Un saggio breve, concettoso, sullo yoga
tantrico - di cui Eliade rivendica la “scoperta”. Con la presentazione di
“un’opera immensa, che conterà duemila pagine ed è preceduta da una prefazione
di trecentodue pagine”, sul tempio giavanese di Borobudur . Si fanno libri con
poco. Nel mezzo estratti di un diario di Eliade in India dal 1928, poco più che
ventenne, al 1931. Dove fece incontri, con Tucci, Tagore, e lo stesso suo
maestro Dasgupta, da cui chiunque avrebbe ricavato di più, e con anglo-indiani
razzisti simpatici. Così giovane e così vecchio?
Mircea Eliade, Erotismo mistico indiano, Castelvecchi, pp. 93 € 9
sabato 21 settembre 2013
Ciclisti e gay contro bottegai
Ciclisti
in festa a Roma sui Fori Imperiali, da un lato, che chiedono pedonalizzazioni
spinte della città. A pochi metri negozianti infuriati. Della centralissima via
Labicana, ridotta a quattro corsie di scorrimento, “murate”, senza cioè
possibilità di attraversamento, verso la stazione Termini e Porta Maggiore. E
dell’ancora più frequentata, fino a ieri, via Merulana, convertita in autostrada
urbana, intasata.
Il
sindaco non s’è fatto vedere e non ha soluzioni. Ma il suo cuore, fa dire, è
per la pedonalizzazione. Senza curarsi dell’intasamento adiacente.
Lo
scontro ha turbato l’assemblea nazionale del Pd. Che teme di perdere i
bottegai. Molti dei quali hanno votato Pd e probabilmente lo stesso Marino,
l’Esquilino è di sinistra.
L’irritazione
è anche forte tra i residenti dell’Esquilino, che dietro le due vie di
scorrimento è un colle residenziale di pregio, l’unico rimasto nel
centro della città. Lo era: le sue stradine sono ora invase da percorsi di
snellimento, benché tortuosi, di forti correnti di traffico, in direzione san
Giovanni e via Appia. Una rivoluzione, per abitudini di vita consolidate da
cent’anni, e un terremoto per i valori di mercato.
L’irritazione
è forte perché “si sa” che l’occupazione dell’Esquilino è stata fatta per
liberare il Celio, il colle antistante sul quale è sempre transitato il
traffico da e per san Giovanni. E questo perché da zona militare è diventata centro della movida
gay. La prova naturalmente non c’è che il sindaco abbia favorito gli interessi dietro la movida. Ma si sa, questo sì, che la chiusura al
traffico dell’ultimo segmento di strada attorno al Colosseo (a una parte del
traffico, i mezzi pubblici pesanti, i veri nemici del monumento, ci transitano
sempre), si poteva fare senza rivoluzionare i flussi circostanti.
Le primarie generano mostri
Meglio
che un congresso le primarie. Per chi governerà il partito: l’assemblea del Pd
ha fatto una scelta che crede democratica e liberatoria e invece non lo è nei
fatti. Anzi potrebbe essere, com’è stata finora, traditrice. La politica non
ama i vuoti. La politica non s’improvvisa. La politica è una summa – una risultante. Sono frasi fatte
ma hanno più senso delle primarie. Un breve excursus
lo prova.
La
chiusura dei pochi metri di Colosseo ancora contornati dal traffico, operazione
semplice, Ignazio Marino ha complicato all’inverosimile. E un’Olimpiade che
nessuno vuole ha proposto. Nient’altro ha fatto, a meno che non siano vere le
voci sulle sue intenzioni: ridurre i campi rom (tre sono stati già sgomberati,
senza motivo), cacciare gli occupanti dal teatro Valle, cacciare il
sovrintendente Catello dall’Opera, non potendo cacciare il maestro Muti – due
che hanno dato in tre anni lustro mondiale, meglio della Scala, a un’Opera
abituata da sempre a non lavorare. Il neo sindaco di Roma Marino, ex candidato
a tutte le primarie, conferma che, così come le pratica il Pd, le primarie stesse
sono una selezione bruta, dopo il mago Veltroni, il fenomeno Renzi e il Rodotà
di Grillo.
Le
primarie, dove funzionano come selezione politica, cioè negli Usa, sono uno
strumento complesso e “di partito”. Servono per allargare il partito alle nuove
generazioni e alla platea del voto, non a combatterlo. E nelle ultime sei
elezioni presidenziali, da Clinton in poi, sono state strumento formidabile di
finanziamento della politica. Non sono centro di spesa e palestra per parvenu.
Renzi è diventato un leader, al punto da pensarsi unico, dopo una gara con tre vecchi ex comunisti rinscimuniti che si dividevano il voto del loro (ex) partito. Questo non sarebbe stato possibile negli Usa. O allora con effetti deleteri. Si prenda Obama, che ha preso tutti di sorpresa, per la gioventù, il colore, la prestanza: alla sua prima prova ha perso una guerra che non ha fatto: non trova le prove per cui ha dichiarato la guerra, incorona Assad gentiluomo, si fa propagandare, dai suoi stessi servizi segreti, gli oppositori in Siria come sfruttatori delle “volontarie”. Dopo non aver saputo governare l’economia e la banca per cinque anni ormai - non ha nemmeno un candidato alle Federal Reserve. L’altra grande sorpresa presidenziale, Kennedy, premiato perché giovanile, cattolico, jet-set, amante delle belle donne, è stato probabilmente il peggior presidente del dopoguerra: due guerre perse, al Vietnam e a Cuba, quella a Cuba assortita di un embargo odiosissimo di ormai mezzo secolo, e la crisi dei missili, una quasi guerra nucleare.
Quanto al voto popolare: sarebbe stato Kennedy rieletto? Obama c’è riuscito contro un non-candidato - chi era? L’establishment - destra e sinistra unite - governa anche con le non candidature.
Renzi è diventato un leader, al punto da pensarsi unico, dopo una gara con tre vecchi ex comunisti rinscimuniti che si dividevano il voto del loro (ex) partito. Questo non sarebbe stato possibile negli Usa. O allora con effetti deleteri. Si prenda Obama, che ha preso tutti di sorpresa, per la gioventù, il colore, la prestanza: alla sua prima prova ha perso una guerra che non ha fatto: non trova le prove per cui ha dichiarato la guerra, incorona Assad gentiluomo, si fa propagandare, dai suoi stessi servizi segreti, gli oppositori in Siria come sfruttatori delle “volontarie”. Dopo non aver saputo governare l’economia e la banca per cinque anni ormai - non ha nemmeno un candidato alle Federal Reserve. L’altra grande sorpresa presidenziale, Kennedy, premiato perché giovanile, cattolico, jet-set, amante delle belle donne, è stato probabilmente il peggior presidente del dopoguerra: due guerre perse, al Vietnam e a Cuba, quella a Cuba assortita di un embargo odiosissimo di ormai mezzo secolo, e la crisi dei missili, una quasi guerra nucleare.
Quanto al voto popolare: sarebbe stato Kennedy rieletto? Obama c’è riuscito contro un non-candidato - chi era? L’establishment - destra e sinistra unite - governa anche con le non candidature.
Lo scandalo degli scandali
Non c’è paragone
tra lo scandalo Del Turco e lo scandalo Lorenzetti. Questo acclarato, per prove
certe, ritardato e non accelerato dagli esiti, quello montato sulla vendetta di
un fallito e teatralizzato, senza mai una prova. Quello politico, al centro del
potere, questo di intrighi locali. Non c’è paragone tra le paginate dei grandi
quotidiani su Del Turco, e le notiziole sulla Lorenzetti, svogliate.
Il
motivo è che Del Turco era socialista? L’odio si sa che è irragionevole. Ma uno
del Pd difeso dalle televisioni di Berlusconi? Ci tocca anche un Berlusconi difensore
dei perseguitati.
E com’è
possibile tanta concordia nella grande stampa, Corriere-Repubblica-Stampa-Messaggero?
C’è una spectre? Un direttore che scarti, un cronista vero in altri tempi si
trovava.
Etichette:
Informazione,
Lettera,
Sinistra sinistra
venerdì 20 settembre 2013
Allontanare Muti, non si può
Non si
sa dalla fonte, Marino non parla più, ma nello spoil system che vuole applicare
a Roma soprattutto punterebbe a sostituire il vertice dell’opera, dopo quello dei
vigili urbani. Più che dell’Ama, Atac e altre municipalizzate. Per un motivo: intervenire
prima che la stagione parta e irrobustisca l’attuale dirigenza, che nelle
passate stagioni ha lavorato con grande successo, rianimando un’istituzione da
tempo morta.
Nel
mirino è il sovrintendente, Catello De Martino. Il direttore artistico Alessio
Vlad ha lavorato e lavora soprattutto col centro-sinistra.
La
sostituzione del sovrintendente, in sé, non pone problemi a Marino: l’ex
direttore dell’Itg, International Technology Group, allora Eni, non è forte
nemmeno col centro-destra. Ma il suo allontanamento potrebbe comportare il no
di Riccardo Muti, direttore onorario a vita. O un gesto clamoroso dello stesso
Muti. Anche se Muti è il vero obiettivo di Marino, allontanarlo.
Quando l’Italia fu divisa, dall’unità
La storia d’Italia comincia a metà
Ottocento. Pasquale Villari, Giuseppe La Farina, Luigi Zini, modenese
dimenticato, Carlo Botta, Luigi Carlo Farini, il futuro luogotenente di Cavour
che affosserà il progetto, e Isidoro Del Lungo sono all’opera per trovare “il
vincolo occulto” (Del Lungo) tra gli Stati italiani. Ma c’erano due partiti, e
gli studi si sono cristallizzati su due Italie. Lì sono rimasti, benché due Italie
siano altrettanto arbitrarie che una.
Cavour aveva mandato a Napoli Salvatore
Pes, marchese di Villamarina, col quale s’intratteneva in francese, e
l’ammiraglio Persano. Per far sollevare Napoli, prima che Garibaldi gliela
liberasse. Ci aveva pensato per tempo, inviando Villamarina a gennaio del 1860.
Ma il marchese non era ancora arrivato che già si disimpegnava col suo capo: “I
napoletani “tutti mentono più o meno… la nobiltà è nulla o sanfedista… La massa
è stupida e brutale… Nel terzo stato si trova qualche individualità, qualche
bella intelligenza, ma di natura paurosa, senza energia”. A febbraio si
ripeteva: “Li credo incapaci”. Persano sarà più diplomatico. Ma a metà agosto
Cavour si disse deluso con Ricasoli, niente rivoluzione a Napoli: “Gli abbiamo
dato tutti i mezzi per farla: armi, denari, soldati, uomini di consiglio,
uomini d’azione. Se la materia nel Regno è talmente infradicita da non essere
più suscettibile di fermento, io non so che farci”.
Altri meridionali fuorusciti e l’ammiraglio
Thaon de Revel misero in guardia Cavour sull’incapacità dei suoi inviati, che
per questo addebitavano ai napoletani la mancata sollevazione della città. Cavour
ci ripensò, che non poteva fare l’unità senza i suoi “cari napoletani”, ma era
già troppo tardi. Costantino Nigra, partendo per Napoli come segretario del
principe di Carignano, terza scelta di Cavour a Napoli in sostituzione del
cattivissimo Farini, aveva, confidò agli amici, “una paura maledetta”.
Farini sarà quello degli “affricani”. In
viaggio senza soste dall’Adriatico a Teano per l’incontro, attraversando Molise
e Terra di Lavoro, si eternizzerà sbuffando, nel suo primo rapporto a Cavour: “Che
barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi
caffoni, sono fior di virtù”. Non che ne conoscesse molti: Farini non era stato
e non andrà mai in Affrica.
Claudia Petraccone, Le due civiltà. Settentrionali e meridionali nella storia d’Italia dal
1860 al 1914
Ombre - 190
Fino a ieri il Teatro Valle occupato a
Roma era simbolo di genialità e eroismo. Ora di abusivismo. Cos’è cambiato? Il
sindaco. Era Alemanno, è Marino. Da non credere.
Borgna, Montefoschi, Cordelli animano,
non isolati, il nuovo fronte di resistenza. Quest’ultimo vale una lettura: “La
Fondazione e i soldi pubblici nel teatro occupato”.
Il professor Silvestri di Messina,
eletto alla presidenza della Consulta per divisione, 8 a 7, sente il bisogno di
dire subito del porcellum che presenta “aspetti problematici”. Ma, aggiunge, “questo
non significa anticipare un giudizio di costituzionalità”. Qui lo dico e qui lo
nego.
Solo la Cisl Funzione Pubblica protesta
contro al chiusura di mille uffici giudiziari. Blandamente. Ma si riafferma
così la vecchia-nuova Dc. Forza di comando e di opposizione.
A molti la chiusura degli uffici
giudiziari periferici semplifica la vita. A giudici e cancelliere per esempio
che abitavano in città (la moglie lavoratrice, le scuole dei figli) dovevano
sorbirsi impossibili pendolarismi, da Roma per esempio a Pontecorvo e ritorno,
tutto in un giorno, quattro ore di fatica, ogni giorno, oltre al costo. Ma
bisogna protestare.
Si continuano a sgomberare a Roma i
campi rom. Ma senza più scandalo. Le cronache solo si adontano della resistenza
degli sgomberati: è violenza, strillano. Ma dove li trovano, i capi cronaca, i
cronisti?
Renzi è un battutiere, e se ne compiace,
ma si lamenta che sul web lo prendono in giro per questo. È una celebrazione,
ma vorrebbe che si parlasse di lui come grande politico.
La celebrazione di Renzi battutiere
dovrebbe in effetti farlo pensare: finora non ha vinto niente. Giusto le
primarie a Firenze, ma contro tre ex Pci che si facevano la guerra e non
s’erano accorti che c’erano le primarie - era tanti anni fa. Ora non c’è nulla
da sfilare a nessuno. Ela parrocchietta che portò allora ai gazebo non basta.
Le stessa lettera, scritta in casa?, con
la stessa risposta di Sergio Romano, il “Corriere della sera” pubblica venerdì
e poi martedì. Ironica sulla denuncia per falsa testimonianza dei testimoni della
difesa al processo contro Fede: non incriminati dalle giudici in aula ma che
rischiano, se non falsificati, di svuotare le condanne delle stesse giudici. Che
le giudici di Milano intendano bene?
Riti ambrosiani. Milano non gradisce le
giudici sacrestane: domani potrebbero attaccare, invece che il puttanesimo, la
droga per esempio, o le truffe.
“Filmeremo le mani” che votano, minaccia
Grillo, ai suoi e agli altri, sul voto segreto. E Rodotà, anche lui fa il
regista?
Seduti
per terra davanti al palco per un’ora e mezza ad ascoltare Renzi intervistato
dalla velina Varetto, direttore di Sky, c’era “tutto il gotha del Pd
piemontese, compresi il sindaco Fassino e l’ex ministro Profumo”. Si ricava la notizia dai giornaletti locali di Torino, non c’è sulla ”Stampa”. Anche una
foto di Fassino e Profumo in adorazione di Renzi avrebbe giovato. Non alla
censura.
Tema di Renzi, parole e concetti, era: “Se andiamo alle elezioni li asfaltiamo”.
Fare le elezioni ora, un messaggio di saggezza
politica, partitica, personale, inarrivabile. A parte l’asfalto.
Ci sono le cifre ora della rapidità d’intervento della Giunta del Senato sulle immunità: in media lavora un’ora a settimane, una settimana su due. Berlusconi deve avere creato molti fastidi ai senatori.
Marchionne, che preside l’Associazione
europea dei costruttori di auto, ne diserta le riunioni. Il perché non ce lo
dicono: non vogliono dispiacere alla Volkswagen.
I giudici di Siena hanno infine scoperto
che il Monte dei Paschi trafficava con la politica. Dopo un anno di indagini.
Trafficava con i berlusconiani Verdini e Gianni Letta.
E lo dicono anche, senza vergogna. I
giudici? Antonio Nastasi, Aldo Natalini, Giuseppe Grosso.
Etichette:
Informazione,
Ombre,
Sinistra sinistra
Affarismo
Stabilità
propone Antonio Polito come un valore. Sul “Corriere della sera”, giornale di Milano,
il giornale e la città che più si battono contro, facendo finta di invocarla. Polito,
che sfonda una porta aperta, non spiega infatti perché non ci si arriva. Chi
non la consente. Perché anzi si viene condannati per questo, facendone
immancabilmente il piano di Gelli – Gelli? Da venticinque anni.
Solo
benefici dalla stabilità di governo. La capacità di progettazione e di
esecuzione. La mobilitazione della burocrazia. La semplificazione. Un orizzonte
agli affari. Una garanzia alla giustizia. Un qualsiasi programma di governo,
per quanto contestabile, sarà più buono dell’attendismo. La burocrazia viene
eretta a stupida barriera contro ogni efficienza, mentre il contrario è vero:
la burocrazia vuole essere ben governata, impazzisce se non ha governo – indicazioni,
direttive, norme. La semplificazione parla per sé: che sia meglio per tutti
pagare le tasse sotto tre o quattro titoli invece che per ottanta adempimenti
diversi, ogni anno, quanti ne competono a ogni impresa, anche artigianale, e a
molti commercianti, è ovvio: ma lo può fare solo un governo che dura, le norme
da sfoltire sono una giungla. Che gli affari vogliano un governo piuttosto che
la corruzione del non-governo sembra anche questo ovvio – il non-governo è il
governo della corruzione (sottogoverno, favori, intrallazzi, abusi).
Che
ci voglia un freno alla giustizia è più complesso. Ma è chiaro: “Milano”, l’establishment,
l’affarismo, si serve dei giudici, di questi
giudici, suoi manutengoli, per alimentare l’incertezza. Infatti, senza che
nessuno l’abbia mai criticata apertamente, la stabilità è sempre stata resa
impossibile, dai giudici e da “Milano” – non solo dal “Corriere della sera”,
bisogna dire, anche dagli altri giornali di opinione.
giovedì 19 settembre 2013
L’Italia ha due destre, più Grillo
L’Italia
ha due destre, bisogna pensarci, è questo il suo collo di bottiglia: quella di
Berlusconi dichiarata, e quella del partito Democratico. Il governo Letta,
delle chiacchiere e dei rinvii, ne è l’espressione giusta. Né lui né il suo partito
hanno del resto posizioni di sinistra da far valere. Non sul lavoro, non sulle
tasse, non sul reddito, e non sulla
giustizia – che è la base di ogni socialismo. Anche sulla costituzione, che
pure è da riformare in molti capi, Letta e il Pd non sanno e non vogliono
sapere.
È
una destra smunta, poco di destra: non fa le cose che dovrebbe, sul lavoro, le
tasse e la spesa pubblica – salva la dignità, avviare tutti al lavoro,
rimettere in moto il motore, e poi, quando ci sarà da spartire, rifare le
leggi: la legge è fatta per questo, per tenere conto del presente. Ma è
conservatrice, in entrambe le espressioni: non cambia mai niente.
Entrambe
le destre sono prudenti, si dice anche, per la necessità d’inseguire il voto di
centro. In realtà i due partiti prendono sempre gli stessi voti, mentre il
resto del voto non è di palude, è anzi molto deciso. Ultima dimostrazione
Grillo.
Si
dice che i loro governi non governano perché il sistema costituzionale non lo
consente. Ma
non lo modificano. Si limitano a dire, da decenni, che andrebbe modificato. Del
resto, non hanno governato neanche quando avevano in Parlamento maggioranze
ampie.
Grillo si può leggere solo sulla stampa straniera, oggi in un’intervista con lo scrittore Peter Schneider, che conosce bene l’Italia e l’italiano, per il settimanale tedesco “Die Zeit”: sa le cose, è chiaro, ed è deciso. Su tutti i temi, l’euro, il debito, la Germania, Bersani e il Pd, i 19 milioni di pensionati e i 5 milioni di dipendenti pubblici. Ma è un conservatore: si tiene la giustizia così com’è, fascistoide, e la costituzione immutata, compreso il porcellum.
Varianti à gogo su Proust
Varianti à gogo: per il centenario della pubblicazione di “La strada di
Swann”, a novembre, si privilegia la lettura di Proust “tra le righe”. Non più
in cerca di chiavi, ma dei temi accennati e abbandonati, delle riprese, e della
riscrittura. Di questa soprattutto, che Proust praticava infaticabile su ogni
dattiloscritto e ogni bozza avesse per le mani.
Il Proust delle varianti assorbirà
agevolmente un altro secolo, almeno. Ma il lettore può vedere di che si tratta
alla libera consultazione che il sito Gallica.Bnf, Bibliothèque Nationale de
France offre sperimentalmente:
Proust.
Cent ans de “Recherche”, “Le Magazine Littéraire”, settembre, € 6,20
Il segno di Rutelli
Questi
si vedevano qualche mese fa sul tram a Roma, che è sempre piena di sorprese
anche se ha un solo tram.
Quella
che sta malferma e ce l’ha con i turisti che sono appena saliti a Botteghe
Oscure. Con gli ebrei polacchi, dunque, se non sono israeliani, poiché parlano
l’incomprensibile polacco con qualche parola tedesca storpiata, che potrebbe
essere yiddisch. Potrebbero venire dal ghetto, che sta dietro la via dei
Polacchi. O forse sono buoni cattolici anch’essi e non ebrei, se vengono dalla
loro chiesa, che sta in Botteghe Oscure, davanti proprio alla via dei Polacchi.
Questa
è l’ultima, prima c’è quella che sulla porta inveisce contro un omone che
ingombra l’uscita, chiamandolo, chissà perché, questo animale miscredente.
L’uomo si gira con sguardo di pazienza, mettendosi da parte, è un prete.
Prima
ancora c’è quello che, come tutti, ha problemi a tenersi in piedi e se la
prende con un signore di pelle scura che non gli cede il posto:
-
I nostri padroni – è la cosa più decente che dice.
Il
nero seduto lo guarda, prima di alzarsi, e poi fa:
-
Prego, si sedesse. Ero distratto, vossia mi deve perdonare. – Anche l’accento è
marcatamente siciliano.
Ma
non è finita, perché il siciliano e il malfermo avviano una conversazione
razzista sul perché non bisogna essere razzisti. Concludendo:
-
La colpa è di Rutelli – del fatto che sui mezzi pubblici di Roma non si sa come
tenersi in piedi, non ci sono appigli. Anche se il sindaco è ora Alemanno, dopo
Veltroni succeduto a Rutelli. Che potrebbe essere un complimento: Rutelli ha
lasciato il segno.
mercoledì 18 settembre 2013
Il mondo com'è (147)
astolfo
Democrazia
–
Non è automatica. Al contrario: il suffragio universale si scontra con la
capacità delle masse di governarsi. Cioè con l’incapacità. Fenomeno durevole e impollinante.
È questo il problema del Sud, che arriva troppo tardi al parlamentarismo, dopo
millenni di signoraggio e vita chiusa nei paesi. Ma è il problema, sia di
sottogoverno come in Italia sia, peggio, di capacità di libertà, anche della
Germania. Anch’essa arrivata tardi alla democrazia.
Geografia –
Non s’insegna più a scuola, proprio ora che l’epoca si vuole naturalistica. Ma
resta all’origine di buona parte delle politiche mondiali, guerre comprese. Se
non delle “politiche ecologiche”, che allo stato sono più che altro un business,
di nessuno o scarso effetto. Resta all’origine anche dei “destini” dei popoli.
Qui con riserve, ma non senza ragioni.
Tutto il dibattito meridionalista e
antimeridionalista in Italia si può dire basato sulla “Storia degli Stati
Italiani dalla caduta dell’Impero Romano fino all’anno 1840”, pubblicata a
Firenze nel 1842. Forse indirettamente, ma allora con più peso alle ragioni di
“Enrico Leo” - un discepolo di Herder e di Karl Ritter, il geografo considerato
all’origine della moderna geografia, con Alexander von Humboldt.
L’Italia è divisa in due, argomentava Leo,
perché è due distinte Italie geograficamente. A Nord dell’Appennino ha pianure,
collegamenti facili, corsi d’acqua irreggimentabili e sfruttabili, per
comunicazioni e irrigazione, mercati naturalmente aperti. A Sud è frastagliata
e chiusa dai monti, in valli strette, tra corsi d’acqua ribelli: una natura
(geografia) che fa insocievoli anche le popolazioni.
Facebook - Vale i suoi
soldi, 45 dollari, dopo l’inabissamento del titolo, ora che ha una politica
aggressiva. Non più l’amico disinteressato, la piattaforma delle bizze del
mondo, ma un venditore aggressivo di spazi pubblicitari, in cerca di lettori-clienti
in ogni vano riposto. Anche nei recessi di google, pure così ben protetti.
Islam – La
Siria degli Assad, a lungo sostenitrice del terrorismo, come un tempo Gheddafi,
ne è ora la vittima. Non è solo una beffa da servizi segreti: prendere le forze
terroriste al loro laccio. Né è solo l’effetto apprendista stregone, per cui il
terrorismo inevitabilmente finisce per rivoltarsi contro i suoi controllori. Negli
snodi che la violenza che si appella all’islam hanno coltivato c’è un ripensamento,
per un raggiunto senso del limite nei rapporti internazionali. La pausa, se non
il revirement, di Siria, Iran e
Pakistan, che con diverse motivazioni e modalità hanno fornito mezzi, coperture
e rifugio al terrorismo islamico in Libano, Israele, Palestina, Usa, Europa, e
un po’ ovunque nel mondo islamico, riconsiderano in vario modo l’opzione.
C’è una data di nascita
del fondamentalismo islamico, ed è “occidentale”. Risale all’assunzione del
potere in Pakistan da parte delle forze armate, col generale Zia ul Haq a luglio del 1977. Costruirà ottomila moschee e cinquemila madrasse, scuole
coraniche. Le madrasse erano 270 nel 1947, all’indipendenza, 700 nel 1970,
settemila nel 1980 (oggi sono 14 mila).
La sharia tornò in vigore nelle
zone tribali della North West Frontier e del Waziristan. Era ache l’unica forma
di legalità ivi possibile. La sharia ai “passi” kiplinghiani è all’origine dei talebani. La loro prima manifestazione fu
di dichiarare il Waziristan “emirato islamico”.
“La crisi dell’islam” di Bernard Lewis è stata pubblicata ne 2003, nel
dopo 1 Settembre, ma viene da lontano, dall’avvento di Khomeini, e resta
incontestata.
Sentirsi minacciati dall’islam è segno al più della decrepitudine dell’Europa,
che avendo goduto di un periodo di pace senza precedenti ha dimenticato i veri
conflitti. Il terrorismo è gangsterismo, nell’islam attuale, anche se beneficia
del sostegno di alcuni governi.
Lo schema Noi e Loro di Oriana Fallaci non funziona. Il Loro è
composito - il Noi pure, e anche molto. Le tesi di un best-seller possono fare
la verità, in un’epoca frastornata dalla “comunicazione di massa in massa”,
dall’immediatezza, ma non sono la verità.
Antimodernista, è antiborghese. C’è una ragione precisa per cui nessun
regime politico rappresentativo, con elezioni pubbliche, ha attecchito nei
paesi islamici. Neppure in quelli più a lungo o più strettamente legati
all’Europa e all’America. Non in Libano, né in Giordania, Egitto, Tunisia,
Algeria, lo stesso Marocco, per più aspetti la stessa Turchia. Per non dire
della penisola arabica e dell’Arco della Crisi. Il Marocco, con la politica dei
passi minimi, che solo il sovrano in definitiva protegge, ne è la conferma: le
società islamiche, che il colonialismo aveva forzato nel senso della
polverizzazione della società, in qualche modo forzandole alla rappresentanza
politica, si sono rapidamente neo tribalizzate dopo l’indipendenza.
Onore –
A lungo monopolizzato dal fascismo, ora dall’illegalità nelle mafie.
Sovietismo
–
Non si può dire morto col Muro: c’’era prima del sovietismo propriamente detto
e gli sopravvive, largamente. Anche fuori dalla Russia: è, senza la polizia
segreta, la burocratizzazione, istituzionale, sociale e individuale. Qui col
controllo indiretto delle coscienze: il politicamente coretto vi concorre, per
esempio. O lo stesso ordine che si vuole di mercato: un prodotto, una tipologia
di prodotti, uno standard qualitativo, una procedura, non imposti ma è obbligati.
astolfo@antiit.eu
Il diamante grigio, antenato di “Sostiene Pererira”
Una maratona affannata, in grigio. Quasi un libro “Cuore”
della letteratura catalana. Riedito qui con un’introduzione di Sandra Cisneros
e una postfazione di Giuseppe Tavani. Che ne fa una nuova traduzione, dopo
quella di Giuseppe Cintoli nel 1970 per Mondadori, e quella di Anna Maria
Saludes per Bollati Boringhieri nel 1990.
Sandra Cisneros è andata a vedere piazza del
Diamante a Barcellona e non l’ha trovata, non come la fantasticava, come se il
racconto fosse una cosa reale e non un delirio. Ma la sua ricerca è
sintomatica: il lungo racconto segna il ritorno alla narrativa della scrittrice
catalana, nel 1962 a Ginevra, dopo un quarto di secolo di esilio dalla Barcellona
franchista e di silenzio. Sul canone neo realista allora in auge nella
letteratura “latina”, dove il racconto dev’essere dolente, dei balli compresi, gli
innamoramenti, i baci, i figli, e la stessa repubblica rivoluzionarioa. Il neo
realismo vuole tutto virato sul grigio, di colpe e, peggio, di complessi oscuri
di colpa, senza gioie, che se ci sono si soffocano: vite senza orizzonte e
senza luce, senza storia in definitiva, e senza spessore, il famoso mondo
piatto di Abbott, o a una dimensione – ma in altro senso – del contemporaneo
Marcuse, anch’egli allora in auge. Senza elevazioni, né metafisiche né
retoriche, né addensanti politici, ideologici, ribelli: “realistici” cioè
sofferenti. Secondo il vecchio canone del verismo soprammesso a un certo “impegno”
politico, derivato peraltro dal sovietismo.
Sono narrazioni monotematiche, per cancellazione di
memoria più che per concrezione: per censure. Non vite perdute: vite non
vissute, seppure di fretta. Natàlia, “Colombetta”,
ha momenti lieti, confrontandosi, prima che con un marito buono senza palle,
con un uomo che è “l’argento vivo”, seppure con “quel qualcosa che tendeva a
far soffrire”. Ma non fa mai alzare la testa al lettore: qualsiasi storia
comincia nei 49 capitoletti sa già che finisce male. Vive-scrive però di corsa.
E intervalla il disgraziere di humour
e fantasie, la cifra anteriore di Mercé Rogoreda, che le aveva dato premi e
fama prima delle guerra civile, e che riprenderà nei racconti successivi a
questa parentesi – “Piazza del diamante” avrà un sequel quattro anni dopo, “Via delle camelie”. E tiene il lettore
avvinto. Una lunga carrellata in soggettiva, si direbbe al cinema, di grande
virtuosisimo.
Il romanzo è un classico catalano. O meglio un libro
di culto. Anche in Italia, se ogni vent’anni se ne fa una riedizione. Cisneros
ne ha saputo da un parcheggiatore texano. Tabucchi ne fu stregato, prima di
Garcia Marquez. Anche se non ricorda bene. Ha scoperto Rodoreda con questo
romanzo “alla fine degli anni Sessanta”
e ha tentato invano di proporlo in Italia, dove “c’era un ambiente ostile al
romanzo”, ma non se ne stava facendo la prima traduzione, che uscì nel 1970? Anche
lui è andato alla piazza del Diamante, e ce l’ha trovata e vi s’è commosso, dice,
ma forse era molti anni fa. Ne è rimasto, però, fulminato forse non senza
effetto, a distanza: “Sostiene Pereira” forse deve molto a Rodoreda, a questo
racconto, ha lo stesso ritmo, della frase breve, e si svolge come una lunga
carrellata, seppure con punto si vista sghembo, di una terza che è anche una
prima – e col presente invece dell’imperfetto: una soluzione, o “la” soluzione,
al discorso indiretto libero che tormentava Pasolini.
Mercè Rodoreda, La piazza del diamante, Beat,
pp. 203 €9
martedì 17 settembre 2013
Non toccare Rodotà
I pasdaran della Costituzione, Grillo e
Rodotà, sono contro il voto segreto al Senato.
E alle elezioni?
Rodotà, ancora
uno sforzo!
Filologia a perdere sullo spirito tedesco
La guerra era attesa in Germania nel 1914, per la
primavera. Curtius e Pasquali ne ebbero separatamente preavviso, Serajevo fu
solo un incidente. Ma è detto en passant,
tra il quadretto di questo o quell’accademico, e altri ricordi, magari di come
all’epoca si stava a tavola. Gli antichisti si divertono, Ludwig Curtius che aveva
scritto le “Memorie”, nel 1950, e Pasquali che qui lo recensiva, nel 1952.
Una “recensione” curiosa, soprattutto di sé, e lunga,
un altro libro di memorie. Duecento pagine di narrazioni, a specchio dei
ricordi dell’amico, anche vive: della famiglia, di Roma, di Firenze, di Forte
dei Marmi, degli studi in Italia e in Germania, degli antichisti, i “magnanimi”
e i “parvanimi”. Di una serie di italianofili di grande rilievo, di cui
naturalmente in Italia non si coltiva la memoria: Giorgio Kano, gli Hildebrand,
altri. Degli artisti, anch’essi dimenticati, con villa-studio sui colli a
Firenze. Della vita privata in Italia a fine Ottocento: gli usi e i tic della
famiglia borghese, le interdizioni alimentari - di acqua e frutta. La sfilata
pomeridiana in carrozza al Corso, con la regina Margherita e, qualche volta, il
re Umberto – rigido e incapace. La villa cardinalizia romana e le ville di
artisti (stranieri) a Firenze. Il bagno vestiti, al mare e nei fiumi.
La forma recensione si presta, Curtius fu personaggio
vivace. Cominciò come precettore di “Willi” Furtwängler,
il futuro maestro, figlio di un direttore di museo. Fu archeologo in Grecia
(Egina) e Turchia, spione in guerra in Grecia e in Bulgaria, e dal 1928
direttore dell’Istituto Germanico a Roma, per dieci anni fino a che Hitler non
lo destituì, su denuncia di alcuni borsisti-allievi – ma di questo si sa per
caso, come pure di Hitler al potere, che quando venne a Roma Curtius si era
rifiutato di omaggiare, benché ne fosse funzionario.
Un atro mondo, che pure fu Italia fino all’immediato
dopoguerra. De Sanctis lamentava nelle note autobiografiche negli anni 1850 un’università
a Napoli clericalizzata, con l’obbligo di certificare la messa domenicale e la
comunione. La stessa cosa attesta Pasquali, senza citare De Sanctis, per i suoi
anni 1950, a Firenze e Roma. Anche i laghi Prespà, tra Grecia e Albania, si può
testimoniare, sono di fascino immutato. Ma molto non è detto, o trascurato, o
minimizzato: i filologi soprattutto si divertono, lievi, cioè superficiali.
Molto si dice di Roma, scontato per due romani, di
buono (“è la prima città umanistica del mondo”) e di cattivo. Cioè
superficialmente. Così come nelle tante notazioni sui caratteri degli italiani
e dei tedeschi, più ridicole che assurde. Da parte di due che non credevano a
queste generalizzazioni – “nulla al mondo è più difficile a intendere che un
popolo”: recensito e recensore fanno a gare nelle grossolanità (banalità) sui
caratteri nazionali. Anche il titolo è ambiguo: dà conto della forma recensione,
ma è come se: 1) Pasquali avesse scritto una storia dello spirito tedesco, e 2)
lo “spirito tedesco” fosse stato a lui contemporaneo. Mentre è solo un’eco dello
“Spirito tedesco” di Benedetto Croce germanofilo
dieci anni prima, che non si cita – uno spirito traviato che Croce, con meno
curve del germanofilo non pentito Pasquali, riporta alla mancata latinizzazione
della gran parte della Germania, e a Lutero, all’io-e-il-mio-Dio.
Curioso ripescaggio di una recensione. Riproposta
per i sessant’anni in edizioncina paludata, con molte note e tre introduzioni,
di Giacomo Devoto, Eduard Fraenkel e Marco Romani Mistretta, tutte a loro volta
con note. Fra le curiosità, la mancanza di un inquadramento del Curtius – che il
lettore configura come uno spirito all’avventura, mentre non lo era. E nessun
accenno, né in Paquali né nei commentatori, al contemporaneo e più celebre Ernst
Robert Curtius, l’inventore del topos letterario e autore del già celebre “Letteratura
europea e Medioevo latino”- non erano parenti, ma s’incontrarono, si
studiarono?
Giorgio Pasquali, Storia dello spirito tedesco
nelle memorie d’un contemporaneo, Adelphi, pp. 260 € 16
lunedì 16 settembre 2013
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (181)
Giuseppe Leuzzi
Al primo
Parlamento italiano si pensò di candidare Verdi. Che rifiutò. Cavour allora
prese la questione in mano e gli scrisse. Adducendo questo motivo, in aggiunta
al “decoro del Parlamento” e al “credito al gran partito nazionale”: “Ne
imporrà ai nostri immaginosi colleghi della parte meridionale d’Italia,
suscettibili d’i subire l’influenza del genio artistico più assai di noi abitatori
della fredda valle del Po”.
Le persone
più felici vivono al Nord, assicura l’Onu: Danimarca, Norvegia, Svizzera,
Olanda, Svezia, Canada, Finlandia, Austria, Islanda e Australia. O l’Australia
è al Sud?
A Landiano,
comune di Novara, i dodici bambini “non etnici” della locale scuola sono
ritirati dai genitori, per salvaguardarli dai venticinque altri alunni, rom.
Landiano è comune con 600 abitanti, e ha la scuola. Per 35 bambini
Dieci anni
fa la scuola andava chiusa, e i landianesi pregarono i rom più vicini di
mandare i loro figli a scuola per scongiurare l’evento. Canicattì?
Il Nord criminale
Si fa periodicamente caso del Nord criminale
quando è possibile incriminare qualche ‘ndranghetista. Ogni due o tre anni. Qua
e là. Nello hinterland di Milano. O di Torino. O di Imperia. È giusto, la
giustizia segua il suo corso. Ma sapendo di che si tratta c’è da sorridere:
voti di scambio prevalentemente. In cambio di qualche appalto, non di gran
conto, uno o due milioni, oppure di niente. Non c’è invece un Nord criminale
dove lo è, al centro del potere, politico ed economico, e di sostanza. La
Popolare di Milano, il Monte dei Paschi e la Cassa di Risparmio di Genova. La
Milano-Serravalle. I Riva. I Ligresti. La Saipem e la Finmeccanica. La Lega. La
Regione Lombardia.
L’elenco del crimine al Nord è lungo, e non può essere esaustivo, ognuno lo sa che
viva in Italia. Si fanno i nomi di ciò che emerge, ma si sa che molto del resto
è criminale. Si può arguire che si ruba al Nord perché al Nord ci sono gli
affari. Ma ci sono anche al Sud, pochi ma non così corrotti. Mentre in conto al
Nord vanno pure messe alcune Procure della Repubblica, conniventi: la Procura
di Milano, così selettiva, quella di Siena, quella di Genova. Non esclusa la chiesa,
specie la curia milanese: la questione San Raffaele, fosse don Verzé colpevole
o fosse innocente, è comunque un peccato, grave.
Il Nord virtuoso
Si propagandano elettrodomestici tedeschi che,
sotto forma di “economia” e “protezione dell’ambiente”, impegnano al picco una
potenza di 3 kv, anche di più. Il massimo della potenza installata nel 90
perento delle abitazioni. Che sono quindi obbligate a stare al buio quando la lavatrice
gira. Oppure passare a 6 kv, raddoppiando – più o meno – i costi di esercizio.
Le auto tedesche si vogliono sempre supercar,
piene cioè di gadget. Inutili per lo più. Con spreco di materiali plastici e
ferruginosi. Prodotti solitamente nel nome della protezione dell’ambiente. Un
altro buon motivo per farle pagare di più, contenti.
È in corso nella Ue l’europeizzazione dei
dottorati. Seminari intereuropei e corsi settimanali sono tenuti qui e lì, non
necessariamente in sedi universitarie. Sono occasioni anzi per i docenti, i
dottorandi essendo pochi, di combinare
insegnamento e vacanziella. Ma allora più nel Nord Europa: si programmano corsi
in Danimarca, Norvegia, Islanda, i paesi non dell’euro che per questo sono
carissimi, e dove quindi a proprie spese non si potrebbe viaggiare. Benché inclementi.
Si programmano i dottorati europei in posti
settentrionali di preferenza, più o meno desolati – grigi, umidi, isolati in
campagna – che si pretendono naturalisti e romantici. Il naturalismo ci vuole,
è il trademark del millennio. Anche
per questo, allora, in alloggi di fortuna, del tipo ostello, con letti a castello,
con servizi collettivi, anche il lavandino. Ma carissimi, come un albergo di lusso.
È un abuso, al modo settentrionale, non cinico
e anzi meritorio, dei fondi Ue.
È anche una forma di autarchia: il Nord è
insofferente di doversi “fare le vacanze” al Sud.
Gi
appalti sono inutili
Gli appalti pubblici non sono il volano di
niente. Non dell’imprenditoria, non dello sviluppo, neppure in forma di
infrastrutturazione. È stato il più grosso, e grave, equivoco delle politiche dello
sviluppo dle terzomondismo: l’investimento pubblico come radice fruttifera e motorino
d’avviamento e volano dello sviluppo.
L’investimento pubblico è fine a se stesso, un
passaggio di denaro. Allo stesso modo della finta occupazione, opere “pubbliche”,
lavori socialmente utili, consulenze, le tante società comunali per incarichi
remunerati. Senza effetto se non il passaggio di denaro che comportano. Non
migliorano i servizi, non creano professionalità, non migliorano gli standard, abbassano
quelli in essere e in qualche modo attivi. Sono anche sterili politicamente, e
diseducativi: E sono semrpe sterili politicamente: i beneficati dai quali non
si richiede nulla non si riconosceranno profittatori, diranno concussori i
benefattori -, il sindaco, l’assessore, il consigliere provinciale o regionale,
il parlamentare
Anche le strade, le scuole, la salute, le attività
culturali possono essere fine a se stesse, come gli appalti e le assunzioni. Se
non rientrano in una struttura d’insieme che ne metta a frutto il potenziale e
ne assicuri la ricarica. Molte iniziative sono peraltro fine a se stesse,
dichiaratamente: premi, festival, dispensari, guardie mediche, corsi di
formazione posticci. Perfino l’investimento nell’istruzione può essere fine a
se stesso, se non è gestito – cosa rara, nelle infrastrutture come
nell’insegnamento. Quando non è dichiaratamente un postificio, per dare posti
di bidello o di insegnante, degli stipendi.
L’investimento pubblico non crea le condizioni dello sviluppo. E funziona solo
dove queste condizioni sono consolidate, o tentano di radicarsi. La scuola di
musica di Delianuova, divenuta celebre nazionalmente per le attenzioni del
maestro Muti, è “privata”: di un’associazione, dei contributi delle famiglie,
della passione che sa instillare nei ragazzi. In dieci anni ha formato oltre
un centinaio di ragazzi, raggiungendo
buoni livelli performativi. La sua orchestra di fiati è stata invitata in
Toscana, in Sicilia, in Puglia, a Reggio Calabria per il centocinquantenario dell’unità,
e a Ravenna, al festival del maestro Muti – nelle ultime due esibizioni diretta
dallo stesso muti. L’investimento pubblico, di Comune, Provincia, Regione, Comunità montana,
Parco dell’Aspromonte, si segnala per le promesse non mantenute, tutte.
leuzzi@antiit.eu
La scrittura non è eccezionale
Perché scriviamo, e ora anche pubblichiamo, su
amazon non costa niente, in tipografia pochi euro, quanto un biglietto per la
partita? Perché ci piace, e questa è l’epoca dei piaceri, molti sono anche
cuochi, ballerini di tango, maratoneti. Ma il tema è d’obbligo nella sociologia
della letteratura, di cui è l’oggetto – quindi eccezionale, misterico,
salvifico.
“Narciso, di più”, diceva Forni vent’anni fa dei
suoi interlocutori, per lo più donne. Ma leggendo le loro “vite”, non
immaginarie, sono di un’umiltà disarmante, seppure vantino corone di premi. E
si sa come vanno queste cose: i premi sono per lo più riconoscimenti fra amici.
Una cresta ci viene solitamente fatta sopra, ma modesta. Nulla di scandaloso,
dunque.
Sono diverse le risposte degli scrittori nella
rivista di Camon. “Scrivo perché mi sento l’essere più infelice del mondo”,
Cerami. “Forse si scrive per sapere perché si scrive”, Orengo. “Forse scrivo
per una forma di scongiuro contro la morte”, Siciliano. “Perché mi piace
leggere”, Benni. Ma molti scrittori non leggono, o pochissimo. Un’inchiesta inutile.
Anche a futura memoria, come documentazione. Proust, per esempio,
riscriveva sempre.: ogni volta che aveva in mano una bozza, la riscriveva da
cima a fondo – di(ri)leggeva e (ri)scriveva..
Forse è difficile far vivere gli scrittori, se neppure chiedergli perché li rianima. Ma perché ritenere la scrittura un fatto eccezionale?
Forse è difficile far vivere gli scrittori, se neppure chiedergli perché li rianima. Ma perché ritenere la scrittura un fatto eccezionale?
Perché
scrivete? Rispondono 109 scrittori italiani, “Nord-Est” n. 6
Alberto Forni, Autobiografie di scrittori non
illustri
domenica 15 settembre 2013
Il dissidio dello spirito tedesco con la libertà
Pubblicato nel 1944, insieme con altri scritti più
brevi (“La Germania che abbiamo amato”, “La guerra come ideale”, “I doveri e il
dovere”), l’opuscolo è l’autodifesa di Croce, da germanofilo, di fronte alla
guerra di Hitler, e agli orrori dell’occupazione. Stranamente non superato da
settant’anni ormai di storia europea, a partire dal titolo.
C’entra la mancata latinizzazione di tre quarti
della Germania, ma non solo. Il nodo è un’egemonia che non vuole liberare e
associare ma asservire – “nominor quia
leo” La Germania Federale qualche lezione nei trent’anni della guerra fredda
l’ha imparata. Ma il fondo riemerge, ora che l’Europa non ha più federatore
esterno, non più Stalin e nemmeno gli Usa, proiettati con la globalizzazione
sul Pacifico – l’Europa, con gli arabi e Putin è il cortile posteriore, il
pollaio.
Anche
le curiosità non sono obsolete. A Croce nel ‘31 Thomas Mann, dedicatario
della “Storia d’Europa”, una storia di libertà, ridimensionò il pericolo
Hitler. Ancora pochi anni prima, si può aggiungere, Thomas Mann la democrazia
voleva ostile, rea di “estirpare lo spirito tedesco in Germania”. Lo stesso
Croce quattro anni prima, antifascista celebre e per questo “onorato di lauree
e di diplomi” dalle accademie in varie
città della Germania, non trovò interlocutore che non gli chiedesse ammirato di
Mussolini. Che veniva anche osannato dai paludati Preussische Jahrbücher, gli annali prussiani, ricorda qui il
filosofo stupito, quale “disturbatore della pace europea”.
Benedetto Croce, Il dissidio spirituale della
Germania con l’Europa
La recessione – 6
Tutto
quello che dovreste sapere ma non si dice:
Cinque miliardi di ore di cassa integrazione in cinque anni. Un
miliardo in media l’anno, 140 milioni di giornate lavorative. Che per 200
giornate di lavoro in media nell’anno, fanno 700 mila disoccupati mascherati.
Meno 2,4 nel 2012, meno 1,8 nel 2013, l’economia va sempre indietro.
L’Italia è l’unico paese in recessione nei due anni tra i sette paesi più
ricchi.
In tre anni, dal 2010, l’Istat rileva
un milione di occupati in meno al di sotto dei 35 anni. Tre quarti della cifra,
750 mila, sono gli occupati in meno nella fascia 25-34 anni: i laureati.
Nei primi otto mesi dell’anno diecimila fallimenti: 45 al giorno. Duemila in più che nei primi otto mesi del 2012.
Nei primi otto mesi 14.200 negozi hanno chiuso. La statistica a
consuntivo raddoppia le stime: sessanta negozi chiusi ogni giorno.
Etichette:
Affari,
Il mondo com'è,
Informazione
Iscriviti a:
Post (Atom)