Milano, che ha inaugurato l’anno verdiano con Wagner, s’era già
dimenticato Mozart. Armando Torno l’aveva ricordato in anticipo sulle presumibili
celebrazioni, per il duecentocinquantenario della nascita, nel 2006, al suo
modo coltivato e amabile. Un gioiellino. L’argomento
e il personaggio si prestavano, Torno riesce a trattarli riesce a trattarli con
lo stesso spirito, lieve e malinconico, mozartiano. Ma
il suo “Mozart a Milano” è caduto nel nulla, il libriccino resta una sorta di
celebrazione privata dello stesso Torno.
Mozart a Milano potrebbe non esserci stato. Tra il 1771 e il 1773 invece vi passò complessivamente, in tre
riprese, quasi un anno. Un tempo immenso per la sua irrequietezza e la vita
breve. Riconosciuto allora e onorato, anche ufficialmente, malgrado le riserve
dell’imperatrice Maria Teresa. Poi dimenticato: Milano ha dimenticato nei primi
anni 1970 il bicentenario del Mozart milanese, e trascura le occasioni per
ricordarlo, a ogni decennio.
Un futuro in
Italia
Leopold Mozart provò a cercare un futuro per la famiglia a
lungo in Italia. Soprattutto a Milano. I Mozart vi giunsero per la prima volta
a fine 1770. Per la prima rappresentazione, il 26 dicembre, al teatro Regio
Ducale, del “Mitridate, re di Ponto”, opera del quattordicenne Wolfgang, con lo
stesso ragazzo prodigio al clavicembalo. Libretto di Vittorio Cigna-Sarti,
sulla tragedia di Racine, tradotta da Parini. Successo e 22 repliche. A marzo i
Mozart erano di nuovo a Salisburgo, dopo essere passati per Torino e altre
città – a Padova fu commissionato a Mozart un oratorio, “La Betulia liberata”,
l’unico della sua produzione, da parte del principe D’Aragona, don Giuseppe Ximenes.
Ma dopo l’estate erano di nuovo a Milano, dove il 22 settembre si rappresentò
l’“Ascanio in Alba”, libretto di Parini, per le nozze dell’arciduca Ferdinando
d’Asburgo con Maria Beatrice d’Este. Subito rientrati a Salisburgo, per la
successione del vescovo, saranno però a Milano ancora una volta pochi mesi
dopo, a ottobre del 1772, per un soggiorno di sei mesi. Wolfgang vi scrisse e
rappresentò a terza operina, il “Lucio Silla”, che dopo un primo insuccesso
sarà ancora più rappresentata e apprezzata del “Mitridate”.
Si poteva pensare a un Mozart ormai milanese. E invece
qualcosa non funzionò. Leopold dovette cercare altrove, per assicurare un posto
al figlio. Pensò di poterlo trovare in Toscana, dove altri Asburgo governavano,
ma meno legati a Vienna. Nell’attesa del posto a Firenze, Wolfgang compose i
cosiddetti “Quartetti milanesi”, e l’“Exsultate, Jubilate”, il mottetto K 165. Alla
fine il granduca Leopoldo I non si comportò meglio della zia imperatrice, il
mottetto resterà “milanese” come i quartetti, e i Mozart dovettero tornarsene a
Salisburgo.
Torno circostanzia i vari soggiorni, e
l’esperienza formativa che il quindicenne Mozart ne ricavò. Dagli incontri con operisti
di mestiere, col Parini, e col maestro Sammartini, col quale perfezionò la
tecnica. Non estraneo alla città, dove fu presto il Maestrino, Volfango Amadeo.
Il
mistero del milanese mancato
Il mistero del Mozart “milanese mancato”
è in Astolfo, “La morte è giovane”, di prossima pubblicazione, insieme con
altri aspetti dei suoi produttivi soggiorni in città:
“ Il
Maestrino entra a palazzo Melzi alla Cavalchina, residenza del conte Firmian.
Vi si arriva anche in barca, Milano è stata a lungo porto attivo, le cui acque,
poi coperte, respiravano per quanto atrofizzate. Viene dal Regio Ducale, il
teatro dove prova opere italiane per grande pubblico. Non è bello, ma non fa
niente – sono i
tedeschi, romantici, che vogliono statuario l’uomo di genio, e sul cavallo
bianco. È un angiolone spiritoso, se è suo il
ritratto romano di Blanchet, a Milano amato e protetto. Cucina per lui
eccellenti pietanze del suo paese Marianna d’Asti, la salisburghese Mariandl
Troger, sorella del segretario del conte, sposata Asti. Sono amorevoli la prima
donna Antonia Bernasconi, mezzosoprano, “il Sartorino” Pietro Benedetti,
tenore, i castrati Pietro Muschietti e Giuseppe Cicognani, il contralto Anna
Francesca Varese - promiscui sono pure i ruoli femminili. Femminella è Farnace, che
vuole fare le scarpe al padre Mitridate Eupatore sconfitto da Pompeo e fregargli
la giovane fidanzata Aspasia, principessa greca, e per i femminella il
Maestrino scrive belle arie.
“Mozart
è in città già il Maestrino, genio della libertà nella gioia, contro le tarde proiezioni romantiche, che invece vogliono
tormenti. Il La Fontaine della musica, dirà Stendhal, per la naturalezza -
Stendhal, il dilettante della melodia all’italiana, seppe snidare valori non
registrati dai viennesi, che sono gli esperti. L’ingegno arricchiva Milano,
sull’orecchio assoluto della vicina Cremona, gli Stradivari, Monteverdi, gli
Amati. Il padre Leopold aveva portato Wolfgang a Milano per fargli una
carriera, sulle orme di Giovannino Bach. “In questo paese mi sembra che perfino
la membrana dei timpani sia più delicata”, scrisse Joseph-Jérôme de Lalande,
che fu in Italia negli stessi anni, “più armoniosa e sonora che nel resto d’Europa”.
“Come metà Europa, Wolfgang era stato a
studio dal padre Martini a Bologna. Dove lo incontrò il dottor Burney, che
lo ricordava infante a Londra, “il celebre piccolo tedesco Mozart”, uno dei
tanti bambini prodigio, ma già decorato dello Speron d’Oro dal papa. La sinfonia invece apprese dal Giovanni Battista milanese, il
Sammartini, che dotava il genere di formula tematica e architettura. Suo unico
inciampo è il tenore Guglielmo d’Ettore, siciliano già capriccioso, fresco
sposo. Che cinque volte in due giorni vuole riscritta l’aria di sortita, cioè
di entrata, del “Mitridate”, e infine impone una sua aria di baule, la
collaudata melodia di Quirino Gasperini: “Son pentito e non ascolto,\che i
latrati del mio cor...”
“Carl
Firmian, governatore di Milano per conto di Maria Teresa, amico di Winckelmann
e Angelica Kaufmann, che aprì a Brera, splendore dei gesuiti, l’accademia
d’arte e la maggiore biblioteca, cui lasciò quarantamila volumi e ventimila
incisioni, con le note dell’angelo adolescente, che mandò a scuola dal
Sammartini, illeggiadriva la residenza a palazzo Melzi. Burney lo dice “grande
personaggio, con tutti gli attributi”. Tra i suoi meriti non minori
la scelta della sposa per Giuseppe II, l’erede al trono, nella principessa
filosofa Isabella di Borbone Parma, di cui seppe stimare le qualità, in difetto
del patrimonio e d’una imperiosa bellezza.
“Il
conte Firmian governava a Milano i Verri, il marchese Beccaria, il padre Frisi,
il professor Parini, che nominò direttore della “Gazzetta” e poeta del Teatro
Ducale, e incaricò di fornire a Mozart tradotto il “Mithridate” di Racine, e
per le nozze dell’arciduca Ferdinando con Maria Beatrice d’Este il libretto di “Ascanio
in Alba”. “Un tirolese mediocre” lo dicono i Verri, austriacanti filofrancesi,
per la nota ambivalenza di Milano. Ma non c’era in Francia una “Storia di
Milano” di Pietro Verri, né una amministrazione altrettanto buona. Era impossibile
fare buoni soldati degli italiani, il conte lamentava a Vienna, e intendeva
disciplinati, ma i milanesi pagavano per questo. Le dame facevano la
passeggiata ferme sulle bastardelle, carrozze aperte da cui potevano guardare
sedute negli occhi i cavalieri. Facendosi scudo del cavalier servente ereditato
dalla Spagna.
“Mozart fu a Milano felice, vi ebbe agi,
non incontrerà più tanta generosità e libertà creativa, malgrado il sospetto
verso i teutonici urlatori, ringrazierà col toccante, brillante Exultate, jubilate, il mottetto che il sopranista Venanzio Rauzzini s’era
portato da Monaco. Ma ebbe interrotta la carriera che il padre divisava dall’imperatrice
Maria Teresa, la quale, alla data catastrofica del 12 dicembre, nel ‘71 scrisse
al figlio Ferdinando, l’arciduca celebrato col fastoso “Ascanio”: “Mi chiedi di
assumere al tuo servizio il giovane di Salisburgo. Non so perché, non credo tu
abbia bisogno di gente inutile. Se ti fa piacere, non voglio impedirti di farlo.
Quello che voglio dire è di non caricarti di gente inutile”. Si sa che gli
austriaci sono oculati amministratori. L’imperatrice era stata ragazza musicista
e cantante. Ma la musica a volte suona afona... Aveva conosciuto Wolfgang
bambino, ogni tanto riceveva padre e figlio, e non li apprezzava: “Girano il
mondo come mendicanti e discreditano il servizio”, ammonì il figlio.
“La recensione di Parini al “Mitridate”
riconosce, dopo i timori di una “barbara musica tedesca”, che “il giovine
Maestro di Cappella studia il bello della Natura, e ce lo rappresenta adorno
delle più rare grazie musicali”. Mozart ebbe successo all’opera, cui più
ambiva, solo in Italia. Per “Mitridate” ebbe a quattordici anni un’orchestra di
sessanta elementi e fama internazionale. Con “Ascanio in Alba” batté in coppia
con Parini la concorrenza temibile di Hasse e Metastasio, del loro “Ruggiero”
resta poco più che il titolo. “Lucio Silla” fu rappresentato a Milano ventisei
volte. L’“Idomeneo”, creato a Monaco nel 1781, una delle opere più ispirate e
ricche, ebbe un’unica rappresentazione. Scriverà a suo rischio le altre opere,
non commissionate, questo privilegio l’ebbe solo a Milano. La cosa non è irrilevante:
si capisce che sia morto presto, senza causa apparente, depresso nel prolungato
isolamento tra gli artisti a Vienna, e in casa con l’inutile moglie. Nell’‘89,
l’anno della libertà, degli artisti inclusi, per il concerto del 12 luglio
Mozart ebbe un solo sottoscrittore, il solito van Swieten.
“Un musicista è, era, in Italia parte
onorata della migliore società, mentre oltralpe, fosse pure Beethoven, viveva
solo, doveva elemosinare, andava all’osteria. E Milano doveva essere un’altra
città. Francesco III di Este, duca di Modena, che fu governatore della
Lombardia a lungo a metà Settecento, girava imbellettato. Il conte Firmian era,
dice Burney, “una specie di re di Milano”, per la munificenza. Il suo palazzo
decoravano grandi quadri di grandi pittori. Ma per l’imperiale pregiudizio
Mozart fu breve pure a Milano. E la
Scala, che
per la nascita gli ha dedicato due libri, “La
Vita” e “Le Opere”, i centenari delle opere milanesi ha ignorato, “Mitridate”
nel 1770, “Ascanio” nel ‘71, “Silla” nel ‘72, ci sono pause nella storia.
“Il conte era un tedesco di Mezzo Tedesco.
Morendo, “lasciò anche molti debiti”, dice la Treccani. Suo zio Leopold Anton,
vescovo di Salisburgo, è l’ideatore della più vasta espulsione per motivi
religiosi che si ricordi prima di Hitler, avendo costretto nel 1731 diciassettemila
protestanti a emigrare in Prussia. L’Austria virtuosa, di cui Milano ha ottima
memoria, bandiva pure i libri stranieri, da Montesquieu a Schiller – Crébillon
lasciava circolare per lo svago. Di Leopold Anton si ricorda che, non riuscendo
a far parlare Michael Hulzögger, un cacciatore che si era smarrito nell’Untersberg, per riapparire muto
dopo un mese, lo ascoltò in confessione. E dopo la confessione lasciò il soglio
pastorale e ammutolì pure lui. Il silenzio Hulzögger aveva interrotto solo per
dire “tutto vero” ciò che aveva scritto Lazarus Gitschner. Autore di libri
profetici, Gitschner aveva visto Federico Barbarossa, in un tunnel sotto il
Königsee.
…………
““Il teatro è
molto grande e splendido”, dice del Regio Ducale il dottor Burney, che fu a Milano
lo stesso anno di Mozart, il 1770, con cinque file di palchi, cento palchi per
ogni fila, sei posti per ogni palco. Su ogni fila c’era “un salone adibito a
palco e contenente un camino, con lo occorrente per i rinfreschi e il gioco
delle carte”. Nella quarta fila si giocava, senza interruzioni, a faraone. Il
palco del duca di Modena e sua figlia era grande come “una sala da pranzo a Londra”. Il palco
dell’arciduca conteneva una stanza da letto e un soggiorno. Una cucina scaldava
i pasti portati da casa per gli ospiti. Si giocava, si mangiava e, dopo l’esecuzione,
si ballava. L’opera era intervallata da balletti di rinomati coreografi, quali
Le Picq e Noverre, con corpi di ballo affollati e scenografie imponenti. Col
ricavato del banco ai tavoli da gioco e dei rinfreschi si pa-gavano gli
allestimenti, pubblici e gratuiti. Burney è lieve ma affidabile: è altro
genere dai viaggiatori inglesi, che si assicurano prima che nessun altro possa
raccontarla, da Mandeville a Lawrence d’Arabia. Otto
anni dopo il soggiorno di Mozart il Regio Ducale sarà sostituito dalla Scala.
La inaugurerà Salieri con “Europa riconosciuta”, opera cacanica, e diventerà il
teatro musicale del mondo, quello dove l’acustica più è misera.
………………………..
“Non c’è munificenza sopra le Alpi, era tirchia la Mitteleuropa con la
musica. Nicola Esterhàzy stipendiò a Milano il Sammartini, da cui Haydn tanto
ha appreso, ma con soli sedici zecchini al mese. A Mozart, cui Milano a tredici
anni commissionò la prima opera, fecero mancare il necessario. E Haydn? Era
brutto Haydn, merito doppio a Marianna Benti che lo protesse e Luigia Polzelli
che l’amò, “Sono Alcina, e sono ancora\un visino ch’innamora”. E a Metastasio
che benevolo gli insegnò l’italiano. Prima di finire alla Versailles di
campagna, venti e più anni al servizio degli Esterhàzy. Mal trattato: il
principe lo apostrofava “Moro”, “ehi Moro! ricordati che sei al mio servizio!”,
Moro l’interpellavano gli strumentisti.
………………..
“Lui se lo sentiva,solo Napoli gli avrebbe dato la
gloria, scriveva. Che pure lo riconobbe, e voleva da lui un’opera. Iniziando l’inutile
viaggio con la madre, sotto il ferreo programma del padre Leopold, a ventun
anni per le corti del Nord Mozart sa che Napoli gli darebbe “onore e credito
quanto cento concerti in Germania”. Ha già scritto sette opere ma solo le tre
di Milano sono state apprezzate: “Se compongo a Napoli mi cercheranno ovunque”,
scrive al padre.
Milano ce l’ha
messa tutta per diventare città musicale, ma è sorda: - Nutrì Mozart e
Sammartini, e Giovannino Bach. Ma la biblioteca della sola casa Palfy a Vienna,
annotò Stendhal, contava più di mille composizioni di Sammartini. Una città
meno distratta dagli affari avrebbe accumulato di più, Milano butta via troppe
cose. Il direttore del Conservatorio Basily non ammise Verdi perché di “scarse
attitudini musicali”. Rossini ventenne vi inaugurò senza seguito il crescendo,
ne “La pietra del paragone”,
che non c’è ancora nel “Tancredi”
e nell’“Italiana”. Lo rubò,
secondo Stendhal, a Giuseppe Mosca, musicista di cui nient’altro si sa – tornerà
conte nel romanzo dello scritore, è un conte l’amato della “Pietra del paragone”. Ma è vero che
Milano è dispersiva, pure Manzoni se ne stava a Parigi, in Toscana e a
Brusuglio”.
Armando Torno,
Mozart a Milano, remainders, pp. 56 € 4,50