Giuseppe Leuzzi
Se il Sud non si ribella, male. Se il Sud si
ribella, peggio. Antonino De Francesco, “La palla al piede”, ricorda fra i
tanti casi la rivolta di Grammichele, che fu occasione alla stampa nazionale
per esibirsi “sulla natura ferina delle inconsulte plebi siciliane”. A
Grammichele i braccianti, organizzati dalla Camera del lavoro, lamentando
l’inasprimento delle tasse comunali, erano entrati nel Municipio e alla fine
avevano dato fuoco al sottostante circolo dei notabili. Le forze dell’ordine,
intervenute con le armi, ne avevano ucciso quattordici e ferito alcune decine.
I meridionali sono sempre plebe. Se non sono
briganti, sono sanfedisti. O mezzo mussulmani, e africani. Da tempo ora
mafiosi.
La donna
del Sud
Simonetta Agnello Hornby è una che “più che
italiana”, dice, “mi sento siciliana”. E ama raccontare che le piace cucinare
per gli amici, in numero di otto: “Otto è il numero giusto, altrimenti non si
può conversare”. E che raduna ogni anno la famiglia a Natale: i due figli con
le nuore e i tre nipoti, e l’ex marito, padre dei figli, con la sua compagna.
La baronessa fa eccezione per Natale al numero
otto, per esercitare il suo ruolo di matriarca. Specie sull’ex marito e la sua
compagna.
Nadia Crucitti ha mandato il manoscritto del
suo romanzo “Casa Valpatri” a 24 editori, prima di mandarlo a “Famiglia
Cristiana”, che glielo ha premiato e pubblicato.
L’harem di Tarantini, molto allegro, le allegre
amicizie di Patrizia Vendola con molte allegre giudici, o mogli di giudici, le
allegre croniste amiche in esclusiva degli inquirenti. Bari deve avere dato un
brutto colpo al Nord, le allegre donne di Bari, alla sociologia della donna del
Sud.
Autobio
Abbiamo fornito bande al cardinale Ruffo,
contro i francesi di Napoleone, contro i patrioti, contro i piemontesi, contro
Garibaldi. Abbiamo resistito a lungo: ogni Vandea ci trova infiammati, di radicalismo
conservatore. Reazionari o sbirri no. Ma il riflesso è condizionato contro
l’ipocrisia e l’inettitudine, che passa sopra a ogni, sia pur civile, calcolo
di opportunità, di convenienza: per nulla prendiamo le armi.
Si prendono le armi in genere per un buona
causa: la libertà, la dignità, la casa, la famiglia. Noi andiamo in guerra per
semplice incazzatura, dalla partita a briscola.
Si
viaggi ovunque in Germania, il paesaggio è pettinato al pettine fine, non una
busta di plastica né una lattina vanno col vento, nemmeno cadute per caso. Anche
nelle campagne remote. Il contadino bavarese, svevo, che era greve, e misurava
quarant’anni fa la sua agiatezza dalla montagna puzzolente di concime organico
alla porta, ora non scorreggia neppure più, probabilmente, e i boccaloni
ingurgita senza rigurgiti. Ogni sasso è rimesso al posto, ogni stucco
ricostituito e rinverdito, sui toni forti per fare luce, nero nero, bianco
bianco, crema crema. Non costa più che il cemento armato con cui si creano in
paese gli interminati palazzoni di mille e duemila metri quadrati –
interminabili appunto perché costano troppo. Ma quanto benessere, in quell’ordine
risparmioso! Basterebbe poco.
Ciccio
C. si arrende, che aveva il motto “non affrettarsi, non fermarsi mai”. Ha fatto
per sessantacinque anni il barbiere e non ne ha più voglia. Anche se è in buona
salute. Dice che dovrebbe rinnovare la bottega, che non è più in regola con
l’ufficio d’Igiene ed è vero – non da ora. Dice che ora fare la barba è
complicato, sempre per via dell’ufficio d’Igiene – ed è vero: il rasoio a mano
libera è proibitissimo, e il pennello per la schiuma, ora ci vogliono acqua
calda, crema prebarba, crema da barba speciale da spalmare, rasoio usa-e-getta,
dopobarba con massaggio alla cute. “Poi nessuno si fa più un taglio di capelli,
ora li vogliono scolpiti, vogliono la cresta, le mèches...”, e anche questo è vero. Ma il barbiere più non ha voglia
del cameratismo che lo ha accompagnato nella lunga giornata, monotona,
preferisce stare solo.
È morto Michele, guardia privata dei Versace in
montagna, vecchio solido comunista, testimone muto della quotidiana lite tra le
due altre guardie private dei Versace, Ciccio e Nato. Ciccio fascista, Nato
comunista, dopo essere stati entrambi socialisti, ai loro vent’anni. Ciccio
beveva senza complessi, anche la birra. Nato dopo essersi schermito: “Una
birra, Nato? “No, grazie, il medico me l’ha proibito”. “Un bicchiere di vino,
allora?” “Un bicchiere l’accetto volentieri, grazie”. Alla fine Ciccio avrebbe
detto: “Ho perso la guerra ma sono stato al potere vent’anni”. Al che Nato
avrebbe obiettato: “Se fra cinque anni non siamo al potere, hai ragione tu”.
Tutto questo “potere” aveva creato una simpatia,
muta, con Michele.
Il timpanaro Saverio D. ritorna a ogni concerto
di Santa Cecilia, richiamato senza volerlo dal timpanaro dell’orchestra, Enrico
Calini. Alto, robusto, solenne. Autorevole e preciso. Serio sempre. Calini sa
essere scherzoso, ma anche lui sempre si propone di tre quarti come Saverio D.
E la posizione obbligata dall’epa? Dallo strumento?
È curioso ritrovare frammenti di vita,
costanti, ricorrenti, di una persona peraltro poco o nulla conosciuta, sebbene
vicino di casa, per un’occasione e in un luogo accidentali, quali il concerto
settimanale, a Roma, a molti anni di distanza – tanti, potrebbe essere stata
un’altra epoca. Memorie cristallizzate, incistate Anche Calini s’immagina
taciturno, seppure disponibile al sorriso – non è necessario ma la presenza più
incombe se muta.
La memoria è muta? Non necessariamente, La
presenza muta è espressiva nel gesto e nel suono, imponenti, decisi. Di
un’esistenza ritratta, umile – quanti colpi può dare un timpanaro?
Aveva tre figli, Saverio, benché di madre che
mai fu possibile vedere: Alfredo che è andato via presto, si è sposato, ha
avuto figli, non è più tornato, e poi è morto, Tina, che si è sposata in paese,
anche lei ha avuto figli, e non è mai più tornata, e Maria, la più giovane. Che
è rimasta in casa nubile, benché curata, nutrendo chissà appassionate fantasie.
E ora muore anch’essa, sola.
Maria è morta beghina, contro se stessa,
recitando lunghi rosari il pomeriggio su una banda preregistrata, una sorta di
karaoke. Ci sono esistenze sottili, che più s’impongono nell’assenza.
leuzzi@antiit.eu