sabato 24 agosto 2013

Il pentito censurabile

Il pentito di ‘ndrangheta Nino Lo Giudice, “evaso” dalla protezione, manda memoriali agli avvocati contro i giudici e i poliziotti che lo hanno gestito: i Procuratori Pignatone, Prestipino, Beatrice Ronchi, Donadio, e l’ex capo della Mobile a Reggio Calabria, ora a Roma, Cortese. Dirà bugie, come succede ai pentiti. Ma come poteva un pentito in carcere da anni diventare testimone d’accusa di fatti recenti?
Lo Giudice dice anche cose riscontrabili, nonché notorie. Per esempio che i pentiti a Rebibbia si potevano “concertare”.
Donadio, che chiama “l’enigmista occulto”, vice di Grasso alla Dna, secondo lo Giudice voleva fargli dire “qualcosa” di Berlusconi e Dell’Utri. Anche questa sarà una bugia, non comprovabile. Ma perché, fra tutti i Procuratori della Repubblica che facevano la coda per farlo parlare, attribuire proprio a Donadio l’interessamento contro Berlusconi?
La ‘ndrangheta è molto in voga nei giornali, che però dei memoriali di Lo Giudice non scrivono nulla. Neppure per dire che sono falsi. Sono pure corredati di audio e video, nei siti online farebbero sfracelli. Ci sono alcune cose per cui i pentiti fanno cronaca e sono pure credibili, per altre invece no.

Ci fu anche un Risorgimento onesto

Esumato per il centocinquantenario, un po’ in ritardo, Antonio Garcèa uno dei tanti patrioti che pagarono col carcere il patriottismo e il liberalismo, e con l’isolamento l’unità che avrebbe dovuto coronarne gli ideali. Nativo di San Nicola da Crissa, sopra Vibo Valentia, attivo nel 1848 – aveva già 28 anni - nel distretto di Gerace, tra Roccella Jonica e Reggio Calabria, si scontrò con la dura repressione del generale Nunziante, che fece oltre cento morti, cinquecento feriti e molti prigionieri. Garcèa era tra questi. Fu rinchiuso a Procida, dove incontrò Carlo Poerio.
Per disinnescare la rivolta, il governo borbonico pensò di deportare i prigionieri politici in Argentina, tra essi Garcèa e Poerio, imbarcandoli su una nave americana. Nel viaggio i patrioti convinsero il capitano a dirigersi verso l’Irlanda. Dove verranno liberati, e origineranno con la loro testimonianza il famoso pamphlet di Gladstone, che disse il Regno la “negazione di Dio”.
Nell’agosto 1959 Garcèa si arruola nell’esercito piemontese. L’anno dopo è tra i Mille. Fatta l’unità si trasferisce a Parma, senza onori né prebende. È il marito felice di Giovanna Bertòla, di vent’anni più giovane, maestra piemontese che l’ha sposato a diciott’anni. Giovanna è la fondatrice e direttrice de “La voce delle donne”, giornale protofemminsita, per il diritto delle donne al voto e all’istruzione. Atonio morirà presto, a 58 anni, nel 1878.
L’antropologo Teti, che aveva anticipato la riscoperta di Garcèa, suo compaesano, alcuni anni fa nel supplemento culturale del “Quotidiano di Calabria”, ha intessuto attorno alla ricostruzione storica del personaggio una serie di osservazioni sulla formazione dell’unità. In particolare sul brigantaggio. Su cui forse l’antropologia ha già detto troppo. Mentre la storia ha poco da dire, se non che fu affrontato male. Con pregiudizio, lo stesso che concludeva l’epopea risorgimentale e ha retto l’Italia unita – ancora dopo centocinquant’anni: la frase famosa “l’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani” è al contrario che funziona, “gli italiani ci sono, resta da fare l’Italia”..
Il volume collettaneo, curato dalle autorità di San Nicola da Crissa, è una raccolta di atti, lettere, documenti, edita localmente nel 2011. Garcèa non si segnala per gesta eclatanti. Ma è – e potrebbe rappresentare – quel Risorgimento dell’onestà politica e intellettuale che la lasciato il posto nelle storie ai carrieristi, capicorrente, maneggioni, un po’ briganti, che hanno occupato le storie. E confitto il Risorgimento stesso.
Vito Teti, l patriota e la maestra, Quodlibet, pp. 366 ill. € 28
Bruno Congiusti, Michele Roccisano, Domenico Tallarico, Antonio Garcea 1820 – 1878, Eroe calabrese del Risorgimento italiano s.i.p.

venerdì 23 agosto 2013

Problemi di base - 150

spock

Grillo vuole sempre tutti dimessi: di fronte a lui?

Giudice da giuda? (questa dev’essere stata detta)

Stalin non pretendeva di avere pure ragione, perché gli Esposito sì?

C’entra la napoletanità?

Si beve per dimenticare, o non piuttosto per ricordare?

Si ricorda o si è ricordati? C’è differenza tra l’attivo e il passivo?

Dove conduce l’eterno ritorno?

spock@antiit.eu

La Grecia si arrende, a se stessa

È il giallo della resa. Della resa dei conti, con gli oppositori dei colonnelli. Tutti corrotti e corruttori. Dopo i banchieri, e la politica corrotta, sotto i colpi del Giustiziere qui cade la “generazione del Politecnico”, gli ex studenti che nel 1973 occuparono il Politecnico di Atene, avviando la caduta dei colonnelli, “la generazione del narcisismo assoluto”.  Paradossale esito della crisi: si penserebbe la Grecia in armi contro la Germania, oppure l’Ue, o la troika, e invece no. La Grecia nata dalla resistenza ai colonnelli è impegnata a dilaniarsi.
Succederebbe anche molto di più, tutto nel primo capitolo, a Capodanno del 2014. La Grecia lascia l’euro, con l’Italia e la Spagna. E sospende lo stipendio agli statali. Che devono continuare a lavorare, specie i poliziotti: ci sono moti di piazza, si complotta un ritorno dei colonnelli, con pogrom contro i più deboli, gli immigrati, e si uccidono personaggi importanti. Ma Charitos, lo sbirro latinista, e il suo capo Markaris hanno perso lo smalto. Rispetto ai due precedenti romanzi della crisi, “Prestiti scaduti” (2011) e L’esattore” (2012), incidenti di un percorso ancora fiducioso, l’autore fa ora sbrigativo il suo personaggio, incerto. Deluso dalla resistenza, certo, ma nient’altro. Forseanche da se stesso: nel risvolto non si propone nemmeno più a mediatore culturale tra Nord e Sud, essendo versato in tedesco come in greco. Non ci evita un tedesco buono, ma solo a stiracchiare i dialoghi.
Si può ridere della crisi, ma fino a un certo punto? L’uscita dall’euro è solo una scenetta: l’integrazione europea, questo tipo di integrazione, è come l’inferno, è impossibile uscirne. Anche in giallo.
Petros Markaris, Resa dei conti, Bompiani, pp. 300 € 18

giovedì 22 agosto 2013

Secondi pensieri - 148

zeulig

Destino – Per come è - si configura – è un’inversione insensata di senso. Significa una meta, un porto sicuro, è stato invertito nell’incertezza e anzi nell’arbitrio. Nelle lingue neo latine ma anche in tedesco: Geschick, Schicksal. Anche in inglese. 
È vero però che ci sono delle passioni (errori) obbligate: l’amore è la principale (andarne esenti è una patologia). Non si può dire l’amore una condanna, e dunque il destino d’amore che attende l’uomo è propriamente un destino, una metà certa. Mentre è altrettanto vero che si va a volte per strade segnate che non sono rassicuranti: nel destino ci si smarrisce, mentre eventi improvvisi rassicurano.

Femminismo - C’è da distinguere il diritto dalla separatezza? L’islam è fortemente deficitario sui diritti, le sue donne lo sanno, gli uomini e i regimi ne restringono anzi ulteriormente gli spazi, dai talebani alla civile borghesia turca, in cui la donna può essere sommersa, oltre che dal velo nero, con un taglio millimetrico agli occhi, dai maschi della famiglia, marito, padre, suocero, fratelli, cognati. Ma la separatezza è ancora ricercata e preferita dalle stesse donne, è la forza di questa sudditanza.
Non solo nell’islam: la separatezza è il modo d’essere e l’ambizione dell’altra metà del cielo in tutte le aree, escluse l’Africa nera, l’Europa e l’America del Nord. Comprese le tradizioni matriarcali riconosciute, dei nair delle isole Comore e dell’India meridionale. Lo scià di Persia fallì la modernizzazione quando impose alle donne la promiscuità in società, fino alla stretta di mano. In Giappone maschile e femminile sono due universi paralleli, con due linguaggi diversi. Un’impressione analoga – da verificare, ma visibile – dà il mondo femminile in Cina, nelle tre Cine, comprese Hong-Kong e Singapore.

Fondamentalismo - Riportando la religione alla distruzione, ripropone l’inaccettabilità del messianismo, della rivelazione esclusiva – non del monoteismo in sé, ma di quello che si vuole esclusivo perché “opera” di un profeta. Finisce per escludere dal sentimento religioso, che è riconoscimento e riconoscenza di e a Dio, proprio i monoteismi più rigidi. 

Islam - Antimodernista e antiborghese? C’è una ragione precisa per cui nessun regime politico rappresentativo, con elezioni pubbliche, ha attecchito nei paesi islamici. Neppure in quelli più a lungo o più strettamente legati all’Europa e all’America. Non in Libano, né in Giordania, Egitto, Tunisia, Algeria, lo stesso Marocco, per più aspetti la stessa Turchia. Per non dire della penisola arabica e dell’Arco della Crisi. Il Marocco, con la politica dei passi minimi, che solo il sovrano in definitiva protegge, ne è la conferma: le società islamiche, che il colonialismo aveva forzato nel senso della polverizzazione della società, in qualche modo forzandole alla rappresentanza politica, si sono rapidamente neo tribalizzate dopo l’indipendenza.

Quinet direbbe la democrazia incompatibile con l’islam proprio per il fattore religioso. Quella religione non prevedendo la salvezza individuale, né per i segni della grazia né per le opere, è ad essa estraneo il fondamento della democrazia, l’uguaglianza tra i soggetti.

Politica – È politica ogni passione, ogni moto dell’animo. È una visione compressa della vita, il destino dell’uomo, che irrora l’avvenire, il desiderio, il coraggio, il rifiuto della morte. È la fine del futuro nel suo inizio, il futuro richiede prudenza, ma così è: il moto dell’animo è convulso e frantumato, non una freccia che vada dritta, per quanto lenta, a un obiettivo.

Realismo – È curioso che la questione sia sempre nei “Limiti del realismo”, che il filosofo Michele Marsonet indagò a suo tempo, pubblicandone gli esiti nel 2000. Che però Ferrraris non cita. Né i nemici di Ferraris. È un dibattito tra colonne di giornali? Non sarebbe male, una filosofia diportistica, potrebbe competere con Berlusconi, se non con Balotelli che è tutti noi.
Lo stesso Marsonet ne richiamava i punti nodali un anno fa su “Rosebud” (www.rinabrundu.com) con una sintesi cristallina in inglese, “Realism and its limits”.

Televisione – Si dice il mondo in casa, in realtà è l’immagine, un serie dì immagini,  numerosissime immagini a ogni ora del giorno disponibili a occupare lo spazio domestico, privato, personale. Del riposo, della riflessione, della non socialità. In compagnia non funziona, anche vedere le partite assieme - non è come allo stadio, è una disponibilità che è anche un’intrusione, che tutti risentono per tale, i padroni di casa come gli ospiti.
Una sorta di teatro componibile. Entro i limiti della disponibilità (offerta). Grazie al telecomando, alla videoregistrazione, all’interazione, alla programmazione personale. Alle origini della tv era comune l’aneddoto della nonna o della domestica che guardava anche il monoscopio, il segnale di fine o sospensione delle trasmissioni. Accompagnato in genere da un  sottofondo musicale, ma anch’esso ripetitivo. Immagine muta, non-immagine, e tuttavia “parlante”, la rappresentazione dello strumento immaginifico e una promessa. Nella tv è vero che il mezzo è il messaggio: la disponibilità più che le sue rappresentazioni.

Tolleranza – È un paradosso? Locke, il fondatore, aveva forti preclusioni: dalla tolleranza  escludeva la chiesa cattolica perché intollerante, e gli atei
La propone Simmaco,  “La maschera della tolleranza”, prefetto  imperiale: “Contempliamo le stesse stelle, abbiamo lo stesso cielo in comune, siamo parte di uno stesso universo, che importa con quale ideologia ognuno cerca il vero?” E: “Non si può giungere per una sola via a un mistero così grande”. La esclude Ambrogio, innovatore e santo. Massimo Cacciari fa un tour de force per spiegare che Ambrogio deve disinnescare una trappola che Simmaco gli aveva armato presso l’imperatore, ma poi la verità di Ambrogio è che c’è una sola religione.

Vangelo – La sua forza è che le cose implausibili riescono semplici, perfino ovvie.
A “situarlo”, toglie il respiro: un non violento che vince il mondo, benché figlio di Dio, con i miracoli, la morte innecessaria, l’impoliticità radicale, e il rifiuto della donna, mamma compresa, per una congrega d’uomini plebei, più stupidi che ignoranti, immaturi benché in età.

zeulig@antiit.eu

Giallo con sesso per il Nobel

“Benjamin Black”, tornato John Banville come nei romanzi seri (in attesa del Nobel, il primo a un giallista, il quinto a un irlandese, vent’anni dopo Seamus Heaney, dopo gli irlandesi di nascita Yeats, Shew e Beckett?), fa il giallo facile, con un plot esile. Lo farcisce di variati ingredienti, rimescolando di tanto in tanto, per un finale cui siamo già catartizzati. Privilegiata è la psicologia più che le azioni dei personaggi, che inspessisce molto il racconto - ma si può leggere saltando, senza perdere nulla. Sorprese poche. La prima qui arriva a p. 150, non risolutiva.
Qui è questione di sesso, che, benché all’inglese, è inconsueta, non solo per un giallo.
John Banville, Un favore personale, Guanda, pp.329 € 10 

mercoledì 21 agosto 2013

La Germania e il suo Dio

La cronaca più minuta e sensata, ricostituita con fine acribia da Carlo Bastasin, giornalista e ora ricercatore alla Brookings Institution di New York, dell’“Europa tedesca”. Della crisi che la Germania di Angela Merkel ha imposto a mezza Europa, con beneficio non secondario per la Germania stessa. C’era una sola cosa da fare, e la Germania stessa era d’accordo, ma la Bundesbank e Angela Merkel non hanno voluto.
Axel Weber, presidente della Bundesbank da sette anni, da quando ne aveva 47, padrone di 14 ville, due più di Berlusconi, la notte del flash crash di Wall Street il 6 maggio 2010, il falso crollo di Borsa del 10 per cento provocato da un errore negli automatismi informatici, partecipava a Lisbona alla cena sociale del consiglio Banca centrale europea, tenuto eccezionalmente nella capitale portoghese. La cena si trasformò in una riunione di lavoro, tra banchieri nel panico per un’altra crisi dopo quella dei mutui senza garanzia. Finché Weber non si alzò e propose: “Per tenere l’euro al riparo dalla nuova tempesta, la Bce compri i titoli di Stato greci”. Sembrava fatta e il consiglio andò a dormire. Ma la mattina la crisi fu scatenata, non più temuta. Weber, confrontato con asprezza dal rappresentante tedesco nella giunta Bce, Jürgen Stark, scendendo dall’aereo a Francoforte comunicò per e-mail agli altri membri del consiglio Bce di avere cambiato idea: la Germania e la Bundesbank restavano fermi al principio che la Bce non può operare sui mercati a beneficio di questo o quel paese membro. Tre giorni dopo lo riaffermò in un’intervista pubblica.
La Bundesbank si tutelerà fino a promuovere azioni inibitorie presso la Corte costituzionale a Karlsruhe. Che ha accettato il ricorso e si pronuncerà a settembre. Ma il ricorso alla Corte costituzionale non venne subito, va aggiunto: venne dopo il salvataggio delle grandi banche, della galassia tedesca, da parte della Bce.
Un nemico che paghi per noi
Quella di Weber è la vicenda più succulenta della ricostruzione. Ma sempre notevole è la rappresentazione della Germania dall’interno, di cui Bastasin è uno specialista, che continua a restare ignota in Italia – compreso questo libro, che non si traduce e di cui non si parla. Tre volte in cinque anni l’euro è arrivato all’orlo della dissoluzione. Per errori di conduzione voluti. Con effetti dissimili per i suoi soggetti, catastrofici per alcuni, benefici per altri. I tre capitoli centrali sono anche una storia inverosimile\vera: il 7. “Il primo salvataggio Bce degli Stati” - del Nord Europa, andrebbe aggiunto; l’8. “Karlsruhe, governare il mondo dalla provincia”, dover siede la Corte costituzionale tedesca, che si è arrogato il diritto di decidere, il mese prossimo, sulla legittimità della Bce; e il 9. “Il conosciutissimo segreto della tragedia greca”. Tutto confluisce alla creazione surrettizia di un nemico, delle debolezze del quale farsi forti - una guerra non guerreggiata.
L’esito – uno degli esiti – è questo, si può aggiungere: la Germania, con un debito a inizio anno di 2.082 miliardi, superiore a quello dell’Italia, 1.988 miliardi, pagherà interessi per 64 miliardi, mentre l’Italia ne pagherà 91 – saranno 100 nel 2015. Con un debito giudicato più “sostenibile” di quello tedesco. Anche dagli studi tedeschi. Com’è allora che la Germania paga meno, molto meno? Perché ha convinto i mercati che l’euro è il marco. E ciò ha fatto indirettamente, costringendo l’Italia, le “Italia” dell’Ue, a pagare di più. La sostenibilità riguarda le risorse attese per pagare il debito. È una previsione, quindi incerta, ma si ancora a supporti calcolabili: la spesa sociale, previdenziale, sanitaria, le entrate fiscali.
La crisi imposta alla Grecia, e poi via via agli altri paesi mediterranei, fino all’Italia, ha generato a favore della Germania un vantaggio comparato di proporzioni colossali. Virtuosa imponendosi sui confederati, la Germania si finanziò negli anni cruciali 2011-2012 a un costo inferiore all’1 per cento. Ciò è stato possibile grazie all’euro quale la Germania l’ha voluto: una denominazione co-mune di realtà diverse. Basta accentuare le diversità e i costi di questa moneta si divaricano all’istante per le diverse realtà: per alcuni soggetti aumentano, per altri diminuiscono. Ma diminuiscono per alcuni perché aumentano per altri. È un vantaggio indotto e ostile, competitivo: una svalutazione artificiosa dei titoli di debito altrui a proprio vantaggio. Le banche tedesche già fallite tornarono forti, le popolari, le commerciali, le regionali snodo del sottogoverno. I brand tedeschi svettarono, alcuni di essi, quelli privilegiati dal potere, Volkswagen su tutti: piena di utili da credito gratuito nel mezzo della peggiore crisi di vendite dell’auto.
La Grande Bertha
Le banche tedesche, e centro-europee, già fallite si riscattarono grazie alla Grande Bertha, il primo provvedimento che Draghi si era impegnato con Angela Merkel a prendere alla Bce.  È la prima cosa che Draghi ha fatto subito dopo il suo insediamento l’1 novembre 2011: un intervento spettacolare a salvaguardia delle banche. Un gigantesco prestito a tre anni a bassissimo costo che ha salvato tutti, ma soprattutto le banche tedesche, olandesi, belghe e austriache. Salutato come una “Grande Bertha” dai consulenti di Angela Merkel, per una volta non critici - Stabile Architektur für Europa, rapporto 2012\2013 del Consiglio degli esperti economici, pubblicato a novembre 2012. Una cannonata:  era “Bertha” il supercannone tedesco nella Grande Guerra.
Poi, dieci mesi dopo, Draghi intervenne con altrettanta determinazione a salvare l’Italia e la Spagna, e con esse l’euro. Creando un nuovo strumento, e annunciandolo irrevocabile, le Omt, Outright Monetary Transactions, operazioni monetarie di acquisto senza limiti di titoli di Stato di paesi membri in caso di attacco contro gli stessi, e quindi contro l’euro. Senza formalità, sul mercato secondario come un qualsiasi operatore, con la stessa immediatezza. Era una misura anti speculazione, ed è stata efficace senza dover essere applicata - la speculazione gioca sull’incertezza. Ma Draghi divenne il cattivo di mezza Germania. La stessa che aveva messo in cascina la Grande Bertha: gli economisti e banchieri di Angela Merkel, qualche ministro, a giorni alterni, e molti onorevoli, soprattutto governativi. Difficile non vedervi un riflesso egemonico - noi e il nostro destino.  Una malafede. 
Carlo Bastasin, Saving Europe. How National politics nearly destroyed the euro, Brookings Institution Press,pp. 405 € 28,40 (Kindle Edition, $ 25,31)

Berlusconi non vuole morire

Berlusconi è più furbo certo di Craxi, l’altro politico che la Repubblica ha condannato perché non poteva non sapere. Ci sarebbe da chiedersi se Napolitano potesse non sapere, o Veltroni, o in materia di affari Prodi, il presidente Iri delle privatizzazioni, poi consulente delle banche d’affari. Ma stiamo ai fatti.
Berlusconi non crede al Parlamento. Se non come a un’estensione degli oscuri poteri della repressione. È il segno più evidente della differenza tra il 2013 e il 1993. Tra due modi di fare politica, anche se non tra due Repubbliche – c’è più prima Repubblica di Berlusconi, o dei giudici di Berlusconi? Quello serio di Craxi ancora lo rende inviso a tutto il vecchio Pci oltre che ai sacrestani. Mentre Berlusconi, che certamente non andrà a farsi impallinare al Senato, non sa nemmeno dove il Senato è, sarà a Roma?, potrebbe mettere ancora una volta tutti nel sacco.
Craxi credeva nel Parlamento, a torto. Berlusconi non crede nel Parlamento, ma sa fare (manipolare) l’opinione meglio dei pallidi democratici. Non è una differenza da poco, non è una colpa da poco. Non di Berlusconi, semmai di Craxi, che non capì in tempo.
La giustizia spettacolo Berlusconi combatte con la politica spettacolo. È un gioco tra furbi. Ma non uguale. Berlusconi è un privato cittadino, benché ricco, mentre i giudici sono istituzioni. Oppure no?
Un’altra differenza è che Berlusconi si rivolge alla audience, al popolo. I suoi giudici invece ai carabinieri. E ora che faranno? Ammanettarlo non possono. Ucciderlo? 

martedì 20 agosto 2013

Una condanna per tribuna

¡Hasta la victoria! contro i giudici. Tutto si svolge come se la condanna di Berlusconi fosse una commedia, un guevarismo rovesciato, da volgere al maggior successo. In tre mosse, a quel che è dato vedere, a tre effetti.
Non accettare  il cammino verso la rieleggibilità che la Procura di Milano gli ha disegnato, tramite i servizi sociali e la cancellazione della pena. Tirare invece in lungo l’espulsione dal Senato attraverso i cavilli procedurali. Da ultimo, ricorrere contro la legge Severino alla Corte Costituzionale. Senza esito positivo immaginabile. Ma con l’effetto di: 1) guadagnare dieci-dodici mesi di conduzione del gioco; 2) disintegrare il Pd, più di quanto il Pd non si disintegri per le correnti interne; 3) far celebrare i referendum sulla giustizia. Cinque referendum che sarebbero sicuramente un successo, di partecipazione e di sì, che Berlusconi potrebbe ascriversi a merito.

Lo storico di regime, culturale

C’è stato un regime in Italia dopo il 1943? No. Ma c’è uno storico di regime. Del “regime culturale”, ideologico, la “Pravda” senza la “Pravda”.
Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi.

lunedì 19 agosto 2013

Letture - 146

letterautore

Croce – Ha in uno dei saggi “la mula del Berni”, che sollevava i sassi per inciamparvi dentro.  Marcello Vannucci, analizzando l’avversione dello stesso Croce per Vittorio Imbriani, benché a suo modo anche questi un burlesco, ha un “Don Benedetto pare uno «che fabbrichi prima le palle e poi se le tiri addosso»”, come potrebbe dire uno dei personaggi delle “novellaje” popolari dello stesso Imbriani. 

Dante – È miniera inesauribile per i filologi. Più di qualsiasi codice antico. Assorbente – in larga misura se non del tutto – per la filologia italiana. Elisabetta Tonello e Paolo Trovato annunciano un’altra edizione critica delle “Divina Commedia”, sui manoscritti. Sarà la quarta, o quinta, “in commercio”, accanto alla Petrocchi, di cui Inglese ha in corso la revisione, la Lanza-Trivulziano, e la Sanguineti. 

Grecia – Pullula di deesse, eroine, reali e mitiche, rivoltose, poetesse, filosofe, e personaggi femminili (tragici, lirici, avventurosi, teneri, diabolici) molto rilevati. Ciononostante sappiamo di essa che era patriarcale. Per l’annessione che della Grecia ha fatto la filologia tedesca, e poi la filosofia, come cosa propria, nel segno dell’“arianesimo”.
Sappiamo solo di una o due poetesse e di una filosofa. Ma senza scandalo, come se la pratica fosse corrente. È lecito presumere che, poiché la Grecia è quella che ci hanno tramandato i frati copisti, altre ne abbiano trascurato, di alcune lasciando solo il nome.  

Inglese -  L’antico inglese si vuole sassone. Per dire tedesco. Ma era celta, e poi romano – e poi francese. Le persistenze latine, limitate generalmente alle parole in -.imo e –one, sono invece prevalenti, nel lessico giuridico e politico, e in quello letterario. Bat- per esempio, fino a butterfly e batman.

Italiano – Diego Marani tornato in Italia questa estate non trova una lettura soddisfacente tra i vecchi buoni libri della biblioteca paterna. Non trova neanche buoni libri, soddisfacenti, stranieri in traduzione. Si rilassa solo col kindle, potendo scaricarvi in originale un libro che da tempo ha in agenda, sulle”brulle strade di Londra”. Qui si risente “stranamente meglio”. E scopre che è l’Italia che gli fa rifiutare la lingua, questo paese di “lanciatori di banane”, “squadristi omofobi”, “stupratori misogini”, e di “torva terminologia processuale” e “uomini scellerati che parlano per ingannare”. Ma strade “brulle” a Londra, dove tutto vive, anche se in forma di verme? Senza escludere le mazzate ai neri, anche agli asiatici.
L’odio-di-sé sta diventando una condanna nazionale, dopo che meridionale? Si potrebbe dire la rivincita dello schiavo – che però non ne trae alcun beneficio: come diffondere la peste.

Una koiné si è formata, un italiano medio. Senza più stereotipi e frasi fatte senza senso. Preciso anzi, e della giusta misura (ritmo). Ma come sanitarizzato, sterile.
È l’italiano delle scuole di scrittura e di giornalismo? Che saranno nella fase “ortopedica”, come un  gesso costrittivo, o in quella successiva, della fisioterapia.

Leggerezza – Quella di Savinio, teorico dell’antiprofondismo, è ricercata, molto. Quella di Calvino, che la celebra, è l’esito di un lento, applicato, lavoro di bulino. La superficialità è sempre pesante, è noiosa.

Proust – È noioso. E precieux, delle parole come di sentimenti, un secentista in ritardo. Cataloghi e manuali compresi, di buone maniere, floricultura, quadrerie e madrigalistica. Ma non  si può dire, sarebbe politicamente scorretto. Ha fatto il romanzo della gaytudine, in anticipo, è vero, è come un rompighiaccio, può solo avere ammirazione. 

letterautore@antiit.eu


La libertà a Berlino

“Addio a Berlino”, 1939, è l’ultimo racconto della trilogia sulla capitale allora della libertà sessuale, le “Storie di Berlino”, dopo “Mr Norris se ne va” (1935) e “Sally Bowles” (1937). Isherwood, ricco inglese, ma in rottura con la famiglia sull’omosessualità, fu attratto poco più che ventenne da Berlino, dove vivrà cinque anni, fino al 1933, insegnando l’inglese, tra amanti fissi e irregolari. Dapprima accompagnato nelle cacce da Stephen Spender, il poeta di molte cause impegnate, all’epoca più bello di lui e più liberamente gay.
La trilogia si legge come una memoria allegra, benché scritta con Hitler al potere e la guerra imminente per tutti. Si leggeva ancora così negli anni 1960, sotto l’influsso di “Cabaret”, il musical che ne fu tratto con Liza Minnelli, poi film di grande successo di Bob Fosse. Oggi malinconica, giusto il diario di uno smanettatore felice di fusti operai e sottoproletari, nei club e fuori.
Christopher Isherwood, Addio a Berlino, Adelphi, pp. 252 € 18

domenica 18 agosto 2013

Il giudice sbirro

“Aspettiamo” a votare la decadenza di Berlusconi da parlamentare: tra i berlusconiani, “secondo me c’è un gruppetto, un gruppetto più o meno grande”, che vorrebbe il suo capo impiccato. E quindi, votare o non votare il 9 settembre, etc. Trappole, trucchi, furbate da sbirro. È un giudice che parla, Casson, ma se il giornale non lo dicesse, il lettore si penserebbe in un’anticamera della Questura: tutto si riduce a una questione di soffiate e trappole, il governo, la Costituzione, e anche la giustizia.
Non meriterebbe rilevarlo – chi è questo Casson? – se non fosse il linguaggio dei giudici. Perlomeno, quello che si sente, non se ne sentono altri. Da Di Pietro, che “sfasciava” i suoi nemici, alla nobiltà napoletana di toga degli Esposito e i De Magistris – giudici i padri, i figli e i fratelli. Un po’ dichiaratoria, questa, e quindi sciuè sciuè, ma non si può pretendere a Napoli una démarche disidratata.

La recessione - 4

Tutto quello che dovreste sapere ma non si dice:

Tre milioni e mezzo di disoccupati in Italia, su una popolazione di 60 milioni, equivalgono ai 4,5 milioni di disoccupati, su 80 milioni, che la Germania ebbe all’inizio del millennio per quasi tre anni, con molte altre industria in procinto di delocalizzare – chiudere in Germania per riaprire nei paesi dell’Est, in ambiente linguistico e normativo non estraneo. Il rimedio fu trovato nel 2005, liberalizzando al massimo il mercato del lavoro, da un governo di sinistra.

Un quinto della forza lavoro in Germania percepisce un salario nominale d’ingresso. Quello dei mini-job, che interessa 7-8  milioni di lavoratori, part time, per un salario mensile fino a 450 euro, oneri sociali (previdenza, sanità) a carico dello Stato federale.

A Ferragosto Ridley Scott cerca denutriti in Andalusia per il suo prossimo film storico sui costruttori di piramidi. File interminabili di spagnoli  grandi e piccoli si sono presentati. La denutrizione è un problema in Spagna: lo Stato paga oltre la metà delle refezioni scolastiche per fronteggiarla.

Negli ultimi quattro anni 41 aziende del made in Italy, di brand rinomati, quasi tutti  con una struttura produttiva, sono state comprate da investitori stranieri: Valentino, Bulgari, Coin, Loro Piana, Berloni (a un gruppo di Taiwan), Parmalat, Ducati. Perfino Cerved, l’archivio online delle camere di commercio, è stato ceduto. Prada ha un socio cinese al 19 per cento.
Nei primi sei mesi del 2013 sono state rilevate da interessi stranieri 41 aziende medio-grandi. E ora sono in cessione Telecom, Alitalia e perfino l’Inter, la squadra di calcio. 

Si contraggono le svendite di un 20 per cento: una famiglia su tre vi ha fatto ricorso, invece di due su quattro, la media degli anni scorsi.

Si contraggono le vendite anche dei supermercati alimentari – in testa le catene Coop - che in un primo tempo avevano beneficiato della crisi a spese del piccolo commercio rionale.

La giusta misura delle moralità

Calvino ha oscurato con le sue raccolte di fiabe ogni altro specialista. Perri ne era stato cultore appassionato (traduttore, ordinatore, editore) nei vent’anni di ostracismo che Mussolini gli inflisse per il romanzo “I conquistatori”, 1924, parodia-denuncia del fascismo. Con una  sensibilità diversa, più attenta al racconto che alla moralità, o all’acribia filologica. Nulla di eccezionale, era anche specializzato nel ri-racconto per i più giovani di trame complesse, dal Mulino sulla Floss a Quo Vadis?. Anche qui titoli noti si succedono, “La leggenda del melograno”, “Nino Martino”, “Il carro di re Guidone”, “Donna Candia”, raccontati però nella gusta misura. 
Francesco Perri, Racconti di Aspromonte, Qualecultura, pp. 183 € 10,33