sabato 11 maggio 2013

Il socialista ruota di scorta

Si lamenta mercoledì Giuliano Amato con Cazzullo del rifiuto della sua candidatura al Quirinale da parte del Pd, dopo vent’anni di militanza Pds-Ds-Pd, in quanto ex socialista. In questi vent’anni le orecchie non gli fischiavano?
Il giorno dopo Nencini, segretario dell’ex partito di Amato, il Psi, si lamenta su “Repubblica” che il Pd non gli ha dato nemmeno una vice-presidenza di commissione parlamentare. Anzi, dice, “Letta nemmeno mi risponde al telefono”. La dignità non è politica?
Venerdì lo stesso Nencini fa sapere che ha scritto per protesta, non si capisce a Letta o alla presidente della Camera Boldrini. Comunque, fa sapere, non farà cadere il governo. E come avrebbe potuto fare? Avrà scritto con raccomandata r.r., da allegare agli atti.
Il giorno dopo, cioè oggi, l’assemblea del Pd si dà come segretario Epifani, un socialista che si è iscritto al partito come Amato. Ma anche lui non esce dal ruolo di ruota di scorta: giusto per il tempo che serve al Pd per darsi un nuovo segretario. Che dovrà essere Pci o Dc, ex naturalmente.
Ma qui la colpa non è più tanto del Psi, ex, quanto del Pd. Il partito Democratico non sa che cosa è, a parte l’antiberlusconismo di cui non frega nulla a nessuno, giusto ad andare in tv, e non vuole saperlo.. 

“Aridateci i partiti”, S. Weil

Un’improbabile Weil spontaneista, movimentista – senza dire mai che il partito che le faceva orrore era il partito Comunista. Simone Weil aveva abbastanza senso politico (era stata in due guerre, in Spagna e contro Hitler, aveva girato la Germania di Hitler) per sapere.
Qui è riflessa la delusione per i due fenomeni di Resistenza a cui la giovane filosofa aveva voluto partecipare di persona: quella di Londra tra i gollisti, dopo la tragica “liquidazione” degli anarchici a Barcellona. Scrive queste note a Londra mentre si sta lasciando morire, forse proprio per questo: temeva che il movimento, “una rivolta sgorgata dal fondo di alcune anime fedeli”, di cui De Gaulle era il “simbolo”, diventasse un partito di tipo fascista. Sballottata tra le divisioni, del generale De Gaulle contro l’ammiraglio Giraud, e del fronte esterno rispetto a quello interno, teme la degenerazione della Resistenza stessa come una forma di dittatura. Cosciente, nelle lettere, di essere per questo “tenuta per pazza”. Ma non per avere una concezione utopica della Resistenza: anche in politica Simone Weil è la mistica più pragmatica. I suoi due capi-ufficio al Commissariato all’Interno presso il quale era distaccata a Londra, André Philip e Louis Closon, ne condividevano i timori: “L’organizzazione gerarchica dei movimenti e la vita clandestina”, scriveva Colson al ritorno a Londra da una missione di collegamento in Francia, a Philip a Algeri da Giraud, “fanno di queste organizzazioni strumenti politici nelle mani di quasi-dittatori”.
È il testo più edito di Simone Weil in Italia, ma stranamente senza mai affrontarne il nucleo centrale. Cominciò Franco Ferrarotti nel 1951, quando di Simone Weil non era tradotto praticamente nulla, pubblicandolo come “Appunti” su “Comunità”, la rivista di Adriano Olivetti. L’anno prima il testo era uscito, intitolato “Nota”, sulla rivista francese “La Table Ronde”, nel numero di febbraio 1950, senza commento, ma spiegando che la “giovane filosofa”, già “conosciuta nell’estrema sinistra”, si era aperta “a un pubblico più vasto” con la pubblicazione postuma di “La pesantezza e la grazia” e di “La prima radice”. “Comunità” non nomina neanch’essa il partito Comunista. “Il moderno partito di massa”, spiega Ferrarotti, “si è a poco a poco ridotto ad apparato, diventando attraverso un progressivo irrigidimento e una sorta di militarizzazione una macchina organizzativa capace di esercitare una pressione enorme sul pensiero e gli orientamenti dei singoli iscritti di base, dei «militanti»”. Un identikit senza nome, anzi allargato al partito politico in se. Ferrarotti continua evidenziando “la denuncia del settarismo ideologico e dell’esclusivismo totalitario propri di tutti i partiti…”.
Nel giugno 1988 la “Nota” fu ripresa nel numero 6 del “Diario di Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli. Ritradotto da Giancarlo Gaeta, futuro weilologo, come testo inedito in Italia, tratto dagli “Écrits de Londres” pubblicati nel 1957 da Gallimard. Senza note. Ne “La prima radice”, di cui questo manifesto è uno degli appunti preparatori, dirà in generale: “Le collettività non pensano”, ma intendeva che il pensiero non può essere che individuale, non intendeva criticare l’attività sindacale dei suoi operai, o sua propria nelle scuole dove ha insegnato, né l’attività politica.
La riedizione cinque anni fa di Castelvecchi lo fa invece correttamente spiegare a André Breton, vecchio comunista, di cui esuma un articolo pubblicato nel 1945 o 1946 da “Combat”, il giornale di Camus. “Combat” fu una delle poche voci che il sovietismo, imperante in Francia per un ventennio dopo la guerra, non sovrastò. E con più durezza al filosofo Alain, maestro di S.Weil, in una nota conclusiva: “Di cosa si tratta? Di questo: che il partito comunista si è incaricato di portare alla perfezione la decadenza e la nullità di un partito”. Un’eresia evidentemente, se tuttora nelle presentazioni della “Nota” che si leggono non se ne fa menzione – di cosa si tratta? ma di abolire i partiti…
Simone Weil sa che “la reazione è in agguato”, ma svolge un assunto semplice. La democrazia, “il nostro ideale repubblicano”, deriva dal “Contratto sociale” di Rousseau, dalla nozione di “volontà generale”. Individuarla non è facile, essendo lo spirito di verità e giustizia. “Rousseau pensava che nella maggioranza dei casi un volere comune a tutto un popolo è conforme nei fatti alla giustizia, per via della mutua neutralizzazione e compensazione delle passioni particolari”. Ma questo non basta naturalmente, nessuno giurerebbe sui plebisciti. Rousseau stesso pone condizioni alla volontà generale: “La prima è che nel momento in cui il popolo prende coscienza di una delle sue volontà e la esprime non sia presente alcuna specie di passione collettiva”. Perché “la passione collettiva è un impulso al crimine e alla menzogna”. Indistintamente.
Le passioni delle finzioni
Qui, è vero, la filosofa non fa distinzioni tra liberali, repubblicani, socialisti e comunisti. La passione politica è totalitaria e “il totalitarismo è menzogna”, confonde i termini: “Quante volte, in Germania, nel 1932, un comunista e un nazista, parlando per la strada, devono essere stati colti da vertigini mentali constatando che erano d’accordo su ogni punto!” Il più totalitario di tutti è però il partito Comunista, che ha portato a perfezione le punizioni per l’indocilità: “Il sistema dei partiti comporta le penalità più severe per l’indocilità. Penalità che toccano quasi tutto: carriere, sentimenti, amicizie, reputazione, onore, talvolta addirittura la vita di famiglia. Il partito comunista ha portato questo sistema alla perfezione”.
Ma non può essere, non è, un rifiuto della passione politica. Non in Simone Weil, che non visse un solo istante non appassionata. Il rifiuto è della passione politica asservita, a fini di parte, sepure solo ideologici. Il “radicamento” della “Nota” nei timori a Londra per le divisioni nella Resistenza è attestato d’acchito dalla stessa Weil. Che chiude il ragionamento perentoria in apertura: “Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva”. Dopodiché va avanti sillogisticamente. Un procedimento, il sillogismo, in cui la conclusione corrobora (invera) le premesse, inconsueto per S.Weil. Segno che nel 1943, l’anno in cui scrisse il saggio, a Londra, dov’era con De Gaulle, trovava motivo di preoccuparsi.
Andrea Simoncini, riproponendo la “Nota”, dice che non c’è da preoccuparsi, di questo che chiama “sillogismo mortale”, e che sintetizza così: “La democrazia contemporanea è fondata sui partiti politici; i partiti politici stanno morendo; dunque, la democrazia sta morendo”. Non può essere così, spiega, perché la democrazia non è tanto la “procedura di decisione a maggioranza” (che liquida come “sinistramente simile alla «legge del più forte»”) quanto il “bene comune”. Tommaso d’Aquino, cioè. Che nessuno contesta. E Rousseau, che invece non solo Simone Weil contesta, poiché tratta del modo come il bene comune si realizza nella pratica.
Se Simone Weil oggi non fosse una deputata del Pd, come le filosofe ambiscono, sicuramente ci direbbe molte cose sulla non rappresentatività degli attuali partiti, 5 Stelle compreso. Sui media e i new media.  Sull’opinione pubblica, giustizia compresa. E sulla sua “gestione”. Non troverebbe per esempio crisi di rappresentatività in Germania, o negli Usa, o in Gran Bretagna - e probabilmente, a una sommatoria di più e di meno, neppure in Cina. Più che i mezzi difettano le menti: il lavaggio del cervello quando è totale, le passioni avendo spento, deviandole sulle finzioni.
Simone Weil, Senza partito, Feltrinelli-Vita, pp. 90, euro 8

venerdì 10 maggio 2013

Finalmente liberi – nazionalbolscevichi?

Il pregio di Carrère, cronista semplice, mai imposant, specialista delle personalità dissociate e le vite sdoppiate, tra follie e imposture, non fa l’eccezionalità del libro. Questa sono i suoi lettori, numerosi e entusiasti. Almeno in Francia e in Italia, dove il libro ha dominato le classifiche, oltre che in Russia - non negli Usa o Inghilterra, non in Germania, dove non è stato tradotto, e il perché è forse lo stesso: i politicamente corretti che festeggiano il politicamente scorretto. Limonov scrittore, un giovanotto ora di settant’anni, di cui Carrère fa abbondanti parafrasi, e Limonov personaggio non hanno altra attrattiva. A parte un po’ di dannunzianesimo – che è però più un rischio, di cui Carrère è al corrente (c’è anche Evola). E un repertorio centrale alla “Salò-Sade”, o alla “Petrolio”, effettivamente meno (an)estetizzante che in Pasolini (Carrère cita Henry Miller – e Philip Roth? - ma non c’è allegria nelle performances che Limonov dettaglia, solo una sorta di “dover essere” letterario, di mercato: la scena madre potrebbe essere stata copiata da Allen Ginsberg, se non che si svolge in un giardino per bambini invece che in un pisciatoio). Corollario del nazismo ricorrente del personaggio.
È questa l’eccezionalità, l’attrattiva del nazibolscevismo. Presentato come “la controcultura della Russia”.  Sotto le specie della orwelliana “decenza”. Da uomini di mano, contro il “fascismo intellettuale” degli armiamoci e partite. Per lunghi tratti sembra di leggere von Salomon , “I proscritti”, che Carrère non richiama, sui nazibolscevichi tedeschi degli anni 1920, senza l’enfasi – ma altrettanto prolisso, cinquecento pagine nell’originale, che la traduzione di Francesco Bergamasco riesce a comprimere di un quarto. L’ultimo suo libro prima dell’entrata in politica contro Putin a capo dei nazibolscevichi russi, “Anatomia di un capo”, che non si traduce, Limonov ha corredato delle foto con i serbi in Bosnia, Arkan, Karadžić e altri, e con Le Pen, Denard, Zhirinovskij, i maudits del genere fascista.
La maniera come Carrère spiega il nazismo, proprio al centro della narrazione, confluisce su questa spiegazione – essendo lui personalmente passato al Cristo e a Budda: è il fascino della forza (bellezza, verità, etc.), del “mondo com’è”. Attiva e passiva – “Salò-Sade”. Razzista vittimista: la scena-madre è quella dei “Diari” di Jünger a Parigi al circolo ufficiali (“fra due anni le nostre figlie serviranno nei bordelli per negri”), in cui Limonov si fa “figlia”, e non si saprebbe come peggio si potrebbe oltraggiare, oltraggiare se stesso. Il sadomasochismo come pimento nazibolscevico.
Il resto è Gor’kij, l’infanzia-adolescenza abbrutita. E – per il pubblico italiano, che però è il più entusiasta – “Gomorra”, il film. È anche – pure questo è inedito per il pubblico italiano, retrocesso ormai all’alettura – il racconto dell’ultima Russia, di Breznev, Gorbaciov, Eltsin, gli oligarchi, semplici e vivissimi, Putin . Una tela di fondo che rafforza l’attrattiva del nazibolscevismo – “la fine dell’impero sovietico è la più grande catastrofe del XX secolo”.
Semplici pure gli a parte, accattivanti. Carrère giovanotto di destra. I suoi inizi come scrittore (Werner Herzog che non apre nemmeno la monografia che il giovanotto gli ha dedicato: “Stronzate, parliamo di cose serie”). La madre Héléne Carrère d’Encausse, russista celebre, accademica di Francia, segretaria perpetua della stessa Accademia, di giudizio sempre veritiero (“L’impero scoppiato” è del 1978). Semplici e vivissimi gli oligarchi, in pochi cenni. Uno di essi sul “convertendo”, in Russia chiamato “prestiti contro azioni”: come sette giovanotti, fatto un po’ di “grano” e proclamatisi  banchieri, prestarono allo Stato in cambio di warrant  sul gas, il petrolio, l’acciaio, i preziosi, divenendone in pochi anni padroni. Khodorkovsky, per esempio, oggi icona della resistenza anti-Putin, per 168 milioni di dollari si prese quindici anni fa Yukos, petrolio-gas, che dava ogni anno tre miliardi di utili (sembra una delle privatizzazioni italiane – Autostrade, per esempio, fu venduta a un “prezzo” inferiore all’utile del primo anno).
Emmanuel Carrère, Limonov, Adelphi, pp. 356 € 19

Annientato lo squadrone emiliano

Il calcio dice Lazio-Bologna 6-0, ma più che dalla squadra capitolina il cappotto a Bologna è come l’avesse inflitto l’Italia tutta: in poche settimane l’alternativa emiliana a Milano è stata spazzata via. Le elezioni hanno liquidato Fini, Casini e Montezemolo. Il Partito Democratico ha liquidato Prodi e Bersani. Resta Squinzi in Confindustria, con Guidalberto Guidi, ma sono poco cosa di fronte al predominio lombardo. Lo stesso Squinzi comincia ad accreditarsi milanista, pur portando in serie A una sua propria squadra, il Sassuolo. Vent’anni di “sfida” emiliana si sono cancellati d’un colpo.
Milano si riprende in Emilia quello che concede alla Toscana. Il governo è ritornato con Letta alla sua tradizionale piccola voga centroitaliana, dopo la parentesi milanese estremista di Monti. Subappenninica, da Pisa a Ancona. È tutto da vedere, però, se sarà una Toscana alla Fanfani, che bene e male ha “fatto” l’Italia oppure una alla Zoli, o alla Gronchi, che si ricordano poco e male. 

Lo Stato risparmia, per comprarsi le Audi

Grillo gira in utilitaria, e allora si produce in una Kia – anche se le macchine italiane risultano le migliori utilitarie. Ma Grillo è perdonabile, non è un parlamentare e non ha scorta. Tutti gli squadroni invece di Audi che, da quando c’è il nuovo governo di coalizione, si producono in caroselli per Roma? Audi 6, da 60 mila euro. Anche per le scorte, a ogni pizzo tre-quattro Audi si producono in fila, o posteggiate sgangheratamente. Forse la Germania ha agenti segreti che vogliono sbancare surrettiziamente lo Stato italiano? O Volkswagen fa lo sconto – si sa che vuole liquidare la Fiat, da tre anni è l’unica sua strategia? Non si spiega che non ci siano Bmw, volendo eccellere in germanitudine, o Mercedes. Se sì, attraverso quale gara e quale fornitore?
La polizia di Roma invece viaggia in Subaru. Che non hanno nulla di meglio delle analoghe medie cilindrate analoghe, se non che costano qualche migliaio di euro in più. E consumano anche di più, stando a “Quattroruote”. Qualcuno ci fa la cresta?.
Spendono in Audi gli stessi personaggi che ogni giorno tagliano le spese pubbliche di qualche migliaio di euro. Da ultimo accorpando tutte le feste dei dipendenti pubblici (i dipendenti non perdono il giorno festivo, che sarebbe un risparmio, solo devono “celebrarlo” insieme con gli atri). Questi signori hanno assoluto bisogno di macchine tedesche per andare al lavoro? Vogliono dare un aiuto alla Germania, con i soldi pubblici? 

giovedì 9 maggio 2013

Problemi di base - 141

spock

Le aziende non si salvano più, e le anime?

“Dio è innocente”, dice Platone. Di che?

Se è santo chi vuole, perché non io?

Se il peccato è mortale, l’assoluzione è una resurrezione?

Quante volte sarà risorto, allora, Berlusconi? Dall’inferno?

I nuovi santi non hanno il nimbo, Santoro, Travaglio?

I tempi sono difficili, al plurale, e al singolare?

spock@antiit.eu

Alitalia, un fallimento in progress

Il sottotitolo, “Alitalia. Cronaca di un disastro annunciato”, dice tutto, e il libro di Saulino, ex  “Repubblica, ex “Corriere della serasi presenta come un instant book in progress, da aggiornare. Almeno fino a ottobre, quando o Air France si compra Alitalia o Alitalia chiude per fallimento.
La vicenda di quella che fino a vent’anni fa era la quinta compagnia aerea del mondo è di una serie di errori e incapacità, e un paradigma degli mondo italiano degli affari. Governi incapaci. Sindacati politici. Privatizzazioni di favore. Azionisti “parco buoi”. Stampa addomesticata. Professionalità enormi, soprattutto tra i piloti, allo sbaraglio.
Il titolo si riferisce all’ultimo salvataggio, quello decretato nel 2008 da Berlusconi in un ascesso elettorale di patriottismo. L’esito? “Ripulita da tutti i debiti, alleggerita di settemila dipendenti, favorita con leggine e deroghe d’ogni tipo, la compagnia aerea gestita dai «patrioti» è riuscita a perdere 630 mila euro al giorno”. Ma gli azionisti non sono insoddisfatti: evidentemente hanno guadagnato altrove. Dove, in che modo? Il loro privilegio è peraltro bi-partisan: Roberto Colaninno, l’animatore del salvataggio patriottico, è legato anche al Pd, personalmente (era la “razza padana” di Bersani quando scalò Telecom), e attraverso il figlio Matteo, parlamentare dello stesso partito. Grazie a Matteo la Cgil di Epifani disse sì ai “patrioti”.
Air France avrebbe rilevato Alitalia nello stesso 2008, col governo Prodi, con soli duemila esuberi. Sempre senza debiti, ma tenendosi l’attività di manutenzione – con la quale la Olimpic, che l’ha rilevata dal pre-fallimento, ci guadagna. Air France era una soluzione certamente migliore, ma non è detto: la compagnia francese non ha fatto l’offerta definitiva, e anzi ha partecipato alla cordata nazionale, mettendoci 320 milioni, a fronte dei 300 dei “patrioti”.
A monte, bisognerebbe poi ricordare il disastro di Malpensa, che è stato il buco nero di Alitalia, come grande vettore nazionale. Non funzionando lo scalo milanese, dopo un trentennio di rinvii e sprechi, è mancato ad Alitalia nocciolo duro e redditizio dei voli, quello aziendale della pianura padana, e il suo destino come global player, o anche solo come player a medio raggio, era segnato.
Felice Saulino, Patrioti con le ali, Cuec Ed., ebook, pp. 177 € 2,90

mercoledì 8 maggio 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (170)

Giuseppe Leuzzi

Il progetto di trasformare la mafia in “forza del bene”, e insieme in una società per azioni, appartiene originariamente a MacAllermy e Fildes, due puritani americani inventati da Maurice Leblanc, l’autore di Arsenio Lupin. Lo progettano in “Arsenio Lupin contro la mafia” (tit. originario “Les milliards d’Arsène Lupin”).
I due nomi, MaF, fanno quasi la parola – una parodia del tutto è mafia: un tempo della mafia si rideva.

“Viviamo dentro un cupo pessimismo”, lamenta Giangiacomo Schiavi sul “Corriere della sera” lunedì. Con un presidente che incita a muoversi, Napolitano, e una città ferma, Milano. Solo che Napolitano, di nome e di fatto, non può altro che incitare: parole. Mentre l’Italia dipende da Milano, la città cupa e ferma. Non per altro, perché Milano se n’è impossessata, coi suoi tribunali, giornali, politicanti, e le tiene stretto il morso. Mettere da parte Milano, no?

“Che camurria starsi a contare gli anni!”, lamenta Montalbano chiudendo il telefono all’inizio di “Una voce di notte”, quando la fidanzata di primo mattina si fa viva giuliva per celebrare il compleanno del commissario. Che non gradisce invecchiare. Si può dargli torto? È uno dei tanti segni dell’inferiorità culturale del Sud: milioni, diecine di milioni, di meridionali si assoggettano a noiosissime feste di compleanno, iettatorie – malevole al fondo. Quando la festa, se uno se le voleva fare, o gliela volevano fare, era tanto più festosa col santo, per esempio. O così, per un ghiribizzo.

Ida Magli scrisse nel 2000 un libello anti-euro, “Contro l’Europa”. Introvabile oggi, benché d’attualità. Per la triste categoria del “sudismo” che vi conia? Come riserva di corruzione, affarismo, imbroglio. Una categoria curiosamente autosconfessante: volendo attaccare la Germania, l’antropologa anatemizza per una diecina di pagine il “sudismo”.  Una voce “dal sen fuggita”, l’antropologia è infetta?
L’antropologa sfiora la verità collegando a un certo punto l’impresentabilità del Sud alla perdita d’identità. Ma se ne ritrae subito: non le piace, benché risponda all’assunto del suo pamphlet, l’infeudamento alla Germania.

Il mafioso a termine
Andreotti rimarrà famoso per molte cose, ma per una sarà insuperabile: fu mafioso a termine. Come un qualsiasi precario. Fino al 1980, esattamente alla primavera di quell’anno. Poi non fu più mafioso. Lo ha decretato la Corte d’Appello di Palermo il 2 maggio 2003, presidente Salvatore Scaduti Decretandone al contempo l’impunibilità, per prescrizione intervenuta del reato.
Una decisione manzoniana (equanime): Andreotti era mafioso, ma non lo era.
Scaduti giunse alla decisione, dopo essersi complimentato con se stesso per un dibattimento “esemplare”. Elogio che estese a accusa e difesa: “In questo doloroso e sanguinoso momento del contrasto tra potere politico e giudiziario, voi avete dato al Paese, durante lo svolgimento di questo processo, un esempio di serena e auspicabile dialettica processuale, se si vuole e si crede ancora nella separazione dei poteri, soprattutto in uno Stato che continua a ritenersi civile e ancor più geloso di una culla del diritto”. Quindi anche un minuetto.
Fu un precariato improprio, però, quello di Andreotti, guardando ai fatti. Fino al 1980 fu mafioso di tutte le famiglie mafiose siciliane. Un caso eccezionale quindi. In particolare intrattenne “relazioni amichevoli” – per Andreotti un fatto ancora più eccezionale - con i capi Bontate e Badalamenti. Senza averne però i voti. Dopo che non fu più mafioso divenne invece in Sicilia una potenza politica nella Sicilia, quasi più che a Roma e in Ciociaria, col fido Lima.

Napoli.
Angelo Mastandrea lancia su “Le Monde Diplomatique” di aprile il “modello Napoli” per il futuro dell’Europa quale società complessa: l’informalità. Nei rapporti di lavoro. Non c’è limite al peggio?
Analogamente qualche decennio fa veniva teorizzato a Napoli l’abusivismo: come “architettura di necessità”. Napoli tradita dagli intellettuali.

Elio e le Storie Tese fa anche questa colpa al “Complesso del Primo Maggio”, a un certo punto: “Senza motivo ha un percussionista ghanese\ che è stato ricollocato in un complesso pugliese”. Di pizzica. Ce l’ha anche Eugenio Bennato, non da ora. Per l’inculturazione, o multiculturalismo, che arricchisce – di accordi, cadenze, ritmi. È l’“invenzione” di Napoli degli ultimi quarant’anni, ormai. Capossela se ne è fatta la cifra, non da buttare via.

C’è abbondanza, nelle nature morte de Seicento, soprattutto nei quadri napoletani: di colori e di fiori, frutta, verdure, oltre che di pesce e di carne. Non ci sono lazzari né lazzaroni come nel lombardo Caravaggio.

A Napoli il peggio è il nuovo, scriveva Paolo Macry nel saggio “Rappresentazioni di una metropoli”, confluito in “Napoli in posa”, un volume Electa del 1989, a cura di Gaetano Fiorentino e Gennaro Matacena: “Paradossalmente, è la nuova politica ad essere (diventata) il cuore del degrado cittadino”.
Napoli è stata liberata, ma non si è liberata.

Macry citava vecchi calcoli: “Fra il 1872 e il 1889 – calcolerà Francesco Saverio Nitti – l’indice della popolazione cresce da 100 a 120 mentre i generi alimentati più diffusi calano da 100 a 93. A Napoli con l’arrivo dei piemontesi e del regime liberale, si mangiano meno maccheroni d’un tempo, meno pesce secco, meno carni suine, si beve meno vino, si usa meno zucchero, si consumano minori quantità di legna da ardere” (F.S.Nitti, “La città di Napoli”, Napoli, 1902).
È con l’unità, ricorda ancora Macry, che Napoli s’impoverisce. Negli anni 1860 a Mark Twain sembrò “molto più alta di tre città americane sovrapposte”.

Mezzo secolo prima Vivant Denon, “Voyage au Royaume de Naples”, ci aveva trovato più carrozze che in ogni altra città da lui visitata. Si può anche dire che il traffico a Napoli è sempre stato un problema.

Lo stesso Vivant Denon era deluso: “Non c’è un bel palazzo a Napoli, il solo possibile è quello di Gravina”. La “particolare bellezza di Napoli” gli restava inspiegabile. Non c’è da fidarsi dei viaggiatori?

leuzzi@antiit.eu


Anche l’euro, è colpa del sudismo

Un libello sorprendente, nel 2001, contro l’unione monetaria. Di un’antropologa fin’allora riservata – ora è sul blog di Grillo. L’arte dell’invettiva non ha limiti e tutto vi è plausibile: in questo il libro fa opera di verità. Ma sinceramente falso, sbagliato cioè, e forse per questo non si ristampa: si critica il Nord imputando il Sud (qui è l’odiosa categoria del “sudismo”).
Ida Magli, Contro l’Europa

martedì 7 maggio 2013

Grillate con arguzia

Ci sono già agli inizi del genere i Grilli Romani – si diceva grillate come pasquinate. Meno irrispettosi dei 5 Stelle, nel Cinquecento la libellistica si voleva ragionativa: “Voi tutti de la grilla compagnia\ Grillo vi avvisa, dottori e notari,\ copisti, mercatanti e macellari,\ pizicaroli e chi tien ostaria….”.. Ma era un genere, evoluto sulla poesia burlesca, molto praticato: si faceva satira a Roma, Venezia (il Gobbo di Rialto), Perugia, Firenze (il Porcellino), ovunque, nel Cinquecento e poi nel Seicento.
La satira evolverà presto in contestazione, specie a Roma. Molto simile all’odierna “comunicazione” seriosa, via twitter, facebook, sms (il sito pasquinate.it ne è copia). Però era argomentata e arguta – si leggeranno fra quattro secoli i vaffa di oggi?
Chiara Lastraioli, Pasquinate, grillate, pelate e altro Cinquecento librario minore, Vecchiarelli, pp. 254, ril., € 30

Fisco, appalti, abusi – 28

Il patrimonio edilizio dello Stato vale almeno 200 miliardi – il doppio con quello degli enti locali. Ma non si può “valorizzare”, se non utilizzandolo come uffici dei ministeri e le Agenzie indipendenti.
Molti gli edifici e le aree in disuso, caserme, aeroporti, arsenali, ex uffici: circa la metà del patrimonio. Non si possono dismettere e non se ne può cambiare la destinazione d’uso.

A fronte di questi miliardi di metri cubi inutilizzabili, il governo prende in affitto ogni anno diecimila immobili. Al costo di 1,2 miliardi l’anno. Lucro cessante, danno emergente, in diritto sarebbe un crimine..

Il costo degli affitti si reputa il doppio, conteggiando anche quelli delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Anch’essi proprietari di un patrimonio sconosciuto, tanto è enorme. Se ne danno stime perché non si riesce a farne il conto.

Molti palazzi storici, a Roma, Firenze, Napoli, Torino, e altre città, sono adibiti a rappresentanza. Dei comandi provinciali, regionali o cittadini dei Carabinieri, per esempio. Con spese di mantenimento abnormi rispetto a un edificio moderno razionale.

Circa 100 mila sono gli appartamenti a proprietà pubblica in affitto popolare. I cui costi sono ogni anno maggiori degli introiti. Vari progetti per la retrocessione degli stessi agli inquilini, a condizioni di prezzo e di credito di favore, sono stati bocciati in sede politica o dai Tar.

Il patrimonio del Comune di Roma ammonterebbe a 40 mila unità. Quasi tutte in zone di pregio. Il condizionale si usa perché il Comune non sa che cosa possiede. E non fa pagare l’affitto o lo fa pagare a canoni storici. Ogni tentativo di farne un censimento è stato fatto fallire.

L’ultimo portò all’incriminazione della giunta Carraro e di tutti i consiglieri di maggioranza da parte della giudice Gloria Attanasio, finiana, allora usava, a ottobre del 1992: 44 persone. Per un processo che poi non si fece, il gip si disse scandalizzato dall’insussistenza del reato.

La giudice Attanasio incolpava la giunta di pagare costi gonfiati alla società Census, che conduceva il censimento. Tanto le bastò per ottenere la decadenza della giunta. Il primo atto del commissario Canale fu di abrogare l’appalto. Pagando alla Census come penale più di quanto l’appalto prevedeva.

Angelo Canale, ora alto magistrato della Corte dei Conti, sarà assessore al Patrimonio della giunta Rutelli, che venne dopo il commissariamento. In tale veste diede la gestione dell’immenso ma sconosciuto patrimonio capitolino a Alfredo Romeo. Un imprenditore napoletano, da cui ebbe regalie.

lunedì 6 maggio 2013

La caduta – americana – dell’America

Cinquemila versi di cui non si salva niente. Di poesia-non-poesia – Pasolini è un distillatore al confronto, che Ginsberg sembra rifare (o Pound, cui entrambi si rifanno).
La caduta, cronica negli Usa (fine, fallimento, scoppio) per i sensi di colpa puritani, “troppo di tutto”, è genere che non emoziona – che dobbiamo dirne noi altri? Stingono pure il sesso e il mantra Budda.
Allen Ginsberg, La caduta dell’America

Il mondo com'è (135)

astolfo

Complotto – Quello del 1969 si può dire tale, quello delle bombe? A volte anche la verità è netta, seppure non dichiarata: il complotto può essere scoperto, quando si assicura l’impunità.  Le bombe degli anni a partire dal 1969, dalla fiera di Milano e poi da piazza Fontana, sempre a Milano, si direbbero un fatto e non un complotto. Se non che furono fatti non perseguibili. Non per imperizia della Polizia (il commissario Calabresi, il suo capo Allegra) o dei giudici: l’imperseguibilità fu assoluta.
Feltrinelli sarà pure morto per imperizia e non per uno scherzo, ma allora tanto più è da credere alle altre bombe, che furono migliaia e richiesero una forte e costante organizzazione: per confezionarle, distribuirle, collocarle, innescarle, datarle. Con una gerarchia: chi decideva di farle confezionare, di che potenza, e quando e dove farle esplodere. Nonché chi e come s’incaricava di deviare le indagini, sempre, su piste che non portassero in nessun posto – le forme del contenuto, direbbe Umberto Eco. Nemmeno per caso.

Internet – Come avrà funzionato il Page Rank di questo sito? Il Page Rank è l’algoritmo segreto alla base del successo di Google, in quanto consente non solo di far “uscire” tutti i nomi, le date, i titoli eccetera, digitati sul motore di ricerca, ma di costruire delle pagine di risultati con una gerarchia quasi analoga a quella logica. Avrà funzionato come quando uno digita “Fermo e Lucia” e per primi escono i tempi in classe di alcuni licei, poi la città di Fermo e alcune Lucie, e se uno ha pazienza, verso la trenta- quarantesima pagina, Francesco De Sanctis, nominato in qualche tesi di dottorato? O, meglio, se ha lucidità in grandi dosi: perché alla trentesima pagina è passato attraverso trecento Fermi e Lucie.

Più che dire, insinua. Così la pubblicità che emerge con ogni messaggio della posta. Non invasiva e quindi non colpevole. Ma i motori di ricerca, per quanto miracolosi, sono indigenti: sono al grado zero della psicologia elettronica, posto che ce ne debba essere una. Di fantasia scoordinata, ma labile nella stessa memoria, che si vorrebbe portentosa. Avendo cancellato la storia, evidentemente non “comprimibile” (immagazzinabile).

A dicembre, avendo cercato sulla rete “Uomini comunicazione”, l’annuario delle relazioni pubbliche in Italia che tardava a uscire, Google ha mandato questo genere di annunci pubblicitari:
Tanti uomini per te
Scopri i Profili e le Foto, flirta
con loro!
Tutto Gratis.
www........it
Ragazzi Single On line
Foto Annunci di Uomini Single.
Cosa Aspetti? Iscrizione Gratuita!
www.......it/Roma, etc.
Alla prima digitazione di “Uomini comunicazione” Google sensibile mandò fuori due annunci del tipo: “Cerchi un amico a Roma?” e “Servizio escort maschile”. Sa insomma che sto a Roma. Alla seconda digitazione ha mandato fuori annunci che avete letto. Alla terza…

L’aver ordinato su Amazon “Proust lesbico” della Ladenson suscitò invece la reazione perplessa del pudibondo sito, che dovendo consigliare in automatico “chi ha comprato questo ha comprato quest’altro” si sbilanciò con  molto Proust, e uno o due testi “homo” - le perplessità di Amazon erano accresciute dal fatto che sono registrato come “Giuseppe, M”, di sesso maschile.

Ma su tutte le questioni, le piccole come le grandi, l’indigenza è estrema delle chat e dei forum: sciatteria, noncuranza, superficialità impensabile, irrimediabile. Avendo frequentato, per l’età, gran numero di bar, e avendo curato per un giornale l’indigesta posta dei lettori, nulla del genere era ancora emerso, roba da non credere. Roba da far dubitare del suffragio universale. In un certo senso è pure ovvio che Grillo sia esploso su internet.

Islam - Il duello tra Maometto e Carlo Magno è finito da tempo: il mondo arabo-musulmano non ha saputo penetrare in Europa, e ora non può. L’islam è debole, malgrado la demografia, sul piano religioso e su quello militare. Malgrado il fondamentalismo feroce e la bomba atomica, e anzi a causa di essi: si coltiva la dipendenza araba, islamica, la si introietta, di fronte alla modernità, l’estremismo è una reazione. Anche se dietro di essa c’è, almeno in Iran, una coltivata sapienza politica. 

È pure vero che senza la presenza occidentale nel Levante, negli Emirati, nello stesso Iran, come in Turchia e nel Nord Africa, il mondo islamico sarebbe diverso. Forse moderno, con l’aria condizionata, i grattacieli e i fondi sovrani, ma molto tribale, senza borghesia, senza investimenti, in definitiva senza ricchezza.

È stato l’islam, nelle vecchia storia e per molti secoli, a minacciare l’Europa, da quando ha preso a espandersi. Dall’Andalusia a Costantinopoli, a Lepanto e a Vienna. Con otto secoli, fino a metà Ottocento, di guerra di corsa, saraceni, attacchi, sbarchi, che restano nella memoria con le torri di avvistamento, e l’abbandono della costa, soprattutto nel Tirreno, davanti a Algeri, dalla Calabria alla Liguria, per le valli chiuse.
L’Europa reagì con le Crociate, ma limitate a Gerusalemme e dintorni. E con l’occupazione della fascia mediterranea meridionale a metà Ottocento, per l’indebolimento ottomano, per  un secolo.

L’islam è sempre stato un player negli affari mediterranei ed europei. Non solo per l’occupazione della Sicilia o dell’Andalusia. Né unicamente per la questione del Medio Oriente. Federico II ne cercò l’alleanza contro il papa. Come tre secoli dopo i re cristianissimi di Francia. O Venezia, o lo stesso papa. Nel 1158 si disse che i milanesi avevano assoldato un commando di terroristi mussulmani del Vecchio della Montagna, per far uccidere Federico Barbarossa che li assediava, racconta Bernard Lewis in “Gli Assassini”.

Masse - Ci sono state a febbraio del 2009 “diecine di migliaia” di appelli pervenuti, comunicava il Quirinale del presidente Napoletano, di gente che voleva morire “presto e bene”. Simile, anche se certo non uguale, o almeno non si sa, al fantomatico popolo dei fax che, dall’ufficio, quando Visco era al governo, ogni mattina gli scriveva: “Aumentaci le tasse!”. Nemmeno su indicazione del Partito, per riflesso condizionato. Che veniva però con la liberalità, il libero uso delle attrezzature e del tempo di lavoro. In quello di Napolitano invece un esempio di spensieratezza. Anche di ironia? Le masse moderne restano manovrabili, ma indecifrabili.

astolfo@antiit.eu

domenica 5 maggio 2013

Ombre - 175

Difficile vedere le partite Fiorentina-Roma e Catania-Siena, e non pensare che la Fiorentina andava punita e il Catania premiato. Il perché si sa. Ma non è questione di complotti. È che gli errori dei due arbitri a favore delle due squadre non sono errori: impossibili.

Per prime le banche hanno dato via libera all’aumento di capitale Rcs-Corriere della sera. Oneroso, e senza un vero piano di rilancio, solo tagli. Ora si sa perché: gli altri soci minacciano di non aderire alla ricapitalizzazione se non si consolida il debito. Se non si riducono gli oneri sul debito, reputati eccessivi. Che l’editrice paga alle stesse banche socie. Morale?

Il Procuratore di Roma Pignatone dispone n’indagine subito dopo che la presidente della Camera Boldrini denuncia offese e turpiloquio al suo indirizzo su internet. Lo stesso giorno, dopo qualche ora, apre un’indagine sulla violazione della posta dei parlamentari 5 Stelle, in corso da un settimana. Che non è un’offesa ma un vero e proprio delitto. Firmato “Pd”.
La firma dei pirati postali sarà falsa, ma il Procuratore non ci aveva nemmeno pensato. Fedele alla “linea”? Perduto nella giungla?

“Separarsi costa e di questi tempi è proibitivo”, dice Antonella Baccàro, senza ironia. Delle “coppie scopiate” che restano insieme in questo 2013. Delle coppie “aperte”, cioè non sposate. Perché non sanno rinunciare all’avidità?
La copia di fato si privilegia rispetto al matrimonio per essere più “autentica”. Ma questo non esclude le liti giudiziarie e gli “alimenti”.

Il Capo Economista dell’Ocse, Padoan, dice che l’Italia se la passa male. Non è una novità, lo dice per dire che non si possono ridurre le tasse. Il ministro dell’Economia Saccomanni dice che “le stime del’Ocse non hanno rilievo”.
Padoan pensava di essere lui il ministro. Ma questo, che è la vera notizia, nessuno lo dice al lettore-ascoltatore. E l’Ocse, che cos’è?

Il governo Letta è ancora in votazione al Senato e Floris registra un “Ballarò” che è un attacco radicale al governo steso. Con cifre, schemi, argomentazioni di “esperti”, lazzi comici, battutine.  Non è giornalismo e non è spettacolo, è proprio un attacco, lungo due ore e mezza, al governo appena insediato. Dalla Rai.
L’unico misurato, pur nella prosopopea, è Luciano Canfora, inveterato stalinista.

Da D’Alema a Dario Fo si sprecano, sul web e in tv, le battute su”difetto fisico”, si sarebbe detto una volta, di Brunetta. Tutto molto progressista. Non è inventata, è vera.

Presentando  Enrico Letta Napolitano ha osservato: “È un  politico giovane, per gli standard italiani”. Senza ironia forse, ma con evidente understatement. Il governo ha un’età media di 53 anni. La gioventù arriva ora fino alla vecchiaia? Non passa più per la maturità.

Si fa la mostra a Roma di vecchie foto di Marco Delogu, delle tante teste di imperatori e maggiorenti romani dei Musei Capitolini, di anni, si dice nella presentazione, in cui Roma non era la città multietnica di oggi. In effetti, nel 1989 c’erano di immigrati solo i filippini, non erano ancora arrivati i polacchi, avanguardie di mezza Europa, né c’era il (facile) rifugio politico per i tanti asiatici e africani. Ma Roma antica era multietnica, gli imperatori stessi lo erano. La faccia dell’imperatore Filippo è Zidane giovane – forse per questo era detto “l’Arabo”.

Si sono fatte tante cerimonie, con molte rievocazioni, della morte di Franco Califano. Senza ricordare i due fatti che ne segnarono la vita – e probabilmente la morte precoce: due carcerazioni di un anno, dodici mesi ciascuna, senza condanna, per droga. Una in concomitanza con l’arresto di Walter Chiari, e una in concomitanza con quello di Enzo Tortora. Due vittime, una anche in senso tecnico, giuridico, della giustizia “eccellente”.  Ma non bastavano, ci voleva anche Califano.

La modernità è grottesca

“Cromwell” è un dramma – una commedia? – che V. Hugo pubblicò nel 1827, a 25 anni. Irrappresentabile, per la lunghezza (6.920 versi), per l’impianto, a metà affresco storico dell’Inghilterra di metà Seicento e a metà ritratto di Cromwell, il Lord Protettore (si ricorda una sola messa in scena, nel 1956, in versione ridotta), per il tema (Hugo non si sente di dare ragione al suo “eroe”). La prefazione è invece ritenuta uno dei testi chiave del “romanticismo”, seppure tardo. Una sorpresa, ancora dopo quasi due secoli. Una scatola di meraviglie, per un passionale come Hugo. Una stilistica che fa giustizia del postmoderno, opera di un giovanotto, non del mestiere.
Inno, epopea, dramma
La poesia evolve: “In presenza delle meraviglie che la affascinano e la inebriano, la sua prima parola non è che un inno… La sua lira non ha che tre corde: Dio, l’anima, la creazione… Questo poema, questa ode dei tempi primitivi”, è la Genesi”. Poi “la religione prende una forma: i riti regolano la preghiera, il dogma viene a inquadrare il culto”. Alla “comunità patriarcale succede  la società teocratica”. Ma i poli, nello steso tempo, stanno stretti, e si fanno guerra. È il tempo dell’epopea. Ache in forma tetrale, la poesia antica è “grandiosa, pontificale, epica”. Poi viene il Cristo, e tutto cambia.
Ridotto alla cronologia, il saggio del giovane Hugo perde tre quarti del suo fascino. Che è fatto di sintesi, intuizioni, lampi, a diecine, a centinaia, ogni riga, ogni mezza riga. La religione diventa spiritualista. La società individualista. Nasce e si diffonde, democratico, “lo spirito d’esame e di curiosità”. Nasce la “commedia”, il dramma. Il dramma sarà la forma  espressiva della nuova civiltà: “Il cristianesimo porta la poesia alla verità”. O altrimenti: “Essere incompleto sarà il mezzo di essere armonioso”, il grottesco è la forma espressiva.
Grottesco
Non è che prima non ci fosse, “niente viene senza radice”. In Omero ovunque, Eschilo, Sofocle, Euripide. Ma vicino a questi colossi, “che sono Aristofane e Plauto?” Tra i moderni, “al contrario, il grottesco ha un ruolo immenso: è ovunque,: da una parte crea il difforme e l’orribile, dall’altra il comico e il buffone. Attaccando attorno alla religione mille superstizioni originali, attorno alla poesia mille immaginazioni pittoresche”.  Con l’inferno cristiano, “che evocherà l’aspro genio di Dante e Milton”. Con le maschere, sconosciute “alla grave antichità”, e “tuttavia uscite dalla classica Italia”. Fino al punto di dare, al suo contatto, “al sublime moderno qualcosa di più puro, di più grande, di più sublime del belo antico”. Definirlo è inutile – è limitarlo: “”Come obiettivo presso il sublime, come mezzo di contrasto, il grottesco è, secondo noi, la più ricca sorgente che la natura possa aprire all’arte”. S’impone con tre “Omeri buffoni: Ariosto in Italia, Cervantes in Spagna e Rabelais in Francia”. Finche “un uomo, un poeta re, il poeta soverano, come Dante dice di Omero, fissa il tutto”: Shakespeare.
Profondità e rilievo
Al centro ci sono Vico e Rousseau. Che Hugo non nomina, ma affina riassumendo: “La società comincia col cantare ciò che sogna, poi racconta ciò che fa, infine si mette a dipingere ciò che pensa”. È questo che fa la forza del dramma, che viene per ultimo: “Unendo le qualità più opposte, può essere insieme pieno di profondità e pieno di rilievo, filosofico e pittoresco”. Discutibile: Shakespeare, il dramma, come un culmine (“il dramma è la poesia completa”, “”è al dramma che tutto viene a confluire nella poesia moderna”). Ingegnoso: “L’arbitraria distinzione dei generi crolla presto davanti alla ragione e al gusto”. Contro le unità di tempo e di luogo: quattro ore possono contenerne quarantotto – o una vita. Per l’unità d’azione: “Né l’occhio né lo spirito umano saprebbero afferrare più di un insieme alla volta”. Contro il misoneismo, quello del non sono più i tempi di una volta: “I nomi dei morti sempre sbattuti in faccia a quelli che vivono: Corneille lapidato con Tasso e Guarini (Guarini!), come più tardi si lapiderà Racine con Corneille, Voltaire con Racine”. Con uso disinvolto, sempre appropriato, dell’italiano e dello spagnolo – all’inizio un emozionante  “Che sarà, sarà”, quelo di Marlowe, “Doctor Faustus”, I, 1.
Victor Hugo, Cromwell, Préface, La bibliothèque libre online