Un
governo Pd-Grillo sarebbe l’ipotesi che più sorride a Berlusconi in queste ore
buie. Secondo qualcuno dei suoi collaboratori. Un governo Bersani o Renzi col
movimento 5 Stelle, questo il ragionamento, incontrerebbe l’ostilità violenta
della magistratura, impegnata a prevenire i referendum sulla giustizia con lo
scioglimento della legislatura. E comunque non farebbe che male, all’uno e all’altro
partner – a livello nazionale l’effetto Crocetta in Sicilia, dove se si
rivotasse, l’isola voterebbe per il 70 per cento a destra nei sondaggi: una
reazione di rigetto.
Detto
così, l’obiettivo di Berlusconi sarebbe quello di Massimo Bucchi, di ”riportare
i topi sulla nave”. Ma non un’ipotesi scherzosa, anzi sarebbe qualcosa più di
un ragionamento. L’idea sarebbe venuta dall’avvertimento che Napolitano ha
fatto avere a Berlusconi, il primo, prima di ogni altra considerazione: che se
Berlusconi si sfila dal governo Letta lo scioglimento delle Camere non sarà
automatico.
sabato 3 agosto 2013
L’Italia condannata dalla Costituzione
A
volere la riforma della Costituzione, per un governo stabile espressione del
voto, un Parlamento non pletorico, un giudiziario responsabile (infine
costituzionale: decorporativizzato), sono rimasti Napolitano e Berlusconi.
Poiché Berlusconi è un criminale, Napolitano è solo. Non otterrà quindi nulla.
Ci
è abituato, Napolitano è famoso per sbagliare sempre i tempi. Quando avrebbe
potuto rendere costituzionale la Costituzione, coerente con lo scopo di
governare l’Italia democraticamente, ridando potere al voto, si tirò indietro,
perché lo chiedeva Craxi. L’Italia restò in mano “ai partiti”, anche quando i
giudici li abolirono – abolirono quelli democratici. Restò in mano cioè ai
(vecchi, ex, neo) democristiani, il partito informe del sottogoverno. Che ora
si propongono a “politica”, vera, buona effettiva.
Questa
politica non vuole cambiare. Per prima nel partito dello stesso Napolitano. Lo
ha già detto col finanziamento pubblico ai partiti. Dice che vuole fare, ma poi
al voto in Parlamento si disimpegna, rinvia, camuffa, pretende per buone caselle
vuote.
Si
farà la legge elettorale proporzionale, per sanzionare il governo del
sottogoverno. Avremo i sette-otto partiti di sempre, per consentire al governo
del sottogoverno il gioco di bascula, un contentino a destra e poi un
contentino a sinistra: uno di destra, la Lega forse, Forza Italia,
Monti-Casini, gli ex Popolari, gli ex Ds, e Vendola forse. Indietro di
vent’anni.
Dopo,
la legislatura si chiuderà. Perché non bisogna fare i referendum sulla
giustizia. E questo è tutto.
Una vera condanna sarebbe sulla Mondadori
Fare
contenti i giudici promuovendo lo scioglimento del Parlamento, per averne un
occhio di riguardo sul lodo Mondadori? È questo sicuramente un dilemma che Berlusconi
si pone in queste ore. Non che ne abbia parlato con i collaboratori, ma l’uomo
è attentissimo ai conti.
La
condanna a quattro anni di carcere è un danno in certo senso limitato: essendo
una sentenza politica, è politicamente ambivalente. La conferma del danno da
pagare a De Benedetti per l’accordo sulla Mondadori, 600 milioni con gli
interessi, è invece solo dannosa, e sarebbe un danno grave, minaccerebbe la solidità
di Fininvest.
È
un ragionamento, e non c’è la certezza che Berlusconi se lo stia facendo. Tanto
più che, paradossalmente, passerebbe lui dalla parte dei giudici. Ma è possibile,
non è uomo di odi assoluti o di principi. Certo è che non si fida più delle sue
antenne romane, Gianni Letta e l’avvocato Coppi. I quali gli prospettano che la
Cassazione deciderà sul lodo Mondadori attraverso una sezione con competenze
specifiche, e qualche voglia d’indipendenza, non la sezione feriale dei
bolliti. Ma lui non si fida.
Il rap dell’io-me
Capita d’incontrasi per caso. Cercando
ripetutamente e a vuoto in libreria, allo scaffale Poesia, Anna Maria Carpi, “Quando
avrò vita”, una raccolta molto recensita ma evidentemente non stampata, ci
s’imbatte invece sempre in questo adiacente rumoroso Catalano, che si spara in
copertina con la pompetta del vecchio clacson, e nessuno recensisce. Finché non
si lascia Carpi per Catalano, come arrendendosi, e invece vale la pena.
Catalano non dice molto di sé, se non che è
“poeta e performer”, e in effetti questo è, un rapper: temi, metrica e
aggettivazioni, con versi monoverbali e anche monosillabici, e le iterazioni.
Da manuale “Io non so”, “Cane calmo”, “Tutti al mare”. La raccolta sembra di
canzonette, seppure monocordi: rap. Ma con qualcosa in più: Catalano rinnova la
poesia burlesca, adattandola nel linguaggio e i temi. Ne ha la plasticità:
“Immaginare il cemento” fiorito e profumato, “Io una volta amai una gatta”, “La
bambina che contava le gocce di pioggia”, “La ragazza che sbucciava le
ciliegie”, o “Ragazza che stendi le noci ad asciugare al davanzale”..
È della generazione di Furia Cavallo del
Re, Snopy e i Supereroi, che il rap se l’è trovato fatto ai quindici anni. E lo
esercita con qualche deviazione. Numi tutelari sono, con ragione, Demis Roussos
e Mark Knopfler, il poeta laureato (all’università, prima che con varie honoris causa), fondatore e leader dei Dire
Straits, virtuoso del fingerpicking.
E Billy Collins, poeta laureato Usa, autore degli “Oroscopi per i morti”, Charles
Simic, poeta serbo-americano, Henry Sidgwick, il filosofo ottocentesco
dell’etica permissiva, dei quali invece non c’è traccia nella raccolta. Idem
gli Skyantos, nel cui nome Catalano ha
debuttato con una sua band. Non una
colpa. Il limite è l’ombelicalismo – ci si diverte, ma fino a un certo punto,
tra “sti cazzi” e “la merda”: Catalano ne è cosciente, della ripetitività e
dell’egotismo, di “parlare di se stesso\con se stesso”, o “di quanto io sia
stramaledettissimamentemente\ più fico”, il genere antipatizzante non
antipatico, ma ancora se ne compiace. Intanto scopre il nero, degli occhi, dei
capelli, che è suo ma lui lo vede nelle altre, è un inizio.
Guido Catalano, Piuttosto che morire m’ammazzo, Miraggi, pp. 157 € 14
venerdì 2 agosto 2013
I due ladroni
Berlusconi dopo Craxi: sono gli unici due
politici colpevoli nei settant’anni della Repubblica. Non di un delitto ma di
“non poter non sapere”: condannati cioè per volontà dei giudici.
Non sono uguali. Berlusconi è un riccastro,
pieno di ville e amanti. In vent’anni di indagini, cinquanta processi, uno
sproposito di rogatorie e missioni all’estero, l’evasione fiscale per cui è
condannato non è stata trovata. Ma non si può dire, magari gliela troveranno.
Craxi invece non aveva rubato nulla – la villa di Hammamet quando la comprò
costava la metà di un appartamento di cento mq. semiperiferico a Roma.
Hanno però molto in comune. Sono milanesi, e
questo già dice molto: Milano periodicamente si fa perdonare il ladrocinio
quotidiano, in Borsa, in banca, e al palazzo di Giustizia, con vittime
sacrificali. E volevano riformare la giustizia, far lavorare i giudici. Da
ultimo con i referendum. Questo non si può, e li accomuna nel giudizio: sono
dei cretini politici? dei suicidi? dei martiri?
Simul stabunt vel simul cadent
Finisce il bipolarismo, finisce con Berlusconi
anche il Pd. Si tengono – si tenevano
– l’un altro come la Rai con Mediaset. Arrivato al capolinea Berlusconi, col fascio Lega-Pdl è destinato
a sfaldarsi anche il Pd. Che non aveva –
non ha – altro collante: partendo dalle coalizioni di dodici partiti dell’Ulivo
di Prodi, il Pd non è riuscito ad amalgamarli in questi sei anni di vita.
È l’effetto non casuale della liquidazione di
Berlusconi, perseguita da Milano fulmineamente per via giudiziaria dopo il
fallimento con Monti di quella elettorale. Era l’obiettivo del partito neo
guelfo, dichiarato da Casini e Monti, perseguito da metà dei cattedratici, da
Zagrebelsky in giù, esemplificato dal governo Letta in carica. Tornare al
governo del non-governo, cioè dell’establishment politico-burocratico
imperturbato.
Le formule sono quelle note, dei governi di
coalizione. Articolati in numerosi piccoli partiti, come già ora nella grande
coalizione, che è tale solo per la forma. Con un sistema elettorale
proporzionale.
Ponzio Pilato e il sinedrio
Non si può dire Ponzio Pilato, altrimenti Berlusconi... E poi Napolitano
è tutti noi. Insomma, non si può dire. Ma che ci sta a fare? È sempre lo
stesso di quando stava nel Partito, sa ma non fa.
Veramente anche Pilato seppe ma non fece. Ma
Napolitano lo ha fatto per tutta la vita e non si può pretendere che cambi a
novant’anni.
Ora Napolitano difende la magistratura, perché,
giustamente, che ne sarebbe dell’Italia se si sapesse che anche i giudici sono
gaglioffi? E tuttavia, lui è il capo della magistratura, come fa a non vedere
che lo prendono in giro? Cioè, l’ha visto, quando volevano incriminarlo a Palermo
– e chi poi, un giudice che funziona solo con Crozza. Ma se l’è dimenticato. E
tutto come nel Pci, dove ha passato la sua migliore vita.
Dice che no, in realtà ha parlato per promettere
la riforma della giustizia, ha paura che Berlusconi gli scippi il governo e gli rovini le vacanze. Speriamo
di no, ma allora che stanno lì a lavorare, per il giaguaro?
Dice: soprattutto vuole salvare la riforma della Costituzione. Vuole salvare l’Italia, che ha bisogno di una riforma della Costituzione: un esecutivo in grado di governare, e una giustizia meno lavativa. Lui è stato presidente della Camera e sa che una repubblica assembleare non funziona, nemmenoal minimo. Ma non vede chi e come vuole impedirla? Possibile che non lo veda? Che i giudici qui non commettono irritualità ma veri e propri delitti. La giustizia politica, che è sempre un delitto, in questo dopo-elezioni è diventata sfacciata, non è chi non lo vede.
Dice: soprattutto vuole salvare la riforma della Costituzione. Vuole salvare l’Italia, che ha bisogno di una riforma della Costituzione: un esecutivo in grado di governare, e una giustizia meno lavativa. Lui è stato presidente della Camera e sa che una repubblica assembleare non funziona, nemmenoal minimo. Ma non vede chi e come vuole impedirla? Possibile che non lo veda? Che i giudici qui non commettono irritualità ma veri e propri delitti. La giustizia politica, che è sempre un delitto, in questo dopo-elezioni è diventata sfacciata, non è chi non lo vede.
Totò
Il sinedrio che ha condannato Berlusconi è roba,
a quello che s’è visto in tv, da film di Totò. Tanto più sapendo che è la
sezione feriale, composta da chi deve farsi a Roma i due mesi più caldi mentre
gli altri si fanno due mesi di ferie. Ma è, pur nella sua insignificanza, un
tribunale speciale: formalistico e abulico nelle prospettazioni, ma con una
sentenza già scritta (è quella del Procuratore Generale, dell’accusa). Un
ultimo atto scontato – Berlusconi aveva già redatta, polita e registrata la sua
mozione degli affetti. A fronte dell’ingiusto processo dichiaratamente politico
a Gramsci, bisogna dire che il Tribunale Speciale fascista si garantiva almeno sul piano formale.
Non si dice ma è successa una cosa grave: un procedimeto è stato dirottato dal suo giudice naturale. Questo non si può far in base ai codici, presuppone anzi una sentenza precostituita, ma la Cassazione l’ha fatto:
Non si dice ma è successa una cosa grave: un procedimeto è stato dirottato dal suo giudice naturale. Questo non si può far in base ai codici, presuppone anzi una sentenza precostituita, ma la Cassazione l’ha fatto:
ha
assegnato alla sezione feriale il processo Berlusconi al posto del suo giudice
naturale, competente per i reati fiscali, la seconda o la terza sezione della Cassazione. Per un motivo che non
si può dire ma si sa: che queste sezioni in altri procedimenti non avevano
avallato il non può non sapere, mentre il giudice Esposito evidentemente no. Dirottare un procedimento è un reato. Ma non
per i napolitani che ci governano – per molto meno il presidente della
Repubblica ha protestato, anche con la Cassazione.
I diritti Rcs
La corsa a condannare Berlusconi dopo la fine
impietosa della tentata liquidazione politica con Monti. E dopo la fine del Pd
e di Fini, i protettori politici dei giudici. L’urgenza. La sezione feriale. La
decisione presa prima del dibattimento, con chiarezza, che si voleva anzi che
si sapesse. Per lo stesso reato, “non poteva non sapere”, per il quale
Berlusconi era già stato assolto in Cassazione due volte. I turpi segreti che i cronisti
giudiziari si rubano e si imputano. Con la connivenza dei procuratori della
Repubblica e dei giudici.Una
sezione speciale chiamata a interinare la famosa sentenza dell’irruento giudice
D’Avossa, che ha condannato Berlusconi per non potere non sapere, assolvendo il
presidente dell’azienda che ha commesso a suo giudizio l’evasione fiscale, quello che
controlla i bilanci e li firma. Quando si farà la storia, D’Avossa avrà senz’altro
un posto. Ma non è tutta la lista delle turpitudini di questa
giustizia.
Non è il primo caso, sono vent’anni che Milano “fa”
la giustizia. Senza curarsi delle prove, mai o quasi mai.
Perseguendo, per un reato non provato, certi
soggetti, mentre non persegue per lo stesso reato, provato, altri. Un caso
riguarda proprio i diritti cinematografici sovrappagati all’estero (documentato
nel 1997 nel nostro “Mediobanca Editore”, un libro tuttora in commercio): Montezemolo esportò
in due anni, a partire dal maggio 1991, in qualità di amministratore delegato di Rcs Video, 250 milioni di dollari, praticamente senza
contropartita – “Rcs Video has a virtually unlimited availability of money”,
annunciava a febbraio del 1993 la rivista “Video Age”, più scandalizzata che connivente, una
disponibilità di denaro virtualmente illimitata. Nessuna indagine, benché i reati ipotizzati fossero gravi: evasione
fiscale, costituzione di fondi neri, distrazione di fondi societari. Anzi, la
denuncia di Kpmg, i revisori dei conti, veniva cassata dalla Procura. La stessa
che, ma questo lo saprà anche Napolitano, cancellava i cinque partiti
democratici per lasciare soli Fini e Occhetto. Gli sconfitti della storia,
asservibili al partito dei giudici senza residui. Non per caso, ma di
proposito, secondo un disegno. Vuoi mettere Napolitano con Di Pietro?
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Si dice in città
Una Cina di sciocchezze
Quante sciocchezze: cinquecento fitte
pagine di niente.
Maria Antonietta Macciocchi, Dalla Cina. Dopo la rivoluzione culturale
giovedì 1 agosto 2013
Delenda Fiat
Non
c’è procedimento giudiziario in cui Fiat non sia condannata. Una volta per colpa
della legge, sic!, altre forse per sue colpe, lo sapremo dalle motivazioni
delle sentenze, che si fanno aspettare. Ma con puntualità, quale che sia la
causa, la Fiat viene condannata.
La
Corte Costituzione scopre ora, nel 2013, dopo 44 anni, che l’art. 19 dello Statuto
dei lavoratori è incostituzionale. Non perché nessuno l’aveva mai impugnato:
era stato fatto, ma non dalla Cgil come ora. Mentre la Corte di Cassazione
sancisce, sempre su ricorso della Cgil, la fine del licenziamento per giusta
causa. Ma solo per la Fiat, le badanti e le colf si possono licenziare
liberamente. Il comma 1 dell’art 19 limitava la partecipazione alle Rsu
aziendali ai sindacati che riconoscono i contratti collettivi applicati in
azienda.
C’è
una dose di sinistrismo, di falsa buona coscienza, in questi “supremi” giudici.
Che naturalmente sono fascisti: lo sono per natura, tale è la natura del
giudice in Italia. La Corte Costituzionale hanno adito, sicuri delle condanna,
ben tre tribunali, Torino, Vercelli e Modena, due dei quali c’entrano poco o
nulla con la Fiat. Ma questi giudici non sono soli, c’è un ritorno del “tutto è
politica” democristiano: riportare tutto sotto controllo, dal Cnr al Tribunale
circondariale. Questi “giudici” hanno cominciato con Finmeccanica e con Eni,
sospetti di derive berlusconiane, che infatti subito sono rientrati a cuccia,
Pansa e Scaroni non perdono botta per dichiarare la loro fedeltà, e si punta
ora alla Fiat.
Anche
Marchionne potrà licenziare chi sabota la produzione, ma dopo aver fatto atto
di sottomissione alla Dc–che-non-c’è, arcigna: discuta coi nuovi ras i piani
d’investimento, le localizzazioni, le assunzioni, gli sfioramenti. Per
Marchionne sarà difficile capirlo, ma dia ascolto a Giovannini, il “vaselina”: Giovannini
è il tipico ministro democristiano, che parla tanto e non fa nulla, per i
disoccupati, i giovani senza occupazione, gli esodati, e la flessibilità del
lavoro (che tanto vanta, ma per la Germania), e quindi avrà un grande futuro.
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Si dice in città
Almunia il tedesco vuole Mps fallita
Joaquín
Almunia rifiuta il piano di ristrutturazione del Monte dei Paschi di Siena
perché vi sospetta “aiuti di Stato”. Gli aiuti non ci sono nel piano. Almunia
dice che ci potrebbero essere in futuro. E boccia il piano ora. Una procedura pretestuosa. E tuttavia inappellabile:
Almunia minaccia di aprire un contenzioso contro l’Italia, e mettere l’Italia,
le banche italiane, nel mirino è il suo obiettivo. Tragico, trucido, ma è quello
che ha fatto e scritto. Almunia che a Bruxelles, inossidabile dopo dieci anni,
è chiamato il tedesco, lui che è stato candidato premier in Spagna. Uno che
parla per conto della Bundesbank e del governo di Berlino, che scalpitano per
rimettere l’Italia nel mirino della speculazione.
In
alternativa alla condanna di Mps e dell’Italia per aiuti di Stato a venire,
forse, per ragioni che ancora non sappiamo, Almunia vorrebbe Mps chiusa, con
tagli di metà dell’attivo, dei dipendenti, della proiezione territoriale.
Vorrebbe un default italiano: non c’è altra spiegazione alla sua inspiegata
bocciatura.
Una
condanna per un futuribile è ridicola, anche con metro giudiziario italico. Ma
Almunia se la può permettere, evidentemente. Giacché il flebile Saccomanni e l’europeista
Moavero non difendono Mps, non si difendono. In fondo l’asimmetria di questa
Europa tedesca è quasi tutta nel gregarismo degli altri, Italia per prima. La servitù
volontaria non è un paradosso.
Sussurri al potere
Da Andreotti a Bergoglio, promette Bisignani – aggiornamento last minute, per le origini argentine? Purtroppo “Gigi” continua a sussurrare, niente che non sapessimo. “Trent'anni di potere in Italia tra miserie, splendori e trame mai confessate”, promette il sottotitolo. Quando si comincia?
Luigi Bisignani-Paolo Madron, L’uomo che sussurrava ai potenti, Chiarelettere, pp. 324 € 13
mercoledì 31 luglio 2013
Delendo Cacciari
L’unico
vizio che Cacciari non ha è rubare – è lui il politico della domenica. Prende
anche i mezzi pubblici, ma per “esibire le sue belle” - dovrebbe “esibirle” brutte? E questo è il meno, non c’è turpitudine di cui non si è macchiato. Non sa neppure scrivere in italiano. E sarà pure
vero, ma perché tante contumelie? Cosa ci siamo persi che non si dice?
Il
libriccino non si vuole presuntuoso, ma pone questo interrogativo. A Marcello
Baraghini, che Stampa Alternativa anima, Cacciari stava antipatico già
vent’anni fa, “Il giovane Cacciari”. Anche a Liucci ora evidentemente, biografo
di Montanelli. Liucci, collaboratore di “Belfagor”, ce l’ha però pure con la morta
rivista: s’è illustrata, dice, con i versi di “Nicola Vendola, detto Nichi”. E
col “Fatto Quotidiano” – al quale collabora. I suoi buoni sono Giavazzi, altrimenti famoso per
le “giavazzate”, con le quali ha affossato l’università e mezza economia
pubblica, l’ateista Odifreddi, e (mezzo) “Fatto”. E Sergio Luzzatto. Qui la
cosa si chiarisce, ma in altro senso.
Domenica
“Il Sole 24 Ore” e Sergio Luzzatto, eleggendo Liucci a “storico veneziano”,
hanno fatto a fette il filosofo – che
però lunedì era ancora vivo, e confidava alla “Nazione” di aver “visto lo
Spirito Santo” nel papa Francesco. “Spalmati su mezzo secolo di vita pubblica,
il narcisismo e la supponenza, il giravoltismo e la vanità, il presenzialismo e
la logorrea di Cacciari hanno prodotto una messe di fonti storiche così
abbondanti da rendere fin troppo facile il compito” di crocifiggerlo: questa è
prosa di Luzzatto. E dunque abbiamo un polemista tourné storico, e uno storico che ambisce a fare il polemista. Ma
le “fonti storiche” - di “mezzo secolo”, quanti anni avrà Cacciari? Il bersaglio sembra ridere più dei tiratori, per quanto scelti.
Raffaele
Liucci, Il politico della domenica,
Stampa Alternativa, pp. 47 € 1
Letture - 145
letterautore
Croce – Ha in uno dei saggi “la mula del Berni”, che sollevava i sassi
per inciamparvi dentro. Marcello Vannucci,
analizzando l’avversione dello stesso Croce per Vittorio Imbriani, benché a suo
modo anche questi un burlesco, ha: “Don Benedetto pare uno «che fabbrichi prima
le palle e poi se le tiri addosso»”, come potrebbe dire uno dei personaggi
delle “novellaje” popolari dello stesso Imbriani.
Inglese - L’antico inglese si vuole
sassone. Per dire tedesco. Ma era celta, e poi romano – e poi francese. Le persistenze
latine, limitate generalmente alle parole in -.imo e –one, sono invece
prevalenti, nel lessico giuridico e politico, e in quello letterario. Bat- per
esempio, fino a butterfly e batman.
Italiano – Cresce in piazze d’architetto, tra ninfe
e tritoni in fontane d’artista. Un americano non
s’aggira per piazze ornate di palazzi, cattedrali e fontane con le naiadi, e
dentro i palazzi e le cattedrali intarsi, stucchi, statue, dipinti e pavimenti
marmorei, multicolori. L’italiano vive nel bello, anche se lo ignora, col culto
spontaneo della prospettiva, nelle piazze, i palazzi,
l’urbanistica, anche del villaggio più piccolo o povero. Della geometria del
mondo.
Questa è una visione del
mondo che sembra “naturale”, mentre non lo è. Lo è stata per il predominio che
questa Italia ha esercito per alcuni secoli sulla cultura occidentale, e quindi
mondiale, che ora è in apnea, o è esaurita. Del centro Italia, da Piero della
Francesca a Alberti e Galileo, Realista e imaginifico, mondano e ultraterreno.
Leggerezza – Quella di Savinio, teorico
dell’antiprofondismo, è ricercata, molto. Quella di Calvino, che la celebra, è
l’esito di un lento, applicato, lavoro di bulino. La superficialità è sempre
pesante, è noiosa.
Romanzo – “Se qualcosa si può chiamare col nome di lettura, il
procedimento stesso dovrà essere attraente e piacevole; dovremo gongolare su un
libro, essere rapiti del tutto fuori da noi stessi, e uscire dalla scorsa con
la mente presa dalla più affollata, caleidoscopica danza di immagini, incapaci
di sonno o di un pensiero consistente. Le parole, se il libro è eloquente, dovrebbero
scorrere da allora in poi nelle nostre orecchie col suono dello scricchiolio, e
la storia, se è una storia, ripetersi in migliaia d’immagini colorate all’occhio”.
È l’esordio di “A gossip on romance”, il saggio con cui Stevenson s’intrometteva
nel 1882 nel dibattito tra Henry James e Walter Besant sulla “natura” del
romanzo, tra il realista e l’antirealista (sommariamente etichettato “romantico”).
A favore del secondo, ma facendo testo a sé: “Il teatro è la poesie dei comportamenti,
il romanzo la poesia delle circostanze”..
Il curatore del saggio su Literature
Network vuole Stevenson un “romantico” di scuola: “Nell’eterno conflitto tra
Romanticismo e Realismo, Stevenson fu anima e corpo col primo, e per fortuna
visse abbastanza da vedere gli effetti pratici dei suoi precetti e della sua
influenza. Quando cominciò a scrivere, il Realismo nella narrativa sembrava in
controllo assoluto, quando morì il revival romantico prevaleva”.
Stevenson scrisse “A gossip
on romance” a Davos, nell’inverno 1881-82, e lo pubblicò a novembre nel “Longman’s
Magazine”. Cinque anni dopo, nel 1887, lo riprese in “Memorie e ritratti”, seguito
da “Un’umile rimostranza”. L’idea originaria di Stevenson era di raccogliere in
un volume a sé gli scritti sul romanzo, ma non ne produsse altri. Eco, citando
la disputa nelle “Poetiche di Joyce”, dice di Stevenson che “la visione
classicista si era scontrata con l’inquietudine di chi avvertiva la presenza di
una nuova realtà”. In realtà la disputa presentava più connessioni che fronteggiamenti.
Besant voleva il romanzo “netto, finito, autonomo, fluido”, mentre la vita
diceva “mostruosa, infinita, illogica, improvvisata e spasmodica”. James gli obiettava
per modo di dire: “L’umanità è immensa…
L’esperienza non è mai limitata e non è mai completa”, e tuttavia “essa è la
vera atmosfera dello spirito…. Esso accoglie in sé le più deboli allusioni
della vita, e converte i battiti d’aria in rivelazioni”.
Scrivere – È la scoperta dell’America. È
scoprire. Vagare, con o senza bussola, ma tentando sempre la scoperta di
un’America. Ricercata- casuale..
Lo scrittore è irrisolto,
per definizione: è uno che scrive sempre, cioè cerca sempre. Si scrive per
scoprire, vagheggiare, mettere a punto. Ma senza i punti che fanno un sistema.
letterautore@antiit.com
martedì 30 luglio 2013
La notte dell’Italia “indisfattibile”
Un libro che meriterebbe una celebrazione,
per il quarantennale – anche se ci sono voluti quasi altrettanti anni per la
sua pubblicazione in italiano. Sembra semplice: è la scoperta dell’Italia nella
sua arte, nei quadri, le sculture, le architetture, il paesaggio, nell’età in cui si fanno le
scoperte, l’adolescenza: “Il libro ha per oggetto i sogni, le illusioni, che si
rischiano nelle ore di solitudine”, minimizza il poeta nella postfazione
scritta per questa edizione, di Marta Donzelli e Gabriella Caramore. Arricchita
da immagini – d’arte e sociali – quasi tutte sorprendenti. Ma è molto di più.
L’Italia evoca “il buio”, il rovescio dei sassi al sole della “strada bianca”,
per i tanti passati che si accumulano e non si cancellano, o si sublimano
nell’inconscio.: “Le paure più arcaiche, le intravisioni più fuggitive, e le
grida nel nero, anche a mezzogiorno: credo, ho torto, d’incontrarli ovunque
nell’immaginario italiano”. E per il numero, la geometrie che l’Italia
ricompone.
Un libro vero. Una rilettura affascinante dell’Italia,
tra Siena e Urbino. La “dimora a Urbino”, dove Bonnefoy di fatto non ha mai
dimorato. Ma riflettendo giustamente che il palazzo di Francesco di Giorgio
Martini è “l’emanazione dell’arte di Piero della Francesca”. Che, tra tutti gli
artisti, è ben
“il maestro dei numeri” e “essenzialmente
un architetto”, e questa è la ragione della sua ricerca di “armonia delle
forme”: “Il numero, che non è che un sogno, l’incessante sogno del platonismo
attraverso la storia, può tuttavia aiutare a disimpegnarsi dal sogno, pur senza
trascurare niente, in quell’esperienza nuova, e spesso lucida, delle
aspirazioni che avevano dato vita a quel grande miraggio. Ciò che gli consente
di essere ora uno specchio dell’esistenza qual è, non come la si vuole: un
mezzo per la verità”.
Un’antologia, tutto vi è citabile, degno di
nota. “La malinconia, questo desiderio infelice dell’inaccessibile, ama anch’essa,
benché a suo modo, il compasso e la regola”. L’architettura, “liberata grazie
alla «musica»
di cui parla Alberti dalle forme troppo affettate che l’arte gotica
prediligeva”, con l’edificio a pianta centrale (“il centro del mondo è qui dove
ci si trova”), è “il qui e oggi riconquistati, la
finitezza raggiunta, fatta evidenza col mezzo imprevisto del numero”. Una
scoperta che il poeta, dice, ha poi personalmente superato, “nelle sabbie
dell’Asia”, e che tuttavia si legge fertile, seminale.
Una lettura inebriante. “La prospettiva nel
suo progetto d’origine si occupa meno della padronanza astratta dello spazio
che di ristabilire un rapporto della persona col suo luogo naturale – e col suo
corpo – che il pensiero puramente verbale dei teologi medievali aveva
cancellato per troppo tempo. È un incitamento a uscire da quella notte, e un mezzo
per farlo”. Tanto più per essere l’ultima lettura appassionante, una delle
ultime, dell’Italia prima della sua eclissi. Cosa resta, volendo essere
ottimisti, e riemergerà? La lucidità, inconscia, generale, modo di essere (per
accumulo storico? per dna?). “La Notte”, che Michelangelo volle fredda, in
pietra serena, “fra i toni cadi del giorno che bagna l’edificio”, è “una
metafora della notte che resta al fondo di questo giorno, indisfatta, e forse
indisfattibile”.
Yves Bonnefoy, L’entroterra, Donzelli, pp. XXIII + 119 € 23
Il mondo com'è - 143
astolfo
Corruzione – È
ineliminabile dalla democrazia? Il voto di scambio, s’intende, la corruzione
elettorale. Bobbio propende per il sì: non lo dice apertamente ma in più di uno
scritto assimila la democrazia a “un grande e libero mercato in cui la merce
principale è il voto”. In questa forma lo dice presentando nel 1983 la
riedizione degli scritti di Gaetano Mosca, al punto in cui lo studioso delle élites critica il malcostume del voto di
scambio, della compravendita del voto. Ma non c’è esempio di democrazia esente
dalla corruzione. Cesare, spiega Luciano Canfora nella sua biografia,
s’indebitò tanto, per farsi eleggere, che in caso di sconfitta sarebbe andato
in bancarotta - Brecht ci ha scritto sopra un romanzo storico, “Gli affari del
signor Giulio Cesare”. Ma senza scandalo, era la prassi a Roma già al tempo
d’oro della repubblica. Sallustio, Tito Livio, Plutarco non si ricordano quando
il voto di scambio è cominciato.
All’opposto
si può mettere Grillo e il suo movimento: i loro sono voti liberi, liberissimi.
E tuttavia inconcludenti, improduttivi.
Nel
mezzo si può mettere la “questione morale”. Dei giornali e dei giudici che con
costanza, da almeno venti-venticinque anni, colpiscono il voto di scambio. Ma è
essa stessa troppo spesso una forma di corruttela, e in questo caso la più
grave, quando discrimina.
Negli
Usa il finanziamento delle campagne elettorali è detraibile dalle tasse. È
quindi doppiamente pubblico. Ma è una forma d’investimento in lobbying, col
crisma della legalità. Oppure, nelle altre democrazie, dove le spese sono
pubbliche, sono i controlli oggetto di mercimonio. Inclusi quelli giudiziari.
Destra-sinistra – Non c’è
ambivalenza nell’ambivalenza: è piuttosto un moto destrorso a camuffarsi a
sinistra. Non ci sono “comunisti” che si vogliono “fascisti”, mentre ci sono
fascisti che diventano colonne della sinistra. Di Pietro per esempio,
Travaglio, D’Avanzo. Dei partiti, dei giornali, e dei tanti, troppi, talkshow
della sinistra. Cui impongono tattiche e tematiche fasciste. Di cui
l’incitazione costante alla “guerra civile”, tipica degli sconfitti della
storia, è la più importante. Condita dalle vecchie soffiate delle questure,
oggi chiamate gossip o indiscrezioni, e gonfiate dalle intercettazioni libere
(le intercettazioni sono libere, i giudici ci mettono il cappello), per le
quali invariabilmente tutti “rubbeno” e tutti “se ‘mproseno”. Roba da
confidenti, o spie.
Si
dice che questa roba vende, ma non è vero: venti pagine di soffiate non le
regge più nessuno, e infatti vendite e ascolti non tirano.
Volendo
razionalizzare, si può dire una destra che camuffa – che viene utilizzata per
camuffare - i veri problemi, del mercato, del capitale, dello sfruttamento,
delle disparità, sotto falsi problemi.
Ma è odio puro: il tormentone di “Repubblica” sulla vita privata di Berlusconi,
copyright di D’Avanzo, peraltro il più onesto di questi transfughi, era solo
uno squallido incitamento all’odio.Le domande a Berlsuconi
Islam - La
moschea è luogo di preghiera ma anche piazza, foro: istruzione, formazione,
informazione, controllo sociale stretto.
È la religione più aperta al terrorismo, da sempre. Dal Vecchio della
Montagna e i suoi hashishin. Da qui
la patente d’intolleranza. Ma la radicalizzazione deriva dall’assenza di guida,
di una gerarchia sacerdotale.
Sembravano storie inventate dalla Cia per screditare gli arabi, ma “Al
Jazira” le ha documentate: le decapitazioni e tutto il resto. Nel video più
celebre il boia è un ragazzo di dodici anni, ma potrebbe averne meno, che con
un coltello più lungo del suo braccio sgozza il condannato.
Anche della celebre lotta fra cristiani e mussulmani, non ci sono
precedenti, non che si ricordino, di cristiani che abbiano martirizzato gli
islamici mentre pregavano nelle moschee, o abbiano rapito, sgozzato e buttato
ai porci mullah e ayatollah.
Isolato dall’Europa, nella sua chiusura su se stessa. C’erano contatti
e scambi con Parigi e Londra, per molti aspetti decisivi, e con Roma. Solo
l’Italia ancora coltiva qualche rapporto, per il resto il Nord Africa e il
medio Oriente rimane solo con se stesso, e con gli Usa. Che si tratti del
terrorismo in Algeria, della modernizzazione del Marocco o della penisola
arabica, della normalizzazione in Libia, della sicurezza di Israele, della
guerra civile in Libano, l’Europa non va oltre le rituali evocazioni di pace e
progresso. Il confronto del mondo arabo è con la vasta globalizzazione, che gli
Stati Uniti governano con logiche lontane, incontrollabili, e con la sovversione
latente a opera dell’Iran, dell’islam iraniano, che condiziona tutte le aree di
crisi aperte, in Palestina, Libano e Iraq.
Sulle donne bisogna intendersi. In regime elettorale, è il caso
dell’Iran come della Turchia, l’islam clericale - politicizzato e
tradizionalista - è numericamente l’esito del voto alle donne. La
modernizzazione è per le donne violenta, proponendosi come liberazione del
corpo. Il corpo è duro tiranno, poiché è correttivo: alto, magro, biondo,
atletico, levigato. È sovvertitore: ogni altra certezza scombina, familiare,
parentale, giuridica, tradizionale. Emargina e non include: un cinque per
cento, un dieci per cento delle donne, urbane, istruite, affluenti, se ne può
permettere la cura. Dove le donne votano, in Iran, in Turchia, in Pakistan,
nella stessa Israele tra gli arabi israeliani, votano conservatore.
In Iran la condizione della donna non è dirimente: le
donne sono state e sono, in massa e in dettaglio, il pilastro vincente del
regime. Trent’anni fa contro lo scià che le aveva laicizzate, una riforma
sentita come una violenza. Nelle penultime elezioni a sostegno della parte
retriva del regime. Sul ruolo in generale delle donne in politica mancano
analisi accurate: nel 1850, quando il governo di Massimo D’Azeglio laicizzò le
scuole e la vita civile a Torino con le leggi Siccardi, le donne furono tutte
contro, anche con violenza. Il regime onora in Iran la donna in famiglia e
nell’amore, e le protegge nei giudizi di divorzio con formule perfino
fantasiose: nei patti matrimoniali, ultimamente, ci sono donne che
hanno inserito come clausola per la rescissione il pagamento da parte del
marito di 8.100 libri di poesia, o di 124 mila rose rosse, patti che i giudici
hanno avallato – ottomila libri di poesia? La donna è
protetta anche nella prostituzione, col sigheh, il contratto a tempo.
Ci sono tante nazioni dentro l’islam. Nel senso proprio del
termine, di paesi che votano all’Onu, e in quello reale: c’è l’Iran, per
esempio, che non ha nulla a che vedere col resto dell’islam, arabo e asiatico.
Ci sono i montanari dell’Atlante – i berberi - e delle Zone di Frontiera con
l’Afghanistan, e ci sono le città, c’è il deserto e c’è l’Asia formicolante.
Questione morale - Luciano
Canfora la mette indirettamente (non volutamente?) in relazione, nella “Intervista sul potere” (p. 179), con
l’imbarbarimento della vita politica a Roma al tempo di Silla, a motivo delle
sue proscrizioni, 82 a.C.: “Mettere in lista persone da eliminare, promettendo
un premio in denaro a chi le avesse uccise o denunciate, per poi confiscarne i
beni a beneficio dei propri scherani, fu un atto gravissimo che portò a uno
scandaloso arricchimento; non di Silla, che poco se ne curava perché di suo
aveva già molto, ma di chi gli stava intorno. Da quel momento in avanti la
degenerazione diventa inarrestabile”.
La
questione morale italiana non è dissimile: la degenerazione si è moltiplicata
con Mani Pulite, come se ne fosse stata “liberata”. È generalizzata, basta
stare dalla parte giusta della giustizia e della politica, il che per un
corrotto non è un problema.
lunedì 29 luglio 2013
Dalla “coesistenza concertata” alla globalizzazione
La ripresa
dei contatti tra Usa e Cina nel 1971, dopo la guerra per procura in Corea a
partire dal 1950, avviata a Pechino in segreto da Kissinger, allora mero
consigliere di Nixon per la Sicurezza, è anche l’avvio della “coesistenza
concertata”. Della politica che domina da quasi mezzo secolo i rapporti tra le
due superpotenze, e ha stabilizzato il Pacifico, facendone l’area di maggiore
sviluppo al mondo e nella storia. Nixon e Mao la consacrarono nella stessa
Pechino l’anno successivo.
La
“coesistenza concertata” si basava, e si basa, sull’accantonamento di tutto ciò
che può creare frizioni, per dare libero corso invece alle opportunità di
scambio e libera evoluzione delle reciproche sfere d’influenza. È stata
ribadita nella visita l’altro mese del presidente cinese Xi negli Usa. Ha dato
benefici enormi sia all’una che all’altra parte. Ha consentito una rapidissima
integrazione della Cina nelle istituzioni economiche internazionali, Wto, Fmi,
Banca Mondiale – mentre la Russia, l’altra superpotenza ex comunista, ha
trovato, e trova ancora, resistenze.
L’arte diplomatica
L’arte
diplomatica è in disuso e anzi in disgrazia. Ma non si saprebbe non apprezzarne
la qualità. Anche nel tono minore che Kissinger usa per rivendicarla. Da
storico, che sempre si rifà a esperienze precedenti. In passato basò il
multilaterialismo sulla politica del concerto, o dell’equilibrio, del Congresso
di Vienna. Sembrava una snobberia e invece il professore era serio. Non senza
ragione. La “coesistenza concertata”, spiega qui, è quella che resse
l’equilibrio europeo tra le superpotenze d’allora: l’Inghilterra vittoriana
imperiale e la Germania di Bismarck che cresceva a passi da gigante. Fino al
1914. Ad agosto i due paesi erano in guerra, a luglio ancora negoziavano un prestito inglese alla Deutsche
Bank per finanziare la ferrovia Berlino-Baghdad, progettata per cortocircuitare
il dominio britannico del mare, almeno in Medio Oriente.
Kissinger
ci arriva dopo una lezione non inopportuna sulla storia dell’India, che sembra
“non avere avuto inizio” e sia senza sviluppo. Ciò non è vero naturalmente. Ma
il professore intende che con la Cina ci vuole pazienza, e cautela. E batterie
pronte. Oggi meglio, a suo avviso, di tipo commerciale. S’innestano qui i due
progetti obamiani, per un’area di libero scambio atlantica, Tafta o Ttip, e una
transpacifica, Tpp, senza la Cina. Kissinger, il realpolitiker per eccellenza, si assottiglia, ma sa di che parla.
Nei suoi contatti informale a Pechino nel 1971, e poi nell’incontro “storico”
di Nixon con Mao, che pose le basi della “globalizzazione”, nientedimeno, la
“coesistenza concertata” fu concordata in termini semplici: mettere da parte
gli attriti e le questioni che ne erano alla base e sviluppare i punti di
convergenza, anche per consentire agli attriti di dissolversi, spiegarsi,
rientrare. Dandosi anche però reciprocamente degli strumenti per “valutare le
vere intenzioni” dell’una e dell’altra parte in caso di crisi. Non una politica
ipocrita, ma una maniera efficace per inquadrare e depotenziare i contrasti,
inevitabili in ogni relazione e più tra superpotenze.
Dopo Machiavelli Kissinger
Per questo
Kissinger è detto un realpolitiker,
ma il suo approccio è intellettuale. Dopo Machiavelli, l’altro grande
cancelliere intellettuale nella politica delle potenze. Il suo approccio è
sempre concettuale. Kissinger non parte dal conto delle testate multiple
americane, o dal potenziale Usa di distruzione.
Il
professore sa, prosaicamente, che in quindici casi studiati di confronto tra
una potenza emergente e una potenza dominante, undici volte la cosa è finita in
conflitto. Ma Kissinger non si vergogna di essere (buon) diplomatico, oggi del
tutto controcorrente: c’è una certa nobiltà nel cercare di evitare la guerra,
sia pure contro le ragioni nobili della giustizia e dell’onore – senza
naturalmente rinnegarle, né sminuirle.
Henry
Kissinger, Cina, Oscar, pp. 514 € 13
Secondi pensieri - 147
zeulig
Dio
– È generazionale, pure lui. Immutabile solo nel fatto minimo dell’esistenza, ma
soggetto al declinare del tempo.
Nella Bibbia è uomo d’ordine – se fosse
femmina lo sarebbe? È vero che è anche capriccioso, ma soprattutto non ammett
che gli si disobbedisca. Cosa che invece avviene a ogni riga dei Vangeli. E
dunque come si pongono i Vangeli nei confronti di Dio? Qui tutto è libertà,
curiosità, anche dubbio. È Gesù un figlio ribelle? È Dio padre che si acconcia
alle nuove generazioni?
È più assurdo concepire un essere che
non sia finito e conosciuto, o non è più assurdo il contrario,
l’essere finito?
Anatole France lo fa dire “bugiardo”
dagli angeli ribelli. E un po’ ignorante: se ha creato il mondo, non ne conosce
le leggi.
Giustizia
–
Sant’Agostino non ne parla, è stato notato, pur avendo scritto tanto di tutto,
essendo di formazione giurisperito, avendo esercitato la giurisdizione da
vescovo. Aveva paura anche lui dei giudici? Non considerava granché la
giustizia: ne scrisse molto, e compassionevole, in termini oltremondani, del
giudizio finale, dei morti senza battesimo, degli angeli ribelli.
Internet
-
È la licenza. La rifrazione di Internet è massima nella pubblicità, dove
l’illimitatezza è la norma – così come nell’arte, che nella contemporaneità fa
illimitato il suo segno.
Penetra anche nelle cronache, la
letteratura, la critica, che sono invece organizzate e misurate – hanno canoni.
Si dice che le libera, ma più che altro le alleggerisce. Le svuota cioè: la
leggerezza che, dopo Italo Calvino, s’intende bene supremo, non lo è (Calvino
non è certamente leggero, come s’intende che voglia essere).
Un
distinto fideismo, entusiasta, apocalittico, santifica il mezzo ma non per le
sue qualità peculiari. È tutta qui la fortuna delle chat e dei forum, piazze
altrimenti artificiose e fredde. I movimenti politici che si fanno ascendere a
questa chiave elettronica sono artificiosi e freddi, sotto l’entusiasmo di
marca. I Girotondi si sono dissolti in pochi giorni. I 5 Stelle durano di più
per l’invadenza di Grillo, il vecchio mattatore degli anni mussoliniani -
comiziante esperto, nuotatore, mietitore, maestro di scuola. La politica è
ruvida e robusta e non fa per Internet.
Il
successo di Obama non sposta. È vero che attraverso Internet ha mobilitato i
giovani. Che hanno vinto per lui gli interminabilili caucuses, dove le primarie erano del tipo caucus, che Hillary ha
evitato, più decisi e con più tempo a disposizione degli adulti. Ma è la crisi
economica che ha fatto vincere Obama. Alla rielezione, senza più l’urgenza
della crisi, il suo caucus giovanile internettiano si è spento.
Realismo
–
Grosse bite, direbbe Sade. In un
mondo in cui la fisica scompare – per la stessa scienza fisica. A favore del
virtuale e il dichiaratamente irreale. Antonio Tabucchi, uno scrittore, è vero,
e non un filosofo, ne scriveva il 16 giugno 1986 su “Repubblica”, quasi trent’anni
fa: “In un mondo in cui l’oggetto perde sempre più di significato a favore
della parola che indica quell’oggetto, in un mondo in cui la parola (il
concetto, il virtuale) sta diventando più reale di ciò a cui quella parola si
riferisce; in un mondo che si sta spogliando di fisicità, perché essa appartiene
solo alle classi più infime e concentra il suo potere sul fatto di
decorporeizzarsi per diventare una gigantesca e mostruosa rete di parole e di
informazioni”. Il realismo si rivuole quindi sotto i ponti, coi rom? O non
vuole appropriarsi di questi nuovi mondi?
Speranza – Ne parla – ne
parlava - solo papa Ratzinger. Dal pulpito, per riaffermarla, per la sua
funzione di papa. Anche perché è pur sempre una virtù teologale. Ma è scomparsa
dal gergo dopo “Il principio speranza” di Bloch, sessant’anni fa. Diluviano i
suoi surrogati, dall’accanimento terapeutico alla metempsicosi e al miracolo,
l’istituto moscovita delle resurrezioni è risuscitato con le clonazioni e i
trapianti. Ma nella rassegnazione (“bisogna pur vivere”).
Storia
–
Quella di Canfora, “Intervista sul potere”, 191, è strabica: “Il mestiere di
storico impone di essere «strabici», di pensare contemporaneamente con la
nostra testa e con quella degli uomini vissuti nel passato”. L’immagine di
Benjamin, dell’angelo con la testa rivolta al passato, è migliore.
Ma perché la storia sarebbe un angelo?
Quella dei fatti e quella raccontata, la storiografia. Normalmente è un avvoltoio. Diciamo, un’aquila. Un falchetto.
Un rapace.
Milano si è stancata dei napoletani
Abbattuto Berlusconi, Milano licenzia i napoletani? Veraci (da Borrelli a Minale, Boccassini, Greco, De Magistris) e regnicoli (De Pasquale, Di Pietro, Bruti Liberati). La condanna è senza dibattimento e senza appello oggi sul “Corriere della sera”:
Antonio Polito è un giornalista che sa pensare. Ma la sua critica al farfallone De Magistris è eccezionalmente uscita dalla pagine dei commenti per aprire il giornale di Milano, come fondo. De Magistris è anche uno che non s’è mai capito perché fosse diventato una bandiera, ma il “Corriere della sera” non l’ha censurato al tempo delle sue assurde inchieste di Catanzaro, e anzi ne ha utilizzato le indiscrezioni e ha montato il personaggio. Più ancora pesa il nocciolo della critica di Polito: “Le inchieste contro De Magistris gareggiano per inconsistenza e superficialità con quelli che lui allestiva da pm”.
Il prossimo passo sarà dire la stessa cosa – prenderne atto - delle inchieste “napoletane” a Milano? E delle non inchieste, delle omissioni.
Antonio Polito è un giornalista che sa pensare. Ma la sua critica al farfallone De Magistris è eccezionalmente uscita dalla pagine dei commenti per aprire il giornale di Milano, come fondo. De Magistris è anche uno che non s’è mai capito perché fosse diventato una bandiera, ma il “Corriere della sera” non l’ha censurato al tempo delle sue assurde inchieste di Catanzaro, e anzi ne ha utilizzato le indiscrezioni e ha montato il personaggio. Più ancora pesa il nocciolo della critica di Polito: “Le inchieste contro De Magistris gareggiano per inconsistenza e superficialità con quelli che lui allestiva da pm”.
Il prossimo passo sarà dire la stessa cosa – prenderne atto - delle inchieste “napoletane” a Milano? E delle non inchieste, delle omissioni.
domenica 28 luglio 2013
Fisco, appalti, abusi – 33
Si ordini un libro o un disco su Amazon.com – costano da metà a un terzo del prezzo italiano. Le Dogane faranno di tutto per intercettare la spedizione presso Poste Italiane. Sulla quale ricaricheranno l’Iva, cosa illegale. E ricaricheranno le spese di spedizione dal luogo (fittizio: Mondovì) di controllo del plico. Seconda illegalità. Speculando sul fatto che un ricorso non si farà perché costa.
L’acqua e una potenza elettrica minima sono consumi non interrompibili nelle esecuzioni fallimentari e nelle pratiche comunali di assistenza ai poveri. L’Azienda Idrica Toscana e le società idriche comunali della regione tagliano l’acqua alla prima bolletta non pagata.
Una truffa assicurativa ben più ampia e diffusa dello “specchietto rotto” che ingombra le cronache è quella del finto tamponamento. A opera normalmente da chi usa l’usato garantito tedesco o il leasing. Per ogni macchina in uso si cerca un macchina “tamponatrice” di un’assicurazione ogni volta diversa. E si inviano, a opera di finti studi legali, richieste risarcitorie secondo modelli standard. Uno diffuso fa stato anche della condizione sociale elevata del richiedente, configurando una sorta di danno sociale. E si richiede, per la foto di un graffio, non moltissimo, per non allarmare l’assicurazione controparte, ma non poco: sui mille euro.
Il trucco è noto e diffuso tra i periti delle assicurazioni, che compartecipano agli utili. Le assicurazioni proteggono la frode: l’ignaro tamponatore verrà a conoscenza della pratica a “danno” liquidato. Senza gli estremi del tamponato, e nemmeno dell’incidente che avrebbe provocato. Con conseguente declassamento della propria classe di merito, e aumento del premio.
Le città toscane, Pietrasanta, Forte dei marmi, Pisa, Pistoia, segnalano le aree a circolazione limitata con cartelli scentrati, non luminosi, anonimi, scritti a caratteri minuscoli. Che pongono al limite delle stesse aree, non prima. Per multare i forestieri.
Non si fa l’autostrada tirrenica per proteggere la Maremma. Ma i comuni della Maremma hanno fra i più alti indici edificatori: San Vincenzo, Campiglia, Follonica, Castiglione della Pescaia, Albinia, e un paio di lottizzazioni “California”.
Non si fa l’autostrada per fare dell’Aurelia una macchina da soldi, con variazioni di velocità ogni trecento metri di media - ce ne sono 700 circa nei 205 km da Civitavecchia a Rosignano – 380 nei 95 km. tra Civitavecchia e Grosseto, con una densità doppia nel segmento toscano della tratta.
L’acqua e una potenza elettrica minima sono consumi non interrompibili nelle esecuzioni fallimentari e nelle pratiche comunali di assistenza ai poveri. L’Azienda Idrica Toscana e le società idriche comunali della regione tagliano l’acqua alla prima bolletta non pagata.
Una truffa assicurativa ben più ampia e diffusa dello “specchietto rotto” che ingombra le cronache è quella del finto tamponamento. A opera normalmente da chi usa l’usato garantito tedesco o il leasing. Per ogni macchina in uso si cerca un macchina “tamponatrice” di un’assicurazione ogni volta diversa. E si inviano, a opera di finti studi legali, richieste risarcitorie secondo modelli standard. Uno diffuso fa stato anche della condizione sociale elevata del richiedente, configurando una sorta di danno sociale. E si richiede, per la foto di un graffio, non moltissimo, per non allarmare l’assicurazione controparte, ma non poco: sui mille euro.
Il trucco è noto e diffuso tra i periti delle assicurazioni, che compartecipano agli utili. Le assicurazioni proteggono la frode: l’ignaro tamponatore verrà a conoscenza della pratica a “danno” liquidato. Senza gli estremi del tamponato, e nemmeno dell’incidente che avrebbe provocato. Con conseguente declassamento della propria classe di merito, e aumento del premio.
Le città toscane, Pietrasanta, Forte dei marmi, Pisa, Pistoia, segnalano le aree a circolazione limitata con cartelli scentrati, non luminosi, anonimi, scritti a caratteri minuscoli. Che pongono al limite delle stesse aree, non prima. Per multare i forestieri.
Non si fa l’autostrada tirrenica per proteggere la Maremma. Ma i comuni della Maremma hanno fra i più alti indici edificatori: San Vincenzo, Campiglia, Follonica, Castiglione della Pescaia, Albinia, e un paio di lottizzazioni “California”.
Non si fa l’autostrada per fare dell’Aurelia una macchina da soldi, con variazioni di velocità ogni trecento metri di media - ce ne sono 700 circa nei 205 km da Civitavecchia a Rosignano – 380 nei 95 km. tra Civitavecchia e Grosseto, con una densità doppia nel segmento toscano della tratta.
Protezione Ue al fotovoltaico tedesco
La Germania critica l’accordo tra l’Unione Europea e la Cina per un prezzo minimo all’importazione di pannelli solari: è un accordo protezionistico. Le industrie tedesche di pannelli solari hanno imposto il blocco delle importazioni che ha preceduto l’accordo, e ritengono l’accordo stesso insufficiente: il prezzo minimo che i cinesi si sono impegnati a praticare non le “garantisce”.
Non è schizofrenia, è il modo di procedere della Germania di Angela Merkel, del “qui lo dico qui lo nego”. Che fa legge a Bruxelles. Dove si fa peraltro solo ciò che interessa alla Germania – inutile pretendere la protezione del parmigiano, per esempio, che pure è un prodotto specifico e localizzato. L’accordo per i pannelli solari cinesi l’hanno pagato i produttori francesi di vini: per reazione al blocco dei suoi pannelli solari la Cina ha bloccato l’import di vini europei.
Non è schizofrenia, è il modo di procedere della Germania di Angela Merkel, del “qui lo dico qui lo nego”. Che fa legge a Bruxelles. Dove si fa peraltro solo ciò che interessa alla Germania – inutile pretendere la protezione del parmigiano, per esempio, che pure è un prodotto specifico e localizzato. L’accordo per i pannelli solari cinesi l’hanno pagato i produttori francesi di vini: per reazione al blocco dei suoi pannelli solari la Cina ha bloccato l’import di vini europei.
L'invasione di campo, sport napoletano
Era uno spettacolo comico, quello che Alessandro Siani aveva messo su agli scavi di Pompei. Con una finalità benefica, devolvere il ricavato dei biglietti al pagamento degli arretrati non pagati ai dipendenti degli scavi stessi. Ma facendo ridere. Invece niente ricavato, e molte liti: i napoletani imbucati erano tanti che i paganti non vedevano e non sentivano nulla. Con finale malinconico: spettacolo sospeso, biglietti rimborsati ai paganti, ventimila euro personali di Siani ai dipendenti, in conto contributo per gli arretrati.
Siani è napoletano. Ma chi è Napoli? Non lui certamente, la città è i suoi imbucati. Contro di essi Siani non può nulla, giusto pagare di tasca propria, né c’è altro argine, di polizia o di folla. Imbucati in massa, non isolati, della stessa razza dei disoccupati organizzati in piazza Municipio ogni giorno ormai dagli anni del sindaco Valenzi, quasi quaranta. Delle folle che impediscono che Napoli tratti i suoi rifiuti, la regione Campania deve farsi carico di pagargliene lo smaltimento a caro prezzo in Germania. Piccola borghesia famelica, degli impieghi, della “repubblica”, del sottogoverno. Che si fa forte – questo è il nodo che Napoli non sa sciogliere – delle masse effettivamente bisognose, le quali invece faticano, non rubano, nemmeno i posti a teatro, e seppure poveramente sopravvivono con decoro. Il problema di Napoli è che la città è dominata da questi gruppi parassitari: non sa, o non vuole, liberarsene.
I commenti a Siani sembrano scandalizzati. Ma gli imbucati sono la norma a Napoli. A ogni concerto di cantante famoso. A ogni partita di cartello del Napoli. Memorabile, ma senza scandalo, la partita Italia-Argentina del Mondiale 1990: la tribuna stampa era già occupata quando fu aperta ai giornalisti. Da donne perlopiù, due e tre per ogni postazione, voluminose anche, schiamazzanti, accreditatesi di qualche stazione radio di paese o di tinello. Uno spettacolo lugubre, prima ancora che cominciassero a starnazzare gli argentini in campo. Tanto più che la “stampa” napoletana tifava in cuor suo per Maradona contro l’Italia.
Perché la prevaricazione paga a Napoli? In qualsiasi ambiente, nazione, società c’è il crimine, più o meno organizzato, e c’è la prepotenza. Ma solo a Napoli questi fenomeni non vengono isolati, non sono anomalie. La prepotenza vi è diventata anzi - vi è sempre stata? - regolare, scontata.
Siani è napoletano. Ma chi è Napoli? Non lui certamente, la città è i suoi imbucati. Contro di essi Siani non può nulla, giusto pagare di tasca propria, né c’è altro argine, di polizia o di folla. Imbucati in massa, non isolati, della stessa razza dei disoccupati organizzati in piazza Municipio ogni giorno ormai dagli anni del sindaco Valenzi, quasi quaranta. Delle folle che impediscono che Napoli tratti i suoi rifiuti, la regione Campania deve farsi carico di pagargliene lo smaltimento a caro prezzo in Germania. Piccola borghesia famelica, degli impieghi, della “repubblica”, del sottogoverno. Che si fa forte – questo è il nodo che Napoli non sa sciogliere – delle masse effettivamente bisognose, le quali invece faticano, non rubano, nemmeno i posti a teatro, e seppure poveramente sopravvivono con decoro. Il problema di Napoli è che la città è dominata da questi gruppi parassitari: non sa, o non vuole, liberarsene.
I commenti a Siani sembrano scandalizzati. Ma gli imbucati sono la norma a Napoli. A ogni concerto di cantante famoso. A ogni partita di cartello del Napoli. Memorabile, ma senza scandalo, la partita Italia-Argentina del Mondiale 1990: la tribuna stampa era già occupata quando fu aperta ai giornalisti. Da donne perlopiù, due e tre per ogni postazione, voluminose anche, schiamazzanti, accreditatesi di qualche stazione radio di paese o di tinello. Uno spettacolo lugubre, prima ancora che cominciassero a starnazzare gli argentini in campo. Tanto più che la “stampa” napoletana tifava in cuor suo per Maradona contro l’Italia.
Perché la prevaricazione paga a Napoli? In qualsiasi ambiente, nazione, società c’è il crimine, più o meno organizzato, e c’è la prepotenza. Ma solo a Napoli questi fenomeni non vengono isolati, non sono anomalie. La prepotenza vi è diventata anzi - vi è sempre stata? - regolare, scontata.
Giallo fiacco d’agosto
Manzini (“Rocco Schiavone”) ci prova. Gli altri, Camilleri, Malvaldi, Costa, Recami, si passano il tempo, anche loro. Alicia Giménez-Bartlett fa naturalmente sul serio. La “scuola Sellerio”, che il libro celebra, batte la fiacca.
Ferragosto in giallo, Sellerio, pp. 277 € 14
Ferragosto in giallo, Sellerio, pp. 277 € 14
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