapace, che si fa salvare da un libero pensatore nemico
della morale.
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