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sabato 21 settembre 2013

L’India ai piedi di Eliade

Un saggio breve, concettoso, sullo yoga tantrico - di cui Eliade rivendica la “scoperta”. Con la presentazione di “un’opera immensa, che conterà duemila pagine ed è preceduta da una prefazione di trecentodue pagine”, sul tempio giavanese di Borobudur . Si fanno libri con poco. Nel mezzo estratti di un diario di Eliade in India dal 1928, poco più che ventenne, al 1931. Dove fece incontri, con Tucci, Tagore, e lo stesso suo maestro Dasgupta, da cui chiunque avrebbe ricavato di più, e con anglo-indiani razzisti simpatici. Così giovane e così vecchio?
Mircea Eliade, Erotismo mistico indiano, Castelvecchi, pp. 93 € 9

Ciclisti e gay contro bottegai

Ciclisti in festa a Roma sui Fori Imperiali, da un lato, che chiedono pedonalizzazioni spinte della città. A pochi metri negozianti infuriati. Della centralissima via Labicana, ridotta a quattro corsie di scorrimento, “murate”, senza cioè possibilità di attraversamento, verso la stazione Termini e Porta Maggiore. E dell’ancora più frequentata, fino a ieri, via Merulana, convertita in autostrada urbana, intasata.
Il sindaco non s’è fatto vedere e non ha soluzioni. Ma il suo cuore, fa dire, è per la pedonalizzazione. Senza curarsi dell’intasamento adiacente.
Lo scontro ha turbato l’assemblea nazionale del Pd. Che teme di perdere i bottegai. Molti dei quali hanno votato Pd e probabilmente lo stesso Marino, l’Esquilino è di sinistra.
L’irritazione è anche forte tra i residenti dell’Esquilino, che dietro le due vie di scorrimento è un colle residenziale di pregio, l’unico rimasto nel centro della città. Lo era: le sue stradine sono ora invase da percorsi di snellimento, benché tortuosi, di forti correnti di traffico, in direzione san Giovanni e via Appia. Una rivoluzione, per abitudini di vita consolidate da cent’anni, e un terremoto per i valori di mercato.
L’irritazione è forte perché “si sa” che l’occupazione dell’Esquilino è stata fatta per liberare il Celio, il colle antistante sul quale è sempre transitato il traffico da e per san Giovanni. E questo perché da zona militare è diventata centro della movida gay. La prova naturalmente non c’è che il sindaco abbia favorito gli interessi dietro la movida. Ma si sa, questo sì, che la chiusura al traffico dell’ultimo segmento di strada attorno al Colosseo (a una parte del traffico, i mezzi pubblici pesanti, i veri nemici del monumento, ci transitano sempre), si poteva fare senza rivoluzionare i flussi circostanti.

Le primarie generano mostri

Meglio che un congresso le primarie. Per chi governerà il partito: l’assemblea del Pd ha fatto una scelta che crede democratica e liberatoria e invece non lo è nei fatti. Anzi potrebbe essere, com’è stata finora, traditrice. La politica non ama i vuoti. La politica non s’improvvisa. La politica è una summa – una risultante. Sono frasi fatte ma hanno più senso delle primarie. Un breve excursus lo prova.
La chiusura dei pochi metri di Colosseo ancora contornati dal traffico, operazione semplice, Ignazio Marino ha complicato all’inverosimile. E un’Olimpiade che nessuno vuole ha proposto. Nient’altro ha fatto, a meno che non siano vere le voci sulle sue intenzioni: ridurre i campi rom (tre sono stati già sgomberati, senza motivo), cacciare gli occupanti dal teatro Valle, cacciare il sovrintendente Catello dall’Opera, non potendo cacciare il maestro Muti – due che hanno dato in tre anni lustro mondiale, meglio della Scala, a un’Opera abituata da sempre a non lavorare. Il neo sindaco di Roma Marino, ex candidato a tutte le primarie, conferma che, così come le pratica il Pd, le primarie stesse sono una selezione bruta, dopo il mago Veltroni, il fenomeno Renzi e il Rodotà di Grillo.
Le primarie, dove funzionano come selezione politica, cioè negli Usa, sono uno strumento complesso e “di partito”. Servono per allargare il partito alle nuove generazioni e alla platea del voto, non a combatterlo. E nelle ultime sei elezioni presidenziali, da Clinton in poi, sono state strumento formidabile di finanziamento della politica. Non sono centro di spesa e palestra per parvenu.
Renzi è diventato un leader, al punto da pensarsi unico, dopo una gara con tre vecchi ex comunisti rinscimuniti che si dividevano il voto del loro (ex) partito. Questo non sarebbe stato possibile negli Usa. O allora con effetti deleteri. Si prenda Obama, che ha preso tutti di sorpresa, per la gioventù, il colore, la prestanza: alla sua prima prova ha perso una guerra che non ha fatto: non trova le prove per cui ha dichiarato la guerra, incorona Assad gentiluomo, si fa propagandare, dai suoi stessi servizi segreti, gli oppositori in Siria come sfruttatori delle volontarie”. Dopo non aver saputo governare l’economia e la banca per cinque anni ormai - non ha nemmeno un candidato alle Federal Reserve. L’altra grande sorpresa presidenziale, Kennedy, premiato perché giovanile, cattolico, jet-set, amante delle belle donne, è stato probabilmente il peggior presidente del dopoguerra: due guerre perse, al Vietnam e a Cuba, quella a Cuba assortita di un embargo odiosissimo di ormai mezzo secolo, e la crisi dei missili, una quasi guerra nucleare.
Quanto al voto popolare: sarebbe stato Kennedy rieletto? Obama c’è riuscito contro un non-candidato - chi era? Lestablishment - destra e sinistra unite - governa anche con le non candidature.

Lo scandalo degli scandali

Non c’è paragone tra lo scandalo Del Turco e lo scandalo Lorenzetti. Questo acclarato, per prove certe, ritardato e non accelerato dagli esiti, quello montato sulla vendetta di un fallito e teatralizzato, senza mai una prova. Quello politico, al centro del potere, questo di intrighi locali. Non c’è paragone tra le paginate dei grandi quotidiani su Del Turco, e le notiziole sulla Lorenzetti, svogliate.
Il motivo è che Del Turco era socialista? L’odio si sa che è irragionevole. Ma uno del Pd difeso dalle televisioni di Berlusconi? Ci tocca anche un Berlusconi difensore dei perseguitati.
E com’è possibile tanta concordia nella grande stampa, Corriere-Repubblica-Stampa-Messaggero? C’è una spectre? Un direttore che scarti, un cronista vero in altri tempi si trovava. 

venerdì 20 settembre 2013

Allontanare Muti, non si può

Non si sa dalla fonte, Marino non parla più, ma nello spoil system che vuole applicare a Roma soprattutto punterebbe a sostituire il vertice dell’opera, dopo quello dei vigili urbani. Più che dell’Ama, Atac e altre municipalizzate. Per un motivo: intervenire prima che la stagione parta e irrobustisca l’attuale dirigenza, che nelle passate stagioni ha lavorato con grande successo, rianimando un’istituzione da tempo morta.
Nel mirino è il sovrintendente, Catello De Martino. Il direttore artistico Alessio Vlad ha lavorato e lavora soprattutto col centro-sinistra.
La sostituzione del sovrintendente, in sé, non pone problemi a Marino: l’ex direttore dell’Itg, International Technology Group, allora Eni, non è forte nemmeno col centro-destra. Ma il suo allontanamento potrebbe comportare il no di Riccardo Muti, direttore onorario a vita. O un gesto clamoroso dello stesso Muti. Anche se Muti è il vero obiettivo di Marino, allontanarlo. 

Quando l’Italia fu divisa, dall’unità

La storia d’Italia comincia a metà Ottocento. Pasquale Villari, Giuseppe La Farina, Luigi Zini, modenese dimenticato, Carlo Botta, Luigi Carlo Farini, il futuro luogotenente di Cavour che affosserà il progetto, e Isidoro Del Lungo sono all’opera per trovare “il vincolo occulto” (Del Lungo) tra gli Stati italiani. Ma c’erano due partiti, e gli studi si sono cristallizzati su due Italie. Lì sono rimasti, benché due Italie siano altrettanto arbitrarie che una.
Cavour aveva mandato a Napoli Salvatore Pes, marchese di Villamarina, col quale s’intratteneva in francese, e l’ammiraglio Persano. Per far sollevare Napoli, prima che Garibaldi gliela liberasse. Ci aveva pensato per tempo, inviando Villamarina a gennaio del 1860. Ma il marchese non era ancora arrivato che già si disimpegnava col suo capo: “I napoletani “tutti mentono più o meno… la nobiltà è nulla o sanfedista… La massa è stupida e brutale… Nel terzo stato si trova qualche individualità, qualche bella intelligenza, ma di natura paurosa, senza energia”. A febbraio si ripeteva: “Li credo incapaci”. Persano sarà più diplomatico. Ma a metà agosto Cavour si disse deluso con Ricasoli, niente rivoluzione a Napoli: “Gli abbiamo dato tutti i mezzi per farla: armi, denari, soldati, uomini di consiglio, uomini d’azione. Se la materia nel Regno è talmente infradicita da non essere più suscettibile di fermento, io non so che farci”.
Altri meridionali fuorusciti e l’ammiraglio Thaon de Revel misero in guardia Cavour sull’incapacità dei suoi inviati, che per questo addebitavano ai napoletani la mancata sollevazione della città. Cavour ci ripensò, che non poteva fare l’unità senza i suoi “cari napoletani”, ma era già troppo tardi. Costantino Nigra, partendo per Napoli come segretario del principe di Carignano, terza scelta di Cavour a Napoli in sostituzione del cattivissimo Farini, aveva, confidò agli amici, “una paura maledetta”.
Farini sarà quello degli “affricani”. In viaggio senza soste dall’Adriatico a Teano per l’incontro, attraversando Molise e Terra di Lavoro, si eternizzerà sbuffando, nel suo primo rapporto a Cavour: “Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Affrica: i beduini, a riscontro di questi caffoni, sono fior di virtù”. Non che ne conoscesse molti: Farini non era stato e non andrà mai in Affrica. 
Claudia Petraccone, Le due civiltà. Settentrionali e meridionali nella storia d’Italia dal 1860 al 1914

Ombre - 190

Fino a ieri il Teatro Valle occupato a Roma era simbolo di genialità e eroismo. Ora di abusivismo. Cos’è cambiato? Il sindaco. Era Alemanno, è Marino. Da non credere.
Borgna, Montefoschi, Cordelli animano, non isolati, il nuovo fronte di resistenza. Quest’ultimo vale una lettura: “La Fondazione e i soldi pubblici nel teatro occupato”.

Il professor Silvestri di Messina, eletto alla presidenza della Consulta per divisione, 8 a 7, sente il bisogno di dire subito del porcellum che presenta “aspetti problematici”. Ma, aggiunge, “questo non significa anticipare un giudizio di costituzionalità”. Qui lo dico e qui lo nego.

Solo la Cisl Funzione Pubblica protesta contro al chiusura di mille uffici giudiziari. Blandamente. Ma si riafferma così la vecchia-nuova Dc. Forza di comando e di opposizione.

A molti la chiusura degli uffici giudiziari periferici semplifica la vita. A giudici e cancelliere per esempio che abitavano in città (la moglie lavoratrice, le scuole dei figli) dovevano sorbirsi impossibili pendolarismi, da Roma per esempio a Pontecorvo e ritorno, tutto in un giorno, quattro ore di fatica, ogni giorno, oltre al costo. Ma bisogna protestare.

Si continuano a sgomberare a Roma i campi rom. Ma senza più scandalo. Le cronache solo si adontano della resistenza degli sgomberati: è violenza, strillano. Ma dove li trovano, i capi cronaca, i cronisti?

Renzi è un battutiere, e se ne compiace, ma si lamenta che sul web lo prendono in giro per questo. È una celebrazione, ma vorrebbe che si parlasse di lui come grande politico.

La celebrazione di Renzi battutiere dovrebbe in effetti farlo pensare: finora non ha vinto niente. Giusto le primarie a Firenze, ma contro tre ex Pci che si facevano la guerra e non s’erano accorti che c’erano le primarie - era tanti anni fa. Ora non c’è nulla da sfilare a nessuno. Ela parrocchietta che portò allora ai gazebo non basta.

Le stessa lettera, scritta in casa?, con la stessa risposta di Sergio Romano, il “Corriere della sera” pubblica venerdì e poi martedì. Ironica sulla denuncia per falsa testimonianza dei testimoni della difesa al processo contro Fede: non incriminati dalle giudici in aula ma che rischiano, se non falsificati, di svuotare le condanne delle stesse giudici. Che le giudici di Milano intendano bene?
Riti ambrosiani. Milano non gradisce le giudici sacrestane: domani potrebbero attaccare, invece che il puttanesimo, la droga per esempio, o le truffe.

“Filmeremo le mani” che votano, minaccia Grillo, ai suoi e agli altri, sul voto segreto. E Rodotà, anche lui fa il regista?

Seduti per terra davanti al palco per un’ora e mezza ad ascoltare Renzi intervistato dalla velina Varetto, direttore di Sky, c’era “tutto il gotha del Pd piemontese, compresi il sindaco Fassino e l’ex ministro Profumo”. Si ricava la notizia dai giornaletti locali di Torino, non c’è sulla ”Stampa”. Anche una foto di Fassino e Profumo in adorazione di Renzi avrebbe giovato. Non alla censura.

Tema di Renzi, parole e concetti, era: “Se andiamo alle elezioni li asfaltiamo”.
Fare le elezioni ora, un messaggio di saggezza politica, partitica, personale, inarrivabile. A parte l’asfalto.

Fassino e Profumo per terra mentre sul palco si agitano i giovani renziani, soprattutto le giovani. Il partito si rinnova?

Ci sono le cifre ora della rapidità d’intervento della Giunta del Senato sulle immunità: in media lavora un’ora a settimane, una settimana su due. Berlusconi deve avere creato molti fastidi ai senatori.

Marchionne, che preside l’Associazione europea dei costruttori di auto, ne diserta le riunioni. Il perché non ce lo dicono: non vogliono dispiacere alla Volkswagen.

I giudici di Siena hanno infine scoperto che il Monte dei Paschi trafficava con la politica. Dopo un anno di indagini. Trafficava con i berlusconiani Verdini e Gianni Letta.
E lo dicono anche, senza vergogna. I giudici? Antonio Nastasi, Aldo Natalini, Giuseppe Grosso.

“Qualche mese fa un gruppo di lavoro della Duke University è riuscita a provare la trasmissione del pensiero tra i topi, informa l’altro mercoledì Massimo Vincenzi su “Repubblica”. Dunque, i topi pensano, non ballano più?

Affarismo

Stabilità propone Antonio Polito come un valore. Sul “Corriere della sera”, giornale di Milano, il giornale e la città che più si battono contro, facendo finta di invocarla. Polito, che sfonda una porta aperta, non spiega infatti perché non ci si arriva. Chi non la consente. Perché anzi si viene condannati per questo, facendone immancabilmente il piano di Gelli – Gelli? Da venticinque anni.
Solo benefici dalla stabilità di governo. La capacità di progettazione e di esecuzione. La mobilitazione della burocrazia. La semplificazione. Un orizzonte agli affari. Una garanzia alla giustizia. Un qualsiasi programma di governo, per quanto contestabile, sarà più buono dell’attendismo. La burocrazia viene eretta a stupida barriera contro ogni efficienza, mentre il contrario è vero: la burocrazia vuole essere ben governata, impazzisce se non ha governo – indicazioni, direttive, norme. La semplificazione parla per sé: che sia meglio per tutti pagare le tasse sotto tre o quattro titoli invece che per ottanta adempimenti diversi, ogni anno, quanti ne competono a ogni impresa, anche artigianale, e a molti commercianti, è ovvio: ma lo può fare solo un governo che dura, le norme da sfoltire sono una giungla. Che gli affari vogliano un governo piuttosto che la corruzione del non-governo sembra anche questo ovvio – il non-governo è il governo della corruzione (sottogoverno, favori, intrallazzi, abusi).
Che ci voglia un freno alla giustizia è più complesso. Ma è chiaro: “Milano”, lestablishment, l’affarismo, si serve dei giudici, di questi giudici, suoi manutengoli, per alimentare l’incertezza. Infatti, senza che nessuno l’abbia mai criticata apertamente, la stabilità è sempre stata resa impossibile, dai giudici e da “Milano” – non solo dal “Corriere della sera”, bisogna dire, anche dagli altri giornali di opinione.

giovedì 19 settembre 2013

L’Italia ha due destre, più Grillo

L’Italia ha due destre, bisogna pensarci, è questo il suo collo di bottiglia: quella di Berlusconi dichiarata, e quella del partito Democratico. Il governo Letta, delle chiacchiere e dei rinvii, ne è l’espressione giusta. Né lui né il suo partito hanno del resto posizioni di sinistra da far valere. Non sul lavoro, non sulle tasse, non sul reddito, e non  sulla giustizia – che è la base di ogni socialismo. Anche sulla costituzione, che pure è da riformare in molti capi, Letta e il Pd non sanno e non vogliono sapere.
È una destra smunta, poco di destra: non fa le cose che dovrebbe, sul lavoro, le tasse e la spesa pubblica – salva la dignità, avviare tutti al lavoro, rimettere in moto il motore, e poi, quando ci sarà da spartire, rifare le leggi: la legge è fatta per questo, per tenere conto del presente. Ma è conservatrice, in entrambe le espressioni: non cambia mai niente.
Si dice che i loro governi non governano perché il sistema costituzionale non lo consente. Ma non lo modificano. Si limitano a dire, da decenni, che andrebbe modificato. Del resto, non hanno governato neanche quando avevano in Parlamento maggioranze ampie.
Entrambe le destre sono prudenti, si dice anche, per la necessità d’inseguire il voto di centro. In realtà i due partiti prendono sempre gli stessi voti, mentre il resto del voto non è di palude, è anzi molto deciso. Ultima dimostrazione Grillo. 
Grillo si può leggere solo sulla stampa straniera, oggi in un’intervista con lo scrittore Peter Schneider, che conosce bene l’Italia e l’italiano, per il settimanale tedesco “Die Zeit”: sa le cose, è chiaro, ed è deciso. Su tutti i temi, l’euro, il debito, la Germania, Bersani e il Pd, i 19 milioni di pensionati e i 5 milioni di dipendenti pubblici. Ma è un conservatore: si tiene la giustizia così com’è, fascistoide, e la costituzione immutata, compreso il porcellum.

Varianti à gogo su Proust

Varianti à gogo: per il centenario della pubblicazione di “La strada di Swann”, a novembre, si privilegia la lettura di Proust “tra le righe”. Non più in cerca di chiavi, ma dei temi accennati e abbandonati, delle riprese, e della riscrittura. Di questa soprattutto, che Proust praticava infaticabile su ogni dattiloscritto e ogni bozza avesse per le mani.
Il Proust delle varianti assorbirà agevolmente un altro secolo, almeno. Ma il lettore può vedere di che si tratta alla libera consultazione che il sito Gallica.Bnf, Bibliothèque Nationale de France offre sperimentalmente:
Proust. Cent ans de “Recherche”, “Le Magazine Littéraire”, settembre, € 6,20 

Il segno di Rutelli

Questi si vedevano qualche mese fa sul tram a Roma, che è sempre piena di sorprese anche se ha un solo tram.
Quella che sta malferma e ce l’ha con i turisti che sono appena saliti a Botteghe Oscure. Con gli ebrei polacchi, dunque, se non sono israeliani, poiché parlano l’incomprensibile polacco con qualche parola tedesca storpiata, che potrebbe essere yiddisch. Potrebbero venire dal ghetto, che sta dietro la via dei Polacchi. O forse sono buoni cattolici anch’essi e non ebrei, se vengono dalla loro chiesa, che sta in Botteghe Oscure, davanti proprio alla via dei Polacchi.
Questa è l’ultima, prima c’è quella che sulla porta inveisce contro un omone che ingombra l’uscita, chiamandolo, chissà perché, questo animale miscredente. L’uomo si gira con sguardo di pazienza, mettendosi da parte, è un prete.
Prima ancora c’è quello che, come tutti, ha problemi a tenersi in piedi e se la prende con un signore di pelle scura che non gli cede il posto:
- I nostri padroni – è la cosa più decente che dice.
Il nero seduto lo guarda, prima di alzarsi, e poi fa:
- Prego, si sedesse. Ero distratto, vossia mi deve perdonare. – Anche l’accento è marcatamente siciliano.
Ma non è finita, perché il siciliano e il malfermo avviano una conversazione razzista sul perché non bisogna essere razzisti. Concludendo:
- La colpa è di Rutelli – del fatto che sui mezzi pubblici di Roma non si sa come tenersi in piedi, non ci sono appigli. Anche se il sindaco è ora Alemanno, dopo Veltroni succeduto a Rutelli. Che potrebbe essere un complimento: Rutelli ha lasciato il segno. 

mercoledì 18 settembre 2013

Il mondo com'è (147)

astolfo

Democrazia – Non è automatica. Al contrario: il suffragio universale si scontra con la capacità delle masse di governarsi. Cioè con l’incapacità. Fenomeno durevole e impollinante. È questo il problema del Sud, che arriva troppo tardi al parlamentarismo, dopo millenni di signoraggio e vita chiusa nei paesi. Ma è il problema, sia di sottogoverno come in Italia sia, peggio, di capacità di libertà, anche della Germania. Anch’essa arrivata tardi alla democrazia.

Geografia – Non s’insegna più a scuola, proprio ora che l’epoca si vuole naturalistica. Ma resta all’origine di buona parte delle politiche mondiali, guerre comprese. Se non delle “politiche ecologiche”, che allo stato sono più che altro un business, di nessuno o scarso effetto. Resta all’origine anche dei “destini” dei popoli. Qui con riserve, ma non senza ragioni.
Tutto il dibattito meridionalista e antimeridionalista in Italia si può dire basato sulla “Storia degli Stati Italiani dalla caduta dell’Impero Romano fino all’anno 1840”, pubblicata a Firenze nel 1842. Forse indirettamente, ma allora con più peso alle ragioni di “Enrico Leo” - un discepolo di Herder e di Karl Ritter, il geografo considerato all’origine della moderna geografia, con Alexander von Humboldt.

L’Italia è divisa in due, argomentava Leo, perché è due distinte Italie geograficamente. A Nord dell’Appennino ha pianure, collegamenti facili, corsi d’acqua irreggimentabili e sfruttabili, per comunicazioni e irrigazione, mercati naturalmente aperti. A Sud è frastagliata e chiusa dai monti, in valli strette, tra corsi d’acqua ribelli: una natura (geografia) che fa insocievoli anche le popolazioni.

Facebook - Vale i suoi soldi, 45 dollari, dopo l’inabissamento del titolo, ora che ha una politica aggressiva. Non più l’amico disinteressato, la piattaforma delle bizze del mondo, ma un venditore aggressivo di spazi pubblicitari, in cerca di lettori-clienti in ogni vano riposto. Anche nei recessi di google, pure così ben protetti.

Islam – La Siria degli Assad, a lungo sostenitrice del terrorismo, come un tempo Gheddafi, ne è ora la vittima. Non è solo una beffa da servizi segreti: prendere le forze terroriste al loro laccio. Né è solo l’effetto apprendista stregone, per cui il terrorismo inevitabilmente finisce per rivoltarsi contro i suoi controllori. Negli snodi che la violenza che si appella all’islam hanno coltivato c’è un ripensamento, per un raggiunto senso del limite nei rapporti internazionali. La pausa, se non il revirement, di Siria, Iran e Pakistan, che con diverse motivazioni e modalità hanno fornito mezzi, coperture e rifugio al terrorismo islamico in Libano, Israele, Palestina, Usa, Europa, e un po’ ovunque nel mondo islamico, riconsiderano in vario modo l’opzione.

C’è una data di nascita del fondamentalismo islamico, ed è “occidentale”. Risale all’assunzione del potere in Pakistan da parte delle forze armate, col generale Zia ul Haq a luglio del 1977. Costruirà  ottomila moschee e cinquemila madrasse, scuole coraniche. Le madrasse erano 270 nel 1947, all’indipendenza, 700 nel 1970, settemila nel 1980 (oggi sono 14 mila).
La sharia tornò in vigore nelle zone tribali della North West Frontier e del Waziristan. Era ache l’unica forma di legalità ivi possibile. La sharia  ai “passi” kiplinghiani è all’origine dei talebani. La loro prima manifestazione fu di dichiarare il Waziristan “emirato islamico”.

“La crisi dell’islam” di Bernard Lewis è stata pubblicata ne 2003, nel dopo 1 Settembre, ma viene da lontano, dall’avvento di Khomeini, e resta incontestata.
Sentirsi minacciati dall’islam è segno al più della decrepitudine dell’Europa, che avendo goduto di un periodo di pace senza precedenti ha dimenticato i veri conflitti. Il terrorismo è gangsterismo, nell’islam attuale, anche se beneficia del sostegno di alcuni governi.
Lo schema Noi e Loro di Oriana Fallaci non funziona. Il Loro è composito - il Noi pure, e anche molto. Le tesi di un best-seller possono fare la verità, in un’epoca frastornata dalla “comunicazione di massa in massa”, dall’immediatezza, ma non sono la verità.

Antimodernista, è antiborghese. C’è una ragione precisa per cui nessun regime politico rappresentativo, con elezioni pubbliche, ha attecchito nei paesi islamici. Neppure in quelli più a lungo o più strettamente legati all’Europa e all’America. Non in Libano, né in Giordania, Egitto, Tunisia, Algeria, lo stesso Marocco, per più aspetti la stessa Turchia. Per non dire della penisola arabica e dell’Arco della Crisi. Il Marocco, con la politica dei passi minimi, che solo il sovrano in definitiva protegge, ne è la conferma: le società islamiche, che il colonialismo aveva forzato nel senso della polverizzazione della società, in qualche modo forzandole alla rappresentanza politica, si sono rapidamente neo tribalizzate dopo l’indipendenza.

Onore – A lungo monopolizzato dal fascismo, ora dall’illegalità nelle mafie.

Sovietismo – Non si può dire morto col Muro: c’’era prima del sovietismo propriamente detto e gli sopravvive, largamente. Anche fuori dalla Russia: è, senza la polizia segreta, la burocratizzazione, istituzionale, sociale e individuale. Qui col controllo indiretto delle coscienze: il politicamente coretto vi concorre, per esempio. O lo stesso ordine che si vuole di mercato: un prodotto, una tipologia di prodotti, uno standard qualitativo, una procedura, non imposti ma è obbligati.

astolfo@antiit.eu 

Il diamante grigio, antenato di “Sostiene Pererira”

Una maratona affannata, in grigio. Quasi un libro “Cuore” della letteratura catalana. Riedito qui con un’introduzione di Sandra Cisneros e una postfazione di Giuseppe Tavani. Che ne fa una nuova traduzione, dopo quella di Giuseppe Cintoli nel 1970 per Mondadori, e quella di Anna Maria Saludes per Bollati Boringhieri nel 1990.
Sandra Cisneros è andata a vedere piazza del Diamante a Barcellona e non l’ha trovata, non come la fantasticava, come se il racconto fosse una cosa reale e non un delirio. Ma la sua ricerca è sintomatica: il lungo racconto segna il ritorno alla narrativa della scrittrice catalana, nel 1962 a Ginevra, dopo un quarto di secolo di esilio dalla Barcellona franchista e di silenzio. Sul canone neo realista allora in auge nella letteratura “latina”, dove il racconto dev’essere dolente, dei balli compresi, gli innamoramenti, i baci, i figli, e la stessa repubblica rivoluzionarioa. Il neo realismo vuole tutto virato sul grigio, di colpe e, peggio, di complessi oscuri di colpa, senza gioie, che se ci sono si soffocano: vite senza orizzonte e senza luce, senza storia in definitiva, e senza spessore, il famoso mondo piatto di Abbott, o a una dimensione – ma in altro senso – del contemporaneo Marcuse, anch’egli allora in auge. Senza elevazioni, né metafisiche né retoriche, né addensanti politici, ideologici, ribelli: “realistici” cioè sofferenti. Secondo il vecchio canone del verismo soprammesso a un certo “impegno” politico, derivato peraltro dal sovietismo.
Sono narrazioni monotematiche, per cancellazione di memoria più che per concrezione: per censure. Non vite perdute: vite non vissute, seppure di fretta. Natàlia,  “Colombetta”, ha momenti lieti, confrontandosi, prima che con un marito buono senza palle, con un uomo che è “l’argento vivo”, seppure con “quel qualcosa che tendeva a far soffrire”. Ma non fa mai alzare la testa al lettore: qualsiasi storia comincia nei 49 capitoletti sa già che finisce male. Vive-scrive però di corsa. E intervalla il disgraziere di humour e fantasie, la cifra anteriore di Mercé Rogoreda, che le aveva dato premi e fama prima delle guerra civile, e che riprenderà nei racconti successivi a questa parentesi – “Piazza del diamante” avrà un sequel quattro anni dopo, “Via delle camelie”. E tiene il lettore avvinto. Una lunga carrellata in soggettiva, si direbbe al cinema, di grande virtuosisimo.  
Il romanzo è un classico catalano. O meglio un libro di culto. Anche in Italia, se ogni vent’anni se ne fa una riedizione. Cisneros ne ha saputo da un parcheggiatore texano. Tabucchi ne fu stregato, prima di Garcia Marquez. Anche se non ricorda bene. Ha scoperto Rodoreda con questo romanzo “alla fine degli anni  Sessanta” e ha tentato invano di proporlo in Italia, dove “c’era un ambiente ostile al romanzo”, ma non se ne stava facendo la prima traduzione, che uscì nel 1970? Anche lui è andato alla piazza del Diamante, e ce l’ha trovata e vi s’è commosso, dice, ma forse era molti anni fa. Ne è rimasto, però, fulminato forse non senza effetto, a distanza: “Sostiene Pereira” forse deve molto a Rodoreda, a questo racconto, ha lo stesso ritmo, della frase breve, e si svolge come una lunga carrellata, seppure con punto si vista sghembo, di una terza che è anche una prima – e col presente invece dell’imperfetto: una soluzione, o “la” soluzione, al discorso indiretto libero che tormentava Pasolini.
Mercè Rodoreda, La piazza del diamante, Beat, pp. 203 €9

martedì 17 settembre 2013

Non toccare Rodotà

I pasdaran della Costituzione, Grillo e Rodotà, sono contro il voto segreto al Senato.
E alle elezioni?
Rodotà, ancora uno sforzo!

Filologia a perdere sullo spirito tedesco

La guerra era attesa in Germania nel 1914, per la primavera. Curtius e Pasquali ne ebbero separatamente preavviso, Serajevo fu solo un incidente. Ma è detto en passant, tra il quadretto di questo o quell’accademico, e altri ricordi, magari di come all’epoca si stava a tavola. Gli antichisti si divertono, Ludwig Curtius che aveva scritto le “Memorie”, nel 1950, e Pasquali che qui lo recensiva, nel 1952.
Una “recensione” curiosa, soprattutto di sé, e lunga, un altro libro di memorie. Duecento pagine di narrazioni, a specchio dei ricordi dell’amico, anche vive: della famiglia, di Roma, di Firenze, di Forte dei Marmi, degli studi in Italia e in Germania, degli antichisti, i “magnanimi” e i “parvanimi”. Di una serie di italianofili di grande rilievo, di cui naturalmente in Italia non si coltiva la memoria: Giorgio Kano, gli Hildebrand, altri. Degli artisti, anch’essi dimenticati, con villa-studio sui colli a Firenze. Della vita privata in Italia a fine Ottocento: gli usi e i tic della famiglia borghese, le interdizioni alimentari - di acqua e frutta. La sfilata pomeridiana in carrozza al Corso, con la regina Margherita e, qualche volta, il re Umberto – rigido e incapace. La villa cardinalizia romana e le ville di artisti (stranieri) a Firenze. Il bagno vestiti, al mare e nei fiumi.
La forma recensione si presta, Curtius fu personaggio vivace. Cominciò come precettore di “Willi”  Furtwängler, il futuro maestro, figlio di un direttore di museo. Fu archeologo in Grecia (Egina) e Turchia, spione in guerra in Grecia e in Bulgaria, e dal 1928 direttore dell’Istituto Germanico a Roma, per dieci anni fino a che Hitler non lo destituì, su denuncia di alcuni borsisti-allievi – ma di questo si sa per caso, come pure di Hitler al potere, che quando venne a Roma Curtius si era rifiutato di omaggiare, benché ne fosse funzionario. 
Un atro mondo, che pure fu Italia fino all’immediato dopoguerra. De Sanctis lamentava nelle note autobiografiche negli anni 1850 un’università a Napoli clericalizzata, con l’obbligo di certificare la messa domenicale e la comunione. La stessa cosa attesta Pasquali, senza citare De Sanctis, per i suoi anni 1950, a Firenze e Roma. Anche i laghi Prespà, tra Grecia e Albania, si può testimoniare, sono di fascino immutato. Ma molto non è detto, o trascurato, o minimizzato: i filologi soprattutto si divertono, lievi, cioè superficiali.
Molto si dice di Roma, scontato per due romani, di buono (“è la prima città umanistica del mondo”) e di cattivo. Cioè superficialmente. Così come nelle tante notazioni sui caratteri degli italiani e dei tedeschi, più ridicole che assurde. Da parte di due che non credevano a queste generalizzazioni – “nulla al mondo è più difficile a intendere che un popolo”: recensito e recensore fanno a gare nelle grossolanità (banalità) sui caratteri nazionali. Anche il titolo è ambiguo: dà conto della forma recensione, ma è come se: 1) Pasquali avesse scritto una storia dello spirito tedesco, e 2) lo “spirito tedesco” fosse stato a lui contemporaneo. Mentre è solo un’eco dello “Spirito tedesco” di Benedetto Croce  germanofilo dieci anni prima, che non si cita – uno spirito traviato che Croce, con meno curve del germanofilo non pentito Pasquali, riporta alla mancata latinizzazione della gran parte della Germania, e a Lutero, all’io-e-il-mio-Dio.
Curioso ripescaggio di una recensione. Riproposta per i sessant’anni in edizioncina paludata, con molte note e tre introduzioni, di Giacomo Devoto, Eduard Fraenkel e Marco Romani Mistretta, tutte a loro volta con note. Fra le curiosità, la mancanza di un inquadramento del Curtius – che il lettore configura come uno spirito all’avventura, mentre non lo era. E nessun accenno, né in Paquali né nei commentatori, al contemporaneo e più celebre Ernst Robert Curtius, l’inventore del topos  letterario e autore del già celebre “Letteratura europea e Medioevo latino”- non erano parenti, ma s’incontrarono, si studiarono?
Giorgio Pasquali, Storia dello spirito tedesco nelle memorie d’un contemporaneo, Adelphi, pp. 260 € 16

lunedì 16 settembre 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (181)

Giuseppe Leuzzi

Al primo Parlamento italiano si pensò di candidare Verdi. Che rifiutò. Cavour allora prese la questione in mano e gli scrisse. Adducendo questo motivo, in aggiunta al “decoro del Parlamento” e al “credito al gran partito nazionale”: “Ne imporrà ai nostri immaginosi colleghi della parte meridionale d’Italia, suscettibili d’i subire l’influenza del genio artistico più assai di noi abitatori della fredda valle del Po”.

Le persone più felici vivono al Nord, assicura l’Onu: Danimarca, Norvegia, Svizzera, Olanda, Svezia, Canada, Finlandia, Austria, Islanda e Australia. O l’Australia è al Sud?

A Landiano, comune di Novara, i dodici bambini “non etnici” della locale scuola sono ritirati dai genitori, per salvaguardarli dai venticinque altri alunni, rom. Landiano è comune con 600 abitanti, e ha la scuola. Per 35 bambini
Dieci anni fa la scuola andava chiusa, e i landianesi pregarono i rom più vicini di mandare i loro figli a scuola per scongiurare l’evento. Canicattì?

Il Nord criminale
Si fa periodicamente caso del Nord criminale quando è possibile incriminare qualche ‘ndranghetista. Ogni due o tre anni. Qua e là. Nello hinterland di Milano. O di Torino. O di Imperia. È giusto, la giustizia segua il suo corso. Ma sapendo di che si tratta c’è da sorridere: voti di scambio prevalentemente. In cambio di qualche appalto, non di gran conto, uno o due milioni, oppure di niente. Non c’è invece un Nord criminale dove lo è, al centro del potere, politico ed economico, e di sostanza. La Popolare di Milano, il Monte dei Paschi e la Cassa di Risparmio di Genova. La Milano-Serravalle. I Riva. I Ligresti. La Saipem e la Finmeccanica. La Lega. La Regione Lombardia.
L’elenco del crimine al Nord è lungo, e  non può essere esaustivo, ognuno lo sa che viva in Italia. Si fanno i nomi di ciò che emerge, ma si sa che molto del resto è criminale. Si può arguire che si ruba al Nord perché al Nord ci sono gli affari. Ma ci sono anche al Sud, pochi ma non così corrotti. Mentre in conto al Nord vanno pure messe alcune Procure della Repubblica, conniventi: la Procura di Milano, così selettiva, quella di Siena, quella di Genova. Non esclusa la chiesa, specie la curia milanese: la questione San Raffaele, fosse don Verzé colpevole o fosse innocente, è comunque un peccato, grave.

Il Nord virtuoso
Si propagandano elettrodomestici tedeschi che, sotto forma di “economia” e “protezione dell’ambiente”, impegnano al picco una potenza di 3 kv, anche di più. Il massimo della potenza installata nel 90 perento delle abitazioni. Che sono quindi obbligate a stare al buio quando la lavatrice gira. Oppure passare a 6 kv, raddoppiando – più o meno – i costi di esercizio.

Le auto tedesche si vogliono sempre supercar, piene cioè di gadget. Inutili per lo più. Con spreco di materiali plastici e ferruginosi. Prodotti solitamente nel nome della protezione dell’ambiente. Un altro buon motivo per farle pagare di più, contenti.

È in corso nella Ue l’europeizzazione dei dottorati. Seminari intereuropei e corsi settimanali sono tenuti qui e lì, non necessariamente in sedi universitarie. Sono occasioni anzi per i docenti, i dottorandi  essendo pochi, di combinare insegnamento e vacanziella. Ma allora più nel Nord Europa: si programmano corsi in Danimarca, Norvegia, Islanda, i paesi non dell’euro che per questo sono carissimi, e dove quindi a proprie spese non si potrebbe viaggiare. Benché inclementi.  

Si programmano i dottorati europei in posti settentrionali di preferenza, più o meno desolati – grigi, umidi, isolati in campagna – che si pretendono naturalisti e romantici. Il naturalismo ci vuole, è il trademark del millennio. Anche per questo, allora, in alloggi di fortuna, del tipo ostello, con letti a castello, con servizi collettivi, anche il lavandino. Ma carissimi, come un albergo di lusso.
È un abuso, al modo settentrionale, non cinico e anzi meritorio, dei fondi Ue.
È anche una forma di autarchia: il Nord è insofferente di doversi “fare le vacanze” al Sud.

Gi appalti sono inutili
Gli appalti pubblici non sono il volano di niente. Non dell’imprenditoria, non dello sviluppo, neppure in forma di infrastrutturazione. È stato il più grosso, e grave, equivoco delle politiche dello sviluppo dle terzomondismo: l’investimento pubblico come radice fruttifera e motorino d’avviamento e volano dello sviluppo.
L’investimento pubblico è fine a se stesso, un passaggio di denaro. Allo stesso modo della finta occupazione, opere “pubbliche”, lavori socialmente utili, consulenze, le tante società comunali per incarichi remunerati. Senza effetto se non il passaggio di denaro che comportano. Non migliorano i servizi, non creano professionalità, non migliorano gli standard, abbassano quelli in essere e in qualche modo attivi. Sono anche sterili politicamente, e diseducativi: E sono semrpe sterili politicamente: i beneficati dai quali non si richiede nulla non si riconosceranno profittatori, diranno concussori i benefattori -, il sindaco, l’assessore, il consigliere provinciale o regionale, il parlamentare
Anche le strade, le scuole, la salute, le attività culturali possono essere fine a se stesse, come gli appalti e le assunzioni. Se non rientrano in una struttura d’insieme che ne metta a frutto il potenziale e ne assicuri la ricarica. Molte iniziative sono peraltro fine a se stesse, dichiaratamente: premi, festival, dispensari, guardie mediche, corsi di formazione posticci. Perfino l’investimento nell’istruzione può essere fine a se stesso, se non è gestito – cosa rara, nelle infrastrutture come nell’insegnamento. Quando non è dichiaratamente un postificio, per dare posti di bidello o di insegnante, degli stipendi.

L’investimento pubblico non crea le condizioni dello sviluppo. E funziona solo dove queste condizioni sono consolidate, o tentano di radicarsi. La scuola di musica di Delianuova, divenuta celebre nazionalmente per le attenzioni del maestro Muti, è “privata”: di un’associazione, dei contributi delle famiglie, della passione che sa instillare nei ragazzi. In dieci anni ha formato oltre un  centinaio di ragazzi, raggiungendo buoni livelli performativi. La sua orchestra di fiati è stata invitata in Toscana, in Sicilia, in Puglia, a Reggio Calabria per il centocinquantenario dell’unità, e a Ravenna, al festival del maestro Muti – nelle ultime due esibizioni diretta dallo stesso muti. L’investimento pubblico, di  Comune, Provincia, Regione, Comunità montana, Parco dell’Aspromonte, si segnala per le promesse non mantenute, tutte.

leuzzi@antiit.eu


La scrittura non è eccezionale

Perché scriviamo, e ora anche pubblichiamo, su amazon non costa niente, in tipografia pochi euro, quanto un biglietto per la partita? Perché ci piace, e questa è l’epoca dei piaceri, molti sono anche cuochi, ballerini di tango, maratoneti. Ma il tema è d’obbligo nella sociologia della letteratura, di cui è l’oggetto – quindi eccezionale, misterico, salvifico.
“Narciso, di più”, diceva Forni vent’anni fa dei suoi interlocutori, per lo più donne. Ma leggendo le loro “vite”, non immaginarie, sono di un’umiltà disarmante, seppure vantino corone di premi. E si sa come vanno queste cose: i premi sono per lo più riconoscimenti fra amici. Una cresta ci viene solitamente fatta sopra, ma modesta. Nulla di scandaloso, dunque.
Sono diverse le risposte degli scrittori nella rivista di Camon. “Scrivo perché mi sento l’essere più infelice del mondo”, Cerami. “Forse si scrive per sapere perché si scrive”, Orengo. “Forse scrivo per una forma di scongiuro contro la morte”, Siciliano. “Perché mi piace leggere”, Benni. Ma molti scrittori non leggono, o pochissimo. Un’inchiesta inutile. Anche a futura memoria, come documentazione.Proust, per esempio, riscriveva sempre.: ogni volta che aveva in mano una bozza, la riscriveva da cima a fondo – di(ri)leggeva e (ri)scriveva..
Forse è difficile far vivere gli scrittori, se neppure chiedergli perché li rianima. Ma perché ritenere la scrittura un fatto eccezionale?
Perché scrivete? Rispondono 109 scrittori italiani, “Nord-Est” n. 6
Alberto Forni, Autobiografie di scrittori non illustri

domenica 15 settembre 2013

Il dissidio dello spirito tedesco con la libertà

Pubblicato nel 1944, insieme con altri scritti più brevi (“La Germania che abbiamo amato”, “La guerra come ideale”, “I doveri e il dovere”), l’opuscolo è l’autodifesa di Croce, da germanofilo, di fronte alla guerra di Hitler, e agli orrori dell’occupazione. Stranamente non superato da settant’anni ormai di storia europea, a partire dal titolo.
C’entra la mancata latinizzazione di tre quarti della Germania, ma non solo. Il nodo è un’egemonia che non vuole liberare e associare ma asservire – “nominor quia leo” La Germania Federale qualche lezione nei trent’anni della guerra fredda l’ha imparata. Ma il fondo riemerge, ora che l’Europa non ha più federatore esterno, non più Stalin e nemmeno gli Usa, proiettati con la globalizzazione sul Pacifico – l’Europa, con gli arabi e Putin è il cortile posteriore, il pollaio.
Anche le curiosità non sono obsolete. A Croce nel ‘31 Thomas Mann, dedicatario della “Storia d’Europa”, una storia di libertà, ridimensionò il pericolo Hitler. Ancora pochi anni prima, si può aggiungere, Thomas Mann la democrazia voleva ostile, rea di “estirpare lo spirito tedesco in Germania”. Lo stesso Croce quattro anni prima, antifascista celebre e per questo “onorato di lauree e di diplomi”  dalle accademie in varie città della Germania, non trovò interlocutore che non gli chiedesse ammirato di Mussolini. Che veniva anche osannato dai paludati Preussische Jahrbücher, gli annali prussiani, ricorda qui il filosofo stupito, quale “disturbatore della pace europea”.
Benedetto Croce, Il dissidio spirituale della Germania con l’Europa

La recessione – 6

Tutto quello che dovreste sapere ma non si dice:

Cinque miliardi di ore di cassa integrazione in cinque anni. Un miliardo in media l’anno, 140 milioni di giornate lavorative. Che per 200 giornate di lavoro in media nell’anno, fanno 700 mila disoccupati mascherati.

Meno 2,4 nel 2012, meno 1,8 nel 2013, l’economia va sempre indietro. L’Italia è l’unico paese in recessione nei due anni tra i sette paesi più ricchi.

In tre anni, dal 2010, l’Istat rileva un milione di occupati in meno al di sotto dei 35 anni. Tre quarti della cifra, 750 mila, sono gli occupati in meno nella fascia 25-34 anni: i laureati.

Nei primi otto mesi dell’anno diecimila fallimenti: 45 al giorno. Duemila in più che nei primi otto mesi del 2012.

Nei primi otto mesi 14.200 negozi hanno chiuso. La statistica a consuntivo raddoppia le stime: sessanta negozi chiusi ogni giorno.

Chiudono anche le Coop. L’Ipercoop Tirreno, la Coop Adriatica e la Coop Estense sono in stato di crisi – possono licenziare: hanno già licenziato 320 lavoratori.