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sabato 26 ottobre 2013

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (187)

Giuseppe Leuzzi

Breve storia dell’Italia
Il guerrigliero Garibaldi fece la guerra di liberazione per conto di un conte.
Mentre il suo re, il re del conte, si dedicava agli amori ancillari.

Mafia
Un vecchio “Messaggero”, del 3 luglio 1950, presenta Giuliano come un argine alla terza guerra mondiale. Con la nuovissima bomba H e la messa al bando dei comunisti, per completare i suoi disegni.
Giuliano il bandito. “Il Messaggero” allora moderato e anticomunista.

Si fa molto il caso delle ecomafie, dei bidoni velenosi che si vanno a cercare nascosti sul fondo del mare o negli anfratti di montagna, e talvolta si trovano, anche se non si sa se infetti o arrugginiti. Fa parte dell’immaginario metropolitano-quotidiano, che nell’epoca della crisi (non di quella economica, di quella politica e morale) è scontato e anche giusto che viri sul catastrofico. Ma sempre si evita l’ipotesi più catastrofica e più verosimile di tutti: l’avvelenamento terapeutico. Di medicine e medicinali, nonché degli additivi alimentari, che sicuramente sono all’origine di tante epidemie - tumori, sla, sistema muscolare e nervoso, disturbi della memoria.

“Ne sa qualcosa Antonio Concas, 55 anni, sindaco pd di Pioltello, un ex sindacalista Cgil figlio di un minatore del Sulcis, duro e roccioso come la terra d’origine”, racconta Giuseppe Di Piazza su “Sette” ieri della ‘ndrangheta nello hinterland milanese: “«Un paio d’anni fa sono venuti da me e hanno chiesto di aprire una sala giochi. Uno dei due era il fratello di uno ‘ndranghetista condannato al 41 bis. Ho preso atto della richiesta e sono andato in Consiglio comunale: per fermarli, abbiamo subito approvato un regolamento che proibiva di aprire sale giochi a 200 metri da luoghi sensibili, scuole, centri anziani, centri di aggregazione giovanile… Ma il Tar ha bocciato il regolamento. Incredibile. Dopo qualche tempo , i due sono tornati e mi hanno ripetuto che volevano aprire una sala giochi, ma stavolta in un centro commerciale davanti alla stazione. Così sono andato dal questore di Milano, da cui dipende l’autorizzazione finale, e gli ho raccontato la vicenda. Dal suo sguardo, e dalla legge che mi ha subito dopo citato, ho capito che avevo perso: esiste infatti una norma che autorizza in ogni caso ad aprire le sale giochi dentro i centri commerciali, a prescindere dai regolamenti dei Comuni».
“A questo punto il sindaco Concas, che non è tipo da rassegnarsi, comincia a fare melina, prendendo tempo. I due tornano in Municipio e stavolta, con un fare un po’ più deciso, gli spiegano che se non dà l’autorizzazione potrebbe finirgli come a quel suo collega di un Comune piemontese, trascinato in tribunale e costretto a pagare, in solido con le casse pubbliche, un milione e mezzo di euro per danni. Risultato: la sala giochi oggi è aperta”.

La criminalizzazione del Sud (Bobbio, Bocca, Bossi) e l’uso politico dell’antimafia (Arlacchi, Cordova, Orlando) hanno “segato” le regioni meridionali, e di più le aree a forte densità mafiosa. Era difficile vivere onestamente al Sud prima, e cioè lavorare, viaggiare, produrre, progettare, è impossibile oggi: praticamente chiuse le banche e le assicurazioni, il fiato dei carabinieri e dei giudici sul collo delle istituzioni e degli onesti, impediti il voto e l’associazionismo pena l’associazione mafiosa, e pure l’impresa, poiché bisogna rispondere dei carichi pendenti (non delle condanne, delle accuse), dei familiari e associati di ogni dipendente. Hanno credito, coperture assicurative e libertà d’impresa solo uomini e gruppi mafiosi.

Rosy Bindi è stata capolista del Pd a Reggio Calabria, dove è andata per qualche ora un paio di volte, portata da Marco Minniti.
Anche della mafia, dice, non so nulla. Possibile?

Sudismi\sadismi
Il triveneto Stella attacca questa settimana, di tutta la Calabria, l’università di Cosenza: dà lauree false, a studenti cretini. Leggere per credere:
Il rettore dell’Università, Latorre, per difendersi, scrive a Stella. Che tre giorni dopo rincara: perché gli studenti calabresi vanno fuori invece di andare tutti a Cosenza? Un argomento che fa il paio col precedente: l’università fu fondata dal “trentino Beniamino Andreatta e il romano Sylos Labini”. All’insaputa dei calabresi?
Ma perché scrivere a Stella? Che sta lì per “salare”, si diceva una volta, i calabresi, brutti, cattivi e anche stupidi? Per “uscire” sul “Corriere della sera”: niente esiste in Italia senza Milano, la Calabria meno di tutto.
“Salare” ora si dice cobbler, come nel caso dell’Antilope.

È svedese, quindi ha ragione
Cecilia Malmström si è ricordata degli emigranti che muoiono in mare per rimproverare l’Italia. Minacciando di farle causa.
Sono morti non molti giorni fa alcune centinaia di africani nel mare di Libia, altri ne muoiono quasi ogni giorno, ma Cecilia Malström trova la parola solo per minacciare una causa all’Italia (a Bruxelles si chiama “procedura d’infrazione”), perché Lampedusa non tratta bene gli immigrati. Bisognerebbe spostare i lampedusani da Lampedusa, per fare un po’ di posto agli immigrati, ma la ministra non si pone il problema.
Malmström non è nessuno, è il “ministro” europeo degli Interni. Facendo la faccia feroce, dice che l’Italia ha avuto, “nel 2007-2013, per esempio, 478 milioni di fondi Ue per gestire i flussi migratori e dell’asilo, e 136 milioni di fondi speciali per la gestione speciale dei confini”. Dunque, 612 milioni in sette anni, 88 l’anno. E dice che l’Italia non è il paese che subisce più pressioni: “Delle 330.000 richieste d’asilo nel 2013 compilate nel 2013 , il 70 per cento è stato registrato in cinque Stati-membri, Germania (75.000), Francia (60.000), Svezia (44.000), Belgio (28.000) e Gran Bretagna (28.000). Nello stesso periodo l’Italia ha ricevuto 15.700 richieste”.
La commissaria non sa di che parla, oppure bara. I fondi europei per l’immigrazione sono così divisi:
per  i rifugiati (2008-1013) 623 milioni - l’Italia ne ha avuti: 36,6 (la Svezia 94,3, la Francia 69,4, la Germania 65,1);
per i rimpatri (2008-2013) 681 milioni – l’Italia ne ha avuti 43,8 (la Grecia 121,5, il Regno Unito 98,9, la Spagna 73,7, la Francia 68,9);
per l’integrazione (2007-2013) 825 milioni - l’Italia ne ha avuti 148,7 (il Regno Unito 121,4, la Spagna 112,4, la Germania 95,8);
per le frontiere esterne (2007-2013) 1.908 milioni – l’Italia ne ha avuti 211,6 (la Spagna 289,4, la Grecia 207,8, la Francia 116).
In totale, l’Italia ha speso fondi Ue per gli immigrati per 440,7 milioni. Poco più del 10 per cento del totale dei fondi messi a disposizione dalla Ue. Non è molto, ed è molto meno di quanto Malmström dice. Lampedusa ne ha avuti un centinaio, poco più della metà dei 170 milioni mandati alla Ue alle isole Samoa, 1.30 euro per samoano. 
È tuttavia Cecilia Malmström ha ragione: può dire indisturbata quello che vuole, perché è svedese. Il “Corriere della sera” se ne fa megafono per conformismo di sinistra?  No, la signora è liberale, cioè di destra. No, è bella-e-buona perché è svedese.

Sciascia qualunquista
A prima vista ridicola, la lettura che Joseph Francese, l’italianista dell’Università del Michigan, dà della concezione politica di Sciascia come si proietta dalla novella (ex romanzo) “L’antimonio” (un progetto di romanzo poi confluito come racconto nella riedizione 1961 della “Gli zii di Sicilia”, 1958), non è senza argomenti, e apre delle finestre chiuse. Lo studio di Francese, del 2009, s’intitola “Onore, «qualunquismo» ed essenzialismo ne «L’antimonio di Sciascia», ed è compreso nella raccolta ora tradotta “Leonardo Sciascia e la funzione degli intellettuali”. Il compendio col quale il saggio si presentava in rivista alla prima pubblicazione ne sintetizza bene il punto:

“Il fatalismo del protagonista di una delle prime narrative pubblicate di Sciascia, «L’antimonio», riflette la sua propria essenzialistica certezza di un modo di essere siciliano atemporale. Se letto alla luce di una delle prima sue dichiarazioni di poetica, «La sesta giornata», «L’antimonio» mette in rilievo posizioni che resteranno costanti nella successiva carriera di Sciascia e caratterizzeranno la sua opera, narrativa e non. La preoccupazione del protagonista di mantenere l’onore gli consente di evitare l’umiliazione pubblica associata al tentativo di trasformare una imponente struttura di potere, nel caso il Fascismo. Nello stesso tempo, preservare l’onore personale salva il protagonista dalla vergogna, fenomeno intra-psichico. E lo porta a evitare ogni forma di azione collettiva, anzi a esibire profonda disaffezione e sfiducia verso tutta la politica e i politici, un interclassismo caratteristico dell’Uomo Qualunque….”. Tutto narrato con l’Io: Francese traccia le somiglianze tra la narrazione in prima persona e il sentimento giovanile della politica in Sciascia.

leuzzi@antiit.eu


L’inutilità dell’utile

Ora dominante, nella forma del debito con le banche e le finanziarie, ma non da ora: la signoria dell’utile nella forma del denaro era irrespirabile già nel Settecento. Ordine cita Rousseau: gli “antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù; i nostri non parlano che di commercio e di denaro”. E Diderot: “Tutto ciò che non è utile viene disdegnato, il tempo è troppo prezioso per perderlo in speculazioni oziose”. O già nel Cinque-Seicento, con lo Shylock di Shakespeare. Ma ora certo con più durezza, la nostra vera storia è contemporanea.
Ordine ripropone il quesito: “I debiti contratti con le banche e con la finanza possono avere la forza di cancellare con un solo colpo di spugna i più importanti debiti che, nel corso dei secoli, abbiamo contratto con chi ci ha offerto in dono uno straordinario patrimonio artistico e letterario, musicale e filosofico, scientifico e architettonico?”  Con la tradizione dunque? Oltre che con la ricerca, la libera educazione. In supporto agli appelli recenti di Settis e Martha Nussbaum - e alla polemica carsica, in questi giorni sul “Corriere della sera”, da quando Paolo VI abolì il latino dalla chiesa, dopo 18 o 19 secoli, cinquant’anni fa. Con un pamphlet che Ordine, infine “scoperto” da Milano,  ripropone con aggiunte e rifacimenti in italiano dopo la straordinaria fortuna riscossa in Francia – dove vanta un vasto catalogo, in collaborazione con Yves Hersant, e un nome rispettato: titolare di Italiano all’Università di Cosenza, lo studioso forse maggiore di Giordano Bruno, è editore dei classici delle Belles Lettres e ha avuto la Legion d’honneur. Con un saggio di Abraham Flexner, il pedagogo sperimentale americano, uno dei fondatori dell’Institute for Advanced Study di Princeton, che documentava nel 1937-39, con aneddoti e con l’esempio dello stesso Istituto princetoniano, come la scienza insegni molto sull’utilità dell’inutile.  
Dell’ignoranza
Si può cominciare con Victor Hugo - cui si deve il titolo, tratto dai “Miserabili” - che spiega alla Costituente del ’48: “Qual è il grande pericolo della situazione attuale? L’ignoranza. L’ignoranza più ancora che la miseria”. Che ora non c’è, almeno speriamo, mentre l’ignoranza è fatta legge, con la riduzione dell’università, ricerca e insegnamento, a modeste attività liceali. V. Hugo qui si può leggere da p. 119 in poi – “la notte può scendere anche nel mondo morale”. Ma è una delle tante “cime” che Ordine traccia, con conoscenza sicura e spigliata, inanellando una serie di citazioni fulminanti, brillanti, spiritose, prima che vere, tra i poeti, i filosofi, gli storici, gli scienziati, sulla necessità-utilità della libera ricerca, della libertà di pensare, sulla possibilità di esercitare tale facoltà. Facendoci fare un bellissimo giro fra le migliori letterature, a cominciare dall’aneddoto semplice di Vincenzo Padula, il narratore calabrese dell’Ottocento, a cui il padre insegna la differenza tra la “a”, di avere, e la “e”, di essere - col merito non secondario di recuperare il reietto Ionesco. Lo “Zibaldone” Leopardi progettava come “Enciclopedia delle cognizioni inutili”, e “Lo spettatore fiorentino”, il settimanale di cui per un breve periodo fantasticò tra il 1831 e il 1832, sul principio che “il dilettevole sia più utile dell’utile”..
Un saggio antiutilitaristico, senza mai nominare Bentham – come forse sarebbe stato opportuno. Bisogna “resistere”, conclude Ordine, “alla dissoluzione programmata dell’insegnamento, della ricerca scientifica, dei classici e dei beni culturali”. Senza liquidare, sarebbe stato più opportuno, l’utilitarismo. Che è tra noi, è lo stesso modo della sopravvivenza, dei classici compresi e della ricerca. E la stessa logica del possesso, che al di fuori dell’ascetismo, e in tutte le forme sociali, è ingrediente necessario della conservazione – del rispetto degli altri se non di noi stessi (lo studente della scuola, per esempio, muri compresi, la scuola sua e quella degli altri). Forse il tradimento è degli intellettuali e non dei banchieri, dei mediatori dell’opinione pubblica, i letterati compresi, al mercato direttamente, indirettamente al conformismo, di cordata, di gruppo, di parrocchia, a cui si sacrifica la creatività, e quindi la libertà.
Della protervia
Politicamente, Ordine si lega al protervo “diritto di avere diritti”, la tarda deriva rodotiana dei burocrati del ’68, quelli che assunsero il movimento senza capirlo. Una deriva che è invece all’origine dell’eclisse della democrazia, come di ogni altra forma di cultura. Ma svolge la sua traccia, oltre che con i classici, di cui è profondo e amabile conoscitore, con Bataille, col suo interminato-bile “Il limite dell’utile”, la logica “antidirittuale” del dispendio, e soprattutto con Tocqueville, Keynes, e la stessa Nussbaum. Che negli Usa - Tocqueville in anticipo, Nussbaum in conclusione - e nel sistema pedagogico americano sentono forti i limiti del democraticismo sregolato. Ora nelle forme del finanziamento anzitutto, della ricerca e dell’insegnamento intesi alla procura di fondi. Nel mezzo, Ordine ricorda Keynes, che nel 1928 profetizzava “un secolo almeno” di sottomissione agli “dèi del male”, avarizia, usura e avidità.
Parliamo dell’inutile che è utile, e anzi indispensabile. Un richiamo all’ordine, cioè ai classici, cioè alle humanitas, che, purtroppo, non è il primo. Ma qui non c’è da dubitare, nessuno dirà mai di no, alla qualità, al gusto, al bello, all’arte, all’ingegno. Mentre la peste è un’altra, non il rifiuto del bello, che nessuno rifiuta, o dell’inutile, da cui tutti siamo affezionati. È lo scadimento del gusto, che trascina lo scadimento del giudizio. Tanto più insidioso ora, rispetto a Rousseau e Diderot, per legarsi alla democratizzazione, al processo di  inclusione sociale là dove una funzione magisteriale non c’è o non si vuole. Per esempio nella Calabria dello stesso Ordine, dove l’“abusivismo di necessità” dilaga, anche contro le regole e gli stessi carabinieri, talmente è incontestato-bile, un anarchismo kamikaze.
Con più incisività nella seconda parte, Ordine pone la deriva dell’università. Il degrado dell’università infetta anch’essa di shortermismo – il risultato subito. Dello studio ridotto all’insulsa e invadente morbilità del “fatevi bene i conti”, che in questo caso è delittuosa. E della sbagliatissima, agli stessi fini utilitaristici, riduzione dell’università a un promovificio: con la separazione della ricerca dall’insegnamento, e la riduzione dell’insegnamento alla promozione del più gran numero di studenti, si rende inutile lo studio. Sembra una barzelletta, e lo è. Ma è anche l’ideologia imperante dell’organizzazione accademica, sull’esempio degli Usa. Dove però il sistema si dichiara in crisi, mentre l’Italia se ne compiace.
Nuccio Ordine, L’utilità dell’inutile, Bompiani, pp. 265 € 9

venerdì 25 ottobre 2013

Ombre - 195

Il Grande Centro con Alfano, Casini, Formigoni, Giovanardi, e sia pure senza Monti, si allarga o si restringe?

Sophia Loren vince la causa contro il fisco dopo quarant’anni. E se non era Sophia Loren?

“Corriere della sera”, “Repubblica” e Rizzoli fanno a gara a propagandare Fini e il suo libro contro Berlusconi. Fini di sinistra fa impressione. Non lui, la sinistra: non è nemmeno D’Annunzio.
Ma, poi, “Corriere della sera” e “Repubblica” non faranno gli amici del giaguaro?

“Se avessi voluto”, pare che Fini abbia scritto nel suo libro, “il 1° agosto non ci sarebbe stata nessuna definitiva condanna”.  Sembra un atto di resistenza e invece è l’ammissione di una colpa grave – in uno stato di diritto. Anche se si sapeva: il partito giudiziario del “facciamoli fuori” è fascista, ex.

Avevamo sbirre bellissime, e soldatesse, e non lo sapevamo. Da quale tempo la tante armi fanno a gara a esibire guardie e ronde femminili nelle piazze e i palazzi romani della politica, Montecitorio, Senato, Dogana Vecchia, etc. : Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Vigili Urbani, Esercito, Marina, Aviazione, Forestali - mancano le guardie carcerarie. Di giovani, slanciate e curate: manichini. Sono parte della rappresentanza? Abbiamo fatto la guerra a Gheddafi per la sua guardia di modelle.

Il criticone Della Valle critica anche Bazoli, che a 80 anni gestisce Banca Intesa e il “Corriere della sera”. Carlo Messina, ad di Intesa, replica indignato, come “tutti noi della banca, non solo io”. Compreso il “Corriere della sera”, cui affida la replica.
Si capisce, Messina è stato scelto da Bazoli. Ma era stato scelto anche perché, a 51 anni, ringiovaniva la gestione.

Grillo ha sdoganato il “vaffanculo”, ma nei giornali e in tv si dice il gesto dell’ombrello. Come chiamarlo nel caso della Cassazione, che, con ben più insolenza di  Maradona, dice che il fisco non doveva mandare in prigione Sophia Loren, non c’era motivo? Dopo quarant’anni, è vero, i giudici sono un po’ come i mafiosi, lo dicono e non lo dicono.

Il governo tiene”, assicura il “Corriere della sera”, “promosso da 4 italiani su 10”.

Il “Corriere della sera” ci fa spiegare martedì la situazione da Fini e Follini con ampie interviste. È giusto, i revenant ci sono, bisogna credere all’aldilà.

I berlusconiani sempre chiedono i danni a Santoro, Travaglio, etc. Li chiedono ai giudici. È un gioco della parti?

C’è da essere orgogliosi per la condanna di Stork, il boia di Cefalonia, “la prima sentenza emessa in Europa dopo quella di Norimberga”, come ricorda Paolo Brogi. Se il condannato non avesse novant’anni. E il giudizio non fosse stato ritardato perché Cefalonia, per cinquant’ani, fino alla presidenza Ciampi, era rigorosamente escluso, contro testimonianze e proteste, dal canone della Resistenza – erano tutti militari.

Martelli dice a “Sette” che “Letta e Renzi scioglieranno (forse) l’ultimo grumo storico dei comunisti italiani”. Mentre il sovietismo è ora dappertutto, ora anche nella Dc, che ha infettato col compromesso. Si capisce che Martelli, bello, non sia mai stato un politico di razza.

“Faciti ‘a faccia feroci” a Bruxelles

È l’irrilevanza dell’Europa che l’Ue ha celebrato col suo politichese, e una farsa di mediocri, l’“ammuìna” e il “faciti ‘a faccia feroci” dell’arte militare borbonica - da cui per una volta l’Italia, bisogna riconoscere, si è astenuta. Con l’indignazione e i vertici sulle intercettazioni Usa. Che non porteranno a nulla, giusto a qualche telefonata di finto imbarazzo: l’Europa conta per Washington meno dell’Iran o della Siria. Molto meno – per non dire della Cina e del resto dell’Asia.
Si moltiplicano in Europa gli editoriali sulla fine dell’impero americano, ma sono riflessi da vecchia guerra fredda. Con l’eccezione, forse, di Angela Merkel, che ha sollevato lo scandalo, come sempre accorta, per far digerire il governo di sinistra dopo quello di destra – per farlo digerire ai socialisti e anche ai suoi, i democristiani. Il socialista Schulz, che presiede il Parlamento europeo, si è spinto a chiedere la sospensione del negoziato per il libero scambio con gli Usa, e questo dà la misura delle pochezza europea: l’Ue ha interesse allo scambio - Schulz stesso è un piccolo politicante (ieri era soprattutto impegnato a pavoneggiarsi con Crocetta e la sindachessa di Lampedusa, che l’avevano invitato in Sicilia, viaggio di cui ogni tedesco è goloso. e da cui spera di essere portato a capo della Commissione di Bruxelles).
La questione è stantia e di poco conto. Se n’è parlato nel 2001, subito dopo l’avvio delle intercettazioni. E poi nel 2003: anche allora il Parlamento europeo minacciava la fine degli Usa, dopo che perfino il presidente della Commissione Ue, che era Romano Prodi, era stato spiato. Per non dire dei servizi segreti nazionali: incapaci tutti? Senza contare che anche i servizi europei spiano senza autorizzazione in Europa. 

Il mondo com'è (150)

astolfo

Giornalismo – “Qui tutto si vuole individuale al massimo e destinato al massimo all’uso della massa”, scriveva Jünger nel 1932, “Der Arbeiter”, la condizione dell’uomo contemporaneo.

Grillismo – Jünger l’aveva previsto? Che nell’“Operaio” del 1932, “Der Arbeiter”, scriveva: “Si comincia infine a vedere che un’umanità molto uniforme è qui all’opera e che il fenomeno degli scontri di opinione deve connotarsi come uno spettacolo che l’individuo borghese rappresenta ripartendo i ruoli. Tutte persone radicali, cioè noiose, il cui tipo comune d’alimentazione consiste senza eccezioni nel monetizzare i fatti in opinioni. Il loro stile comune si definisce come un entusiasmo ingenuo scatenato da non importa che punto di vista, non importa quale prospettiva, di cui essi abbiano l’esclusiva – e dunque come il sentimento di un vissuto unico nella sua forma più svalutata”.

Islam - La democrazia si dice incompatibile con l’islam perché, quella cultura non prevedendo la salvezza individuale, né per i segni della grazia né per le opere, è ad essa estraneo il fondamento della democrazia, l’uguaglianza tra i soggetti. Inoltre, si dice, l’islam è intollerante.
Locke, un tempo, dalla tolleranza escludeva sia la chiesa cattolica che gli atei. Ma è pure vero che sono alcuni secoli che i cristiani non vano più ammazzando nessuno.

Khomeini da mullah di Najaf, o Kerbela, a leader antiscià: erano gli ani Settanta, in cui i gollisti senza de Gaulle tentavano di fare le scarpe all’America in Medio Oriente, promettendo i Mirage a Gheddafi, invitando il re saudita Feisal a Parigi, costruendo per Saddam l’agognata centrale nucleare, e per lo scià, inizialmente, fermandosi al gossip, le amicizie parigine dei Farah Diba, l’organizzazione della festa del bimillenaria del 1972. Carter, Huyser e lo scià. Il Deuxième Bureau francese monta un pulpito a Khomeini a Neauphle Le Chateau, non lontano da Parigi, che presidiano robustamente, aprendogli nel contempo le vie della comunicazione in tutte le forme, discorsi, video discorsi, cassette vide, cassette audio, e provvedendone i mezzi.

Il fondamentalismo è la paura dell’Occidente. Il fondamentalismo è una malattia islamica, ma nutrita e. fino a un certo punto, gestita dall’Occidente. Il mondo arabo era diverso. Donne, fiori, dolci, pederastia, tramonti. Poesia, filosofia, estrema disponibilità – integrazione – all’Europa. Malgrado il colonialismo.

Sex free – L’amore che non vuole sesso. Il movimento,iniziato vent’anni fa nelle università del Sud degli Stai uniti, e risalito un a decina d’anni fa al Nord-Est, il Massachusetts Institute of Technology, a Princeton, e a Harvard, è sempre attivo. Dei “club di astinenza” si formano nelle università. In reazione al permissivismo residuale degli anni 1960. Ma con la pretesa di fare una rivoluzione e non una controrivoluzione: lo Harvard Abstinence Club si chiama “True Love Revolution”, la rivoluzione del vero amore.

Stato-mafia – Già Jünger lo intravedeva, scrivendo nel 1932 la sua anamnesi del mondo contemporaneo, “L’operaio”, senza scandalo, come un dato di fatto: “Si vedono sorgere grandi affaires in cui il giornalista trascina lo Stato alla sbarra della ragione e della virtù, e dunque, in ogni affaire, alla sbarra della verità e della giustizia. Assistiamo anche qui a un’offensiva sottile che prende una forma difensiva, e lo Stato liberale, che non è che un’apparenza, soccombe con tanta più certezza a questa offensiva in quanto essa si svolge al tribunale dei suoi principi fondamentali. Il quadro non sarebbe completo se non si vedesse simultaneamente la relazione che esiste tra la libertà di opinione e l’interesse. Si conoscono perfettamente i legami tra questo genere d’indipendenza e la corruzione. Che, spinta a conseguenze estreme, non disdegna sussidi estranei, intellettuali e finanziari”. Appellandosi, premetteva, alla libertà.
Jünger non poteva conoscere naturalmente il Procuratore Capo Messineo né il suo vice Teresi, ma la procedura sì - da buon cristiano, che sa di Pilato e Caifa.

Terrorismo - Torna, con le celebrazioni del centenario della nascita di Camus, il suo dissidio con Sartre. Nato con la stroncatura, nel numero di maggio del 1952, dell’ “Uomo in rivolta”, il saggio più propriamente filosofico di Camus, su “Les Temps Modernes”, la rivista di Sartre, a opera di Francis Jeanson. Per riequilibrare i pesi con Sartre, che in queste celebrazioni fa figura dello staliniano in malafede, si è ripercorsa da più parti la diversa posizione dei due amici-nemici a proposito del terrorismo. Prendendo come spartiacque più propriamente la questione dell’Algeria che non l’esistenzialismo – lo stesso Jeanson sarà in prima fila nel 1957, nel conflitto allora scoppiato, creando la rete di sostegno all’Fln algerino detto dei “portatori di valige”. Camus, francese d’Algeria, restava in fondo per l’assimilazione, e contrario a “ogni” violenza, non distinguendo fra guerra di liberazione e colonizzazione. Benché nello stesso “Uomo in rivolta” avesse celebrato i nichilisti russi del 1905, e i loro attentati, come “portatori di valore”. Sartre è per la guerra di liberazione. Fino a spingersi nel 1961, nella prefazione ai “Dannati della terra” di Fanon, a concludere: “Abbattere un uomo bianco è dare con una pietra due colpi, sopprimere nello stesso tempo un oppressore e un oppresso; restano un uomo morto e un uomo libero”.
È l’argomento che molta sinistra europea vicina ai palestinesi agita nei confronti di Israele. Sartre si spinse anzi a sostenere nel 1972 i terroristi palestinesi nell’attacco all’Olimpiade di Monaco: gli atleti israeliani erano dei militari, e quindi era un atto di guerra. Salvo dissociarsi nettamente, da ogni punto di vista, qualche anno dopo, dando un’intervista allo “Spiegel”,  dal terrorismo tedesco.

astolfo@antiit.eu

La vera storia della mafia, di giudici e carabinieri

Una storia vera della mafia. Che mancava nella vastissima sociologia mafiosa – strano, ma è così. Nonché nella anch’essa vasta produzione letteraria siciliana. Ora finalmente, per l’autorità di Camilleri, c’è una pietra d’inciampo: non si potrà più dire “non sapevamo”.
I Sacco, gente onesta, subiscono una serie di abusi da parte dei mafiosi come da parte dei carabinieri e dei giudici. Non è possibile? È così. I danni incalcolabili stanno a testimoniarlo: un nipotino accecato, il padre strangolato, vari congiunti uccisi, bestie rapite o uccise, case , stalle, raccolti bruciati, attentati a dismisura, a ogni angolo delle trazzere, contro i fratelli. Che ogni volta vengono carcerati dai carabinieri non come vittime ma come aggressori, con testimoni falsi, di cui gli stessi carabinieri dubitano, e condannati dai giudici invariabilmente. La storia quindi della mafia come un fatto istituzionale, del crimine non perseguito. Di carabinieri inutili: è la vittima che deve trovare i colpevoli, trovare le prove, trovare buoni avvocati, smontare i falsi testimoni, far sopravvivere in qualche modo i propri. E di giudici che angariano le vittime, senza mai un’eccezione – di loro il meglio che si possa sperare è che non siano venduti, solo incapaci.
Un grido d’impazienza, se non di rivolta. Dopo “Giallo d’Avola” di Di Stefano, Camilleri prende coraggio e scrive infine la storia dei fratelli Sacco. Di cui i nipoti gli avevano dato documentazione. Una “banda” di quasi suoi compaesani, vittime novant’anni fa di una serie inimmaginabile di vessazioni, della mafia con i carabinieri e i giudici, da cui uscirono con molti morti e il carcere a vita. Lieve e preciso come nelle migliori occasioni, e con la sintesi derivante dall’esperienza intelligente, Camilleri dice finalmente la verità della mafia, che tutti sottomette, chi ha e chi non ha. Irridendo le distinzioni tra vecchia mafia onorata e nuova: sempre violenta. Una vindicatio anche per ogni cittadino onesto: le parole semplici di Camilleri sono più devastanti di un kalashnikof.
Una storia forte, ma non eccezionale, di ordinaria amministrazione. La vera storia della mafia, quella che tutti hanno in vario modo subito, le vittime di mafia, e tutti lo sono, più o meno, e nessuno aveva finora raccontato. Di violenze e di raggiri. Al coperto della “legge”. Che Camilleri, per precauzione se non per conformismo, lega al fascismo, ma cominciata ben prima, e continuata dalla Repubblica. Se non con le stesse persone, con una serie interminabile di soprusi, Giuliano, Avola, Riina, lo Stato-mafia. Una storia che l’autorevolezza dell’autore renderà infine indispensabile, si spera, a sociologi e opinionisti.
Andrea Camilleri, La banda Sacco, Sellerio, pp. 184 € 13

Delendo Marino

Il partito dei caltagironiani l’ha prima spinto a sottoscrivere i costi maggiorati per la metro C, e ora lo crocifigge. Lo stesso con i vigili urbani. nessuna concessione di Marino sembra bastare al loro sindacato. Con la burocrazia del Comune, il segretario generale e il capo della ragioneria. E sopratutto con i giornali di partito, che a Roma sono le cronache locali dei grandi giornali, “Repubblica” e “Corriere della sera” – per i quali Marino è diventato, spregiativamente, “il sindaco in bicicletta”. Oltre al “Messaggero” di Francesco Gaetano Caltagirone, è di lui che si parla.
Ignazio Marino ha provato a smarcarsi dai partiti nella gestione del Comune, ma il Pd non lo tollera: alzo zero contro il sindaco. Bettini, l’anima dei democrat nella capitale, ha aperto il fuoco e Marino non sa più da che parti guardarsi: non fa delibere, non fa lavorare il Consiglio comunale, si è circondato di inesperti, 75 assuzioni a chiamata diretta, per una spesa di cinque milioni, di stipendi annuali, sarà commissariato… Il prossimo passo dovrebbero essere le dimissioni di uno o più assessori, Flavia Barca per prima.

giovedì 24 ottobre 2013

Real Madrid-Juventus, specchio delle perversioni

Quante cose turpi si vedono in una semplice partita di calcio, e quanto limpide le turpitudini della morbosa Italia appaiono. La squadra di calcio più infetta del mondo osannata come esempio del miglior calcio: la società degli speculatori immobiliari, delle banche fallite socie degli speculatori, e di un Comune corrotto, che paga i calciatori cento milioni. Uno di questi, il calciatore più antipatico del mondo, un simulatore, osannato. Giudice un allenatore italiano che fu pagato da questa società due milioni qualche anno fa per insegnare a contrastare la stessa squadra italiana in una Coppa Campioni. Un arbitro indecente, che dà rigori, espelle, e inverte le ammonizioni, tutto sempre a danno della stessa squadra. Una televisione che si fa forte del pubblico di questa squadra, moltiplicando la pubblicità e il costo della stessa, per fare il tifo, dall’inizio alla fine, per la squadra avversa. La stessa televisione che ha interessi in Spagna legati al Real Madrid, bisogna pur dire la parola – tanto più che ora “real” è in Spagna attributo non onorevole.
Questo Real Madrid fa marcare Pirlo a uomo, dal suo centravanti Benzema. Una curiosità, e anche uno scandalo atletico-tattico, ma Mediaset che fa la cronaca non se ne accorge. Non ne fa cenno neppure Aldo Serena, un commentatore che pure di calcio se ne intende. Il cronista Mediaset Piccinini per tutta la partita non ha occhi e parole che per il Real Madrid, in toni esaltati. E più per l’antipaticissimo Ronaldo. Ronaldo segna in fuorigioco ma Piccinini non lo dice e non lo fa rivedere. Il Real Madrid gioca un tempo in undici contro dieci ma all’ascoltatore che non lo sa non gli viene detto. I cronisti e Sacchi dicono che “in Europa” si danno i rigori per niente – che non è vero. E non dicono che “in Europa” si puniscono i simulatori, e Ronaldo no. Pistocchi fa la moviola ma evita di far rivedere il goal di Ronaldo, e le sue cadute.
Tutto questo a danno di una società che è nemica politica di Berlusconi. Da parte della televisione di Berlusconi. Che così si arricchisce alle spalle dei suoi nemici. Poi si dice che è un incapace.
Gran tripudio di madridisti in festa sugli schermi dopo la partita, Ancelotti, Casillas, festeggiati dai cronisti Mediaset. Scodinzolanti, benché mesti, pure gli juventini ai microfoni avversi, Conte, Marchisio. Ma non gli stranieri, Pogba, Llorente, che sono atleti e non politicanti.
Si capisce che Milano abbia domato Torino, fin dai tempi mitizzati dell’Avvocato e col concorso dello stesso. La tiene ora con la museruola.

Appalti, sanità, difesa, ecco la spesa inutile

Si nominano in successione “eminenti” tagliatori di spesa, Cottarelli dopo l’inutile Bondi, che lasciano passare qualche mese, incassano la consulenza, e se la squagliano col solito ammonimento: la spesa non si può tagliare. Invece di dire: è impossibile rifare i conti. Perché questi controllori non hanno e non possono avere una contabilità loro. Devono fare riferimento ai centri di spesa. I quali tutti non sono nati ieri e sanno come giustificare, intagliabili, ognuno le sue spese. Per cui l’unico rimedio possibile è il taglio lineare, che non risolve e aggrava le sperequazioni.
È uno degli equivoci legati alla figura taumaturgica del “tecnico”, che nella finta democrazia italiana è automaticamente gratificato della qualifica di bello-e-buono, direbbe Platone, della nazione.  L’unico intervento possibile dovrebbe essere parlamentare. Cioè politico. Sugli appalti e sulla sanità. Perché questi sono i due bubboni della spesa pubblica sono. Si sa. E si sa anche come e perché. Ma non si interviene, perché la politica è parte del sistema di corruttela.
Ogni appalto viene a costare almeno il doppio, e mediamente il triplo, del valore a progetto. Più gli oneri connessi alla dilatazione dei tempi di realizzazione, che anch’essi raddoppiano, come minimo, e più spesso triplicano. È superfluo dire che “in Europa” questo non succede. Gli appalti sono un sistema anche di corruttela, oltre che di sprechi: nessuna azienda europea di costruzioni si avventura in Italia, dopo i primi infruttuosi tentativi quindici anni fa, quando il capitolato europeo divenne legge, negli appalti delle metropolitane e dell’alta velocità.  
Degli sprechi della sanità si sa tutto. Il sistema delle farmacie, l’eccesso di personale non qualificato,  portantini e barellieri, i difetti e gli errori di progettazione. E naturalmente gli appalti: si fanno creste enormi nelle asl su ogni appalto, dalla rianimazione al cotone idrofilo.
Il terzo settore d’intervento, di dimensioni minori ma nell’ordine di un paio di miliardi, riguarda la Difesa. L’Italia continua a mantenere forze armate pletoriche in tempo di pace. E fa da una ventina d’anni delle guerre che, sia pure a bassa intensità e a fini di pacificazione (ma c’è una guerra per la guerra?), tengono impegnati l’equivalente di una paio di Corpi d’armata nella guerra guerreggiata. In posti remoti. A costi molto elevati per la logistica e l’uso dei mezzi, se non per il munizionamento. E per le retribuzioni, essendo le guerre di pace contabilizzate alla stregua della cooperazione allo sviluppo, con diarie e indennità di trasferta, alloggio, pasti, festivi, ferie non godute, etc., in genere forfettizzate in 3-4 mila euro mensili. 

Questo Fenoglio sembra Cassola

Scritto nel 1950-52, insieme ai racconti dei “Ventitre giorni della città di Alba”, ma pubblicato nel 1969, sei anni dopo la morte di Fenoglio, sembra un calco di Cassola – o viceversa. Nella forma, perfino nel lessico, e nella materialità del disadattamento, della piccola vita di paese dopo la grande guerra e la Resistenza.
La grande differenza è che Cassola è tuttora persona non grata - per non  essere passato da Vittorini, è lui lo sdoganatore? ma chi era Vittorini?
Beppe Fenoglio, La paga del sabato

mercoledì 23 ottobre 2013

Che cosa i terremoti non sono

Il terremoto di Lisbona l’1 novembre 1755, oltre il grado 9 della scala Richter, doppiato pochi anni dopo da quello della Calabria, rischiò di far crollare l’impianto illuministico della storia. Maurizio Barletta si diverte a riesumare le riflessioni che il giovane Kant dedicò all’evento, e che oggi fanno sorridere – come un po’ ogni altra “antropologia” applicata del grande filosofo, le sue riflessioni sull’attualità. Ma tutta l’intellighenzia dell’epoca vi si esercitò. Voltaire ci scrisse sopra il “Poema sul disastro di Lisbona” e si divertì nel “Candido” a satirizzare Leibniz e il “migliore dei mondi possibile”. Rimproverando a parte a Rousseau l’ottimismo sulle sorti progressive della storia. Ma più in generale tutta la cultura dell’epoca, poeti, polemisti, filosofi, vi si esercitò. Soprattutto i teologi, sfidati dal resto del mondo sul tema del male – quello che sarà Auschwitz per noi, “che ci faceva Dio a Auschwitz”.
Adam Smith, “Moral Sentiments”,  II, 4,4, ne fece appena quattro anni dopo una lettura disincantata, ipotizzando il “terremoto in Cina” - un terremoto “definitivo” ma in un mondo remoto: “Supponiamo che l’impero della Cina con le sue miriadi di abitanti venga ingoiato da un terremoto. Come reagirebbe un europeo, fornito di umanità, ricevendo la notizia? Farebbe qualche riflessione malinconica sulla precarietà della vita e, dopo questo fine filosofare, tornerebbe al suo lavoro o allo svago come se niente fosse”.  
Il trentenne Kant vi si applicò da filosofo pratico, tentando una teoria dei terremoti. In tre scritti successivi vene a ipotizzare che la massa terrestre fosse più o meno cava, un’architettura di grandi caverne, riempite da gas caldi. Una ipotesi come un’altra, ma Kant si acquisì con questa fantasia  il titolo di iniziatore della geografia, e anzi della sismologia – senza colpa, lui procede allegro.
Immanuel Kant, Scritti sui terremoti, Robin, pp. 97 € 10

Le cartelle pazze di Marino, dopo Veltroni

Piovono cartelle pazze a Roma per multe già pagate o non notificate. Ogni cartella pazza è una rottura di scatole interminabile, da mezza a una giornata di lavoro, più 4 euro di raccomandata. Se tutto va bene.
Piovono cartelle pazze a Roma coi sindaci di sinistra: prima di Marino era diventato famoso per questo Veltroni, con ben due milioni di cartelle pazze. È un modo di governare? Le cartelle pazze di Veltroni aprirono la strada all’inedita vittoria elettorale della destra con Alemanno.

Nel caso di Veltroni la cosa suscitò l’interesse del Difensore Civico, l’avvocato Ottavio Marotta. E Marotta fu abolito, insieme con tutto l’ufficio di Difensore Civico. 

martedì 22 ottobre 2013

Vero o falso - 8

Il cuneo fiscale si riduce in busta paga di 14 euro al mese? Falso (non si riduce).

La Bossi-Fini è in realtà la Turco-Napolitano, più flessibile. Vero.

Berlusconi paga a De Benedetti in Svizzera il mezzo miliardo sanzionato dalla Cassazione. Falso (la Cir è italiana)

La Cir paga a De Benedetti in Svizzera esentasse il superdividendo della penale inflitta dalla Cassazione a Berlusconi. Vero.

De Benedetti è un evasore fiscale. Falso (è cittadino svizzero, benché nato e cresciuto a Torino).

De Benedetti vuole da Berlusconi per la Mondadori anche i danni morali. Vero.

Assad non ha fatto l’eccidio della notte del 20 agosto col gas nervino. Vero.

L’accusa è caduta dopo l’accertamento dei controllori Onu. Falso.

L’accusa è caduta dopo l’accordo di Assad con l’Arabia Saudita. Vero.


La vera Colpa è non accusare gli Usa

La Colpa, nonché non essere tedesca, non potrà non essere yankee quando la storia si rifarà, c’è solo da aspettare - nel quadro della Colpa che presto sarà oggettiva, degli eventi, la storia, le vittime. Delle bombe di Eisenhower – nonché di Curtis LeMay l’incendiario, quando il Giappone riavrà fiato per parlare. L’Usbus di Galbraith, US Strategic Bombing Survey, aveva accertato già subito dopo la guerra l’inutilità militare dei bombardamenti: gli Alleati distrussero le città tedesche e gli abitanti ma non l’industria bellica, che anzi, riconcentrandosi, divenne più efficiente. Kurt Vonnegut già nel 1969, un letterato dunque americano, benché d’origine innegabilmente teutonica, aveva per primo narrato l’inferno di Dresda, la città distrutta dalle bombe. Ma la storia freme ancora di essere ricostruita.
La Germania tace, per pudore. Ma Sebald la denuncia l’ha fatta già quindici anni fa, in “lezioni memorabili” dice l’editore italiano che lo patrocina. A Zurigo, piazza neutra. Da scrittore tedesco anglofilo: la Colpa è degli inglesi, anzi degli americani. La Colpa è dei tedeschi solo per la viltà, che mostrano nel non denunciare la vera Colpa. Sembra una vertigine, e lo è. Il bruto negazionismo respinge e tiene solidi, la buona scrittura rarefa l’aria e dà le allucinazioni.
Le bombe in città le ha divisate la Luftwaffe, su Guernica, Coventry, Londra, Stalingrado, e sulla Francia che fuggiva per le strade di campagna, mitragliata a vista. Pure la strategia suona tedesca: a regimi di massa bombe di massa - Hitler, che “alla radio aveva una bella voce”, attesta Peter Handke, amava pianificare con gli slogan. Ma gli americani ne sganciarono di più – senza contare la Bomba. Questo è vero e Sebald può darne il conto, esattamente, come si addice a un buon, malgrado tutto, tedesco:  oltre un milione di tonnellate, su 131 città, con 600 mila morti. E molti fermi immagine. Una madre che vaga col cadavere carbonizzato del bambino dentro la valigia. La lavavetri dell’unico edificio rimasto in piedi in una piazza di macerie. La famiglia che prende il caffè al balcone di casa malgrado le bombe. Il libraio che vende sottobanco le foto dei cadaveri in strada, delle rovine, degli incendi. Per finire con gli elefanti dello zoo di Berlino, che bruciano barrendo e scalciando furiosamente. Intollerabili, anche autolesionista - è propaganda di guerra, un po’ scopiazzata dagli americani (“testimonianze oculari di implacabile precisione”, garantisce l’editore italiano simpatetico).
La Germania non è in guerra e non fa propaganda. Non ancora. Anzi, la distruzione della Germania è in Germania ancora tabù. Ma è matura. Si cominciano a contare i prigionieri di guerra lasciati morire nei campi alleati. E siamo a tre motivi di rivalsa, dopo l’affondamento della “Gustlof”, la nave scuola della Marina, che fa ancora piangere Günther Grass di commozione, e le bombe. E gli stupri dei negri, di cui in Jünger? C’è sempre materia per rifare la storia.
Sebald può procedere indisturbato in quanto non sospettabile, anglofilo e quasi cittadino britannico. E non è negazionista, né è pacifista, contro tutte le bombe: è revanscista. Molto thomasmanniano, molto spiacevole.
Il primo saggio non riequilibra la storia, essendo tutto pencolato sulla colpa anglosassone: la storia non si decontestualizza. Il secondo saggio è un attacco polemico a Alfred Andersch, non spiegato, incomprensibile a un lettore che non sia un letterato tedesco - e uno avvezzo alle polemiche. A meno che Sebald non voglia dire che Andersch era un finto comunista e un vero nazista, cosa che certamente non è vera. L’attacco si legge come i sarcasmi di Thomas Mann sui letterati francofili, cioè su suo fratello Heinrich: il nazionalismo degli scrittori urtante.
Winfried E. Sebald, Storia naturale della distruzione, Adelphi, pp. 136 € 16

Girotondo democrat

Al netto di Berlusconi, il dibattito a sinistra è solo livore. Dentro il Pd e fuori del Pd. Ci sarebbero tante cose da fare, anche importanti e urgenti, ma non c’è tempo per queste, né voglia. C’è solo da accusarsi reciprocamente dei  peggiori misfatti. E la cosa è preoccupante: si pensi a un’Italia domani, con Berlusconi in carcere oppure malato o morto, che cosa faranno, che cosa farebbero, Flores d’Arcais, Moretti, Travaglio (è anche lui di sinistra…), e gli stessi D’Alema e Veltroni, poiché è ancora di loro che parliamo? Indimenticabile è il Moretti della foto dei girotondi che si riesuma, infine sorridente, una volta nella sua vita, con Occhetto e con Di Pietro (la sinistra sarà stata anche Di Pietro, in aggiunta a Travaglio), altri tempi. Che cosa ne sarà della sinistra? Del dibattito beninteso, il paese è di merda.
O forse no. Fra cent’anni, o forse già fra uno, si potrà dire che Berlusconi non era un monopolista, non spiava nessuno, neanche al gabinetto, e pagava le tasse. Insomma, più di ogni altro. In fondo, il girotondo è il buco del mondo, benché immondo.

Museruola a Fazio

È Fazio l’obiettivo dello scandalo Maradona? È possibile, anzi è la sola possibilità – Maradona è come quando giocava: non cade mai.
L’argentino ha irriso l’Agenzia delle Entrate, che è andata in pompa a sequestragli l’orecchino, dicendo che voleva farsi pubblicità sfruttando la popolarità del campione. È vero, tutti gli ascoltatori gli abbiamo dato ragione: gli accertamenti e le notifiche fiscali si fanno seriamente. Né Maradona può essere sospettato: è nato e cresciuto a sinistra, è castrista e perfino chaveziano. La reazione del Pd, e dei gestori montiani della Rai, è sproporzionata, al fatto e anche al gesto. Di sinistra (insomma Rcs) è infine la sponsorizzazione di Maradona, con la vita e le opere in dieci dvd della “Gazzetta dello sport”.
La reazione, in questo quadro, non si capisce. Tanto più che Maradona non ha irriso al pagamento delle tasse, ma al modo sbagliato di esigerle, invece cioè di chiederle a chi di competenza. Un’altra verità, un po' come quando si mandava Sophia Loren in carcere a Caserta senza motivo, giusto per le fotografie. Se non si vuole colpire Fazio, non si capisce.
In questo quadro, si capisce che il conduttore da qualche tempo faccia eccezione al democratismo della sua trasmissione, invitando ogni volta un berlusconiano, Alfano, Brunetta, Fitto, etc. Anche Litizzetto, che sempre opprime i fan di Fazio, per quanto democrat sinceri, con alluvionate di Berlusconi, da qualche tempo divaga. Prima di Maradona addirittura con un sermone interminabile sul diritto dei bambini di giocare al pallone nei giardini pubblici, senza la museruola. Diceva per dire?

lunedì 21 ottobre 2013

Problemi di base - 156

spock

Perché la vita si organizza?

Perché si cresce invece di diminuire?

E perché si fanno i gelati? Anche la crema inglese?

Perché vogliamo essere belli?

Ora che non sarà più Cavaliere, come lo chiameremo?

Perché non c’è limite al ridicolo?

Perché la legge non punisce il ridicolo, per vilipendio della nazione?

Perché Monti fa Grillo?

Tutti galli, che pollaio è il Centro, chi fa le uova?

spock@antiit.eu

La lieta malinconia di Leopardi e Nietzsche

È la raccolta di testi e frammenti in cui Nietzsche fa riferimento a Leopardi, che lesse presto, sia le poesie che le prose, e sempre apprezzò: era per lui il “poeta filologo” per eccellenza, e anche filosofo, nonché “il più grande prosatore del secolo” – insomma un altro Goethe. Anzi, per la perfezione assoluta dell’espressione, pari al musicista che la incarna, uno Chopin della scrittura.
Una lettura per vari aspetti emozionante. Con l’assillo sempre di cosa sarebbe stato Leopardi in altra cultura, fuori cioè dalle beghe italiane, di clericali, anticlericali, reazionari, rivoluzionari, etc. Nella edizione del Melangolo arricchita da tre saggi, di Cesare Galimberti, Gianni Scalia e Walter Friedrich Otto – una prolusione del 1942, insuperata, di un leopardiano. E con un ricchissimo apparato di riferimento, opera di Galimberti, che rintraccia anche gli echi di Leopardi in Nietzsche, delle “Ricordanze”, del “Vincitore”, etc., là dove il nome non ricorre.
Nietzsche e Leopardi è tema antico, vivente ancora Nietzsche. Trascurato naturalmente, in mezzo al resto, dalla Repubblica nel suo invadente e inalterabile chiacchiericcio, una storia di ormai settant’anni di vuoto degli studi. Galimberti, leopardiano esimio ancorché isolato, l’ha ripreso con taglio filosofico, mettendo in relazione i due “pensatori”. Il titolo, “Intorno a Leopardi” invece dell’ovvio “Su Leopardi”, spiega con l’esigenza di “far notare come, intorno a considerazioni su di lui, Nietzsche concentrasse organiche serie di considerazioni su temi essenziali”.
Una lettura lieve e densa, corroborante. Alla filologia di Galimberti, sulle affinità e le distanze, affiancandosi quella ermeneutica di Otto sul pessimismo. Una trattazione anche anomala, forse unica, e per questo tanto più stimolante. I due grandi pessimisti essendo in realtà fervidi cultori della vita come bellezza e arte  - le “illusioni” di Leopardi come creazioni fantastiche. La natura è creatrice. La volontà, che Schopenhauer richiude nello sconforto, è con Leopardi-Nietzsche “l’artista primigenio del mondo”. Con una differenza: “In Nietzsche”, nel secondo Nietzsche, “parla un’incredibile volontà”, nell’alveo sempre dell’idealismo, quasi costruttivista se non sistemica. Mentre, “di fronte a questo idealismo prettamente tedesco, Leopardi ci appare – anzi, in generale si potrebbe dire ogni vero poeta – come una fioritura di bellezza, avvolta dalla morte: malinconicamente lieta”.
Friedrich Nietzsche, Intorno a Leopardi

domenica 20 ottobre 2013

Il costoso precariato della scuola

Il problema della scuola pubblica è soprattutto il problema della debolezza della funzione pubblica. Si parta dal solido: i ruoli eternamente aperti, precari.
Sono cinquant’anni ormai che la scuola elementare e la media obbligatoria hanno un organico insufficiente. Da supplire annualmente con incarichi a tempo, a un costo notevolmente maggiorato rispetto all’inclusione nei ruoli. Senza contare le disfunzioni. E la demoralizzazione degli insegnanti supplenti, ogni anno a caccia della riconferma e di una sede possibilmente non disagiata, ogni anno ballerina. La maggior parte dei quali sono supplenti da una vita, anche trent’anni.
Una disfunzione che interessa da un quinto a un quarto dei docenti, la cui insicurezza si riverbera sull’insieme della scuola. L’unico dato disponibile sul numero degli insegnanti è quello della Fondazione Agnelli del 2009, peraltro ricostruito con difficoltà dalla stessa Fondazione – ma con approssimazione realistica nei rapporti tra le varie categorie.  Degli 840 mila docenti che prestavano servizio nella scuola statale nell’anno scolastico 2007-08 (750 mila ordinari, più 90 mila di sostegno), circa 700 mila erano assunti a tempo indeterminato (di  ruolo). Dei restanti 142 mila, circa 22 mila erano assunti a tempo determinato annuale (ossia con un contratto da settembre a fine agosto successivo), mentre 120 mila lo erano a tempo determinato “fino al termine delle attività didattiche” (con un contratto da settembre a giugno). Considerando anche i 100 mila impegnati in supplenze brevi, il totale dei docenti precari che nel 2007-08 lavoravano nella scuola pubblica superava le 240 mila persone. Le cifre sono variate solo lievemente da allora, gli annunciati programmi di stabilizzazione sono in grande misura inapplicati – per mancanza di risorse, per grovigli amministrativi, per la costante ristrutturazione degli stessi istituti scolastici. 

La scuola vittima dei genitori

La scuola pubblica è vittima dei genitori. Per una malintesa deriva democraticistica. Il “discorso” sulla scuola, se non l’effettiva gestione dell’insegnamento, nelle fasce obbligatorie, la sua organizzazione, il suo finanziamento. Che sono materia della funzione pubblica, e ne risentono la debolezza.
Nel quadro delle cose possibili, la scuola è vittima dei decreti delegati, con cui Franco Maria Malfatti, ministro allora della Pubblica Istruzione, introdusse quarant’anni fa anni fa i genitori nella gestione. Da lì questioni inenarrabili, che indeboliscono la struttura direttiva e scoraggiano l’insegnamento. Costi moltiplicati per la attività alternative. Un’espansione abnorme dei servizi di sicurezza – i bidelli. E dei costi di refezione. Con la contestazione dei risultati, spesso in tribunale amministrativo, e degli stessi metodi d’insegnamento. A ruota libera, cioè senza criterio e senza sanzioni. All’infinito. Tutto per poter poi dire: la scuola fa schifo.

Ricetta Simenon, lo squallore del disamore

Le solite vite squallide, nell’eccezionalità del racconto – qui Simenon pretende che un quarantenne ritorni a casa, dopo vent’anni di assenza, e nessuno lo riconosca. Di chi vive a prestito, di soldi, di desiderio: il segreto di Simenon è palese, anche se non c’è nelle corpose “Memorie intime”, è il disamore.
È la storia non eccezionale di quello che chiede soldi a tutti, un po’ scroccone un po’ vittima di se stesso. Una delle forme simenoniane di anomia che si tollerano perché non cruente, ma che finiscono male, è inevitabile, la debolezza si travia. In questo caso una lettura quanto mai deprimente. È uno dei pochi, se non l’unico, non riediti in francese dei tanti Simenon - di cui quindi Adelphi si conferma editore di riferimento.
Georges Simenon, Faubourg, Adelphi, pp. 136 € 16