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sabato 23 novembre 2013

Problemi di base - 160

spock

Che fa Francesco, sorella acqua è impazzita?

O gli elementi, sono indomabili?

Sempre la storia del diluvio universale: ma questo 2013 è d.C o a.C.?

Quando piove, a chi spetta aprire l’ombrello, allo Stato, alla Regione, al Comune?

E perché piove senza criterio?

Ma l’allerta, è maschile? Che dice la Crusca?

E perché internet è femminile?

spock@antiit.eu

La Sicilia delle zie

Una rete familiare avunculare complicata, intricata, e mai interessante. Le nonne e bisnonne, le zie e prozie sono tante che Proust diventa amabile. Con la stessa alacrità con cui s’era costruita, Simonetta Agnello si distrugge – è il secondo libro che si vende subito a sconto. Come se volesse “fare la Siciliana”, una caricatura di se stessa.
Una caricatura anche, involontaria, dell’essere Siciliano (Palermitano). Un punto interrogativo aprendo al lettore che vi si avventura. I Siciliani amano dichiarare, naturalmente nell’isola, infanzie felici, adolescenze, prime giovinezze, irripetibili. Da cui cancellano curiosamente la pratica religiosa, le messe, i battesimi, le cresime, con gli inevitabili padrinati, che tanto contano. Prima di avventurarsi nel Continente. E famiglie, cuginanze, amicizie sempre gratificanti – spiritose se brutte, simpatiche se stupide e torpide, etc.. Da qualche tempo ce le hanno anche le Siciliane, inevitabilmente principesse o adiacenti..Poi non si sa. Cioè si sa: se ne sono tutti andati via e se ne tengono lontani, ma si prodigano a pagare tributi all’isola, rappresentandola appunto nella memoria felice. Tutto sommato “villoniani”, pregiatori delle dames jadis e delle neiges d’antan  - in Sicilia si direbbe dei mari, dei monti (qui siamo pieni del monte Pellegrino, non a torto). Le conversazioni ai funerali, dove pure convengono parenti e amici, in dialetto, sono rimaste invece agghiaccianti di aridità, di avidità, in famiglie piene di magagne. Solo una mezza paginetta, ma basta. A manifestare anche l’altra natura, “naturale”, del dialetto: una forma espressiva sprovvista di guardie, chiuse e censure. E la natura infine inevitabilmente sordida del privato, il familistico, malgrado le nostalgie e le ri-creazioni.
Il genere “Downton Abbey”, “Gosford Park”, scusabile. E poi, sulla Sicilia alla Villon bisogna tornarci su: sono uguali anche le cadenze, oltre che le tematiche, e le (piccole, simpatiche – up to a point)) sbruffonerie.
Simonetta Agnello Hornby, Via XX Settembre, Feltrinelli, pp. 240 € 18

venerdì 22 novembre 2013

Che saremmo senza illusioni

Sono le illusioni del “creatore” – l’autore, lo scrittore, il prestigiatore, di piazza e di governo. Che Torno affronta antifrastico, in grazia di un titolo trovato nel robivecchi librario di Charing Cross Road a Londra, “Biografie degli autori morti di fame”. Con leggerezza, ma partendo da un assunto senza scampo: “L’esistenza è la nostra personale fabbrica di illusioni”. Che è mezzo Heidegger, e tutto Leopardi. Seppure senza pretese: con gli anni “si ha sempre più bisogno di aumentare le dosi di verità a disposizione di questo mondo e di illudersi con maggiore coscienza”.
Cos’è l’illusione? Un’“altra” verità, ancora una. È un “filtro incantato”. Che ci riporta alla magia della realtà – a Campanella si potrebbe aggiungere, Della Porta, Bruno: quasi uno sberleffo in questa epoca di ritorno al “realismo”. Torno ne tratta, in breve ma lasciando il segno, in connessione all’amore, naturalmente, e alle altre passioni (è un sinonimo): cultura, politica, società, solitudine, religione, progresso, internet. Nonché la filosofia, la navigazione classica tra errore e verità.
Tema leopardiano per eccellenza, quello attorno a cui si sgomitola la traccia filosofica dello “Zibaldone”: le illusioni come creazioni fantastiche. Anche come trucchi, ma più come corroboranti. Torno, già fine cesellatore della “Domenica”, il supplemento del “Sole 24 Ore”, lo svolge voluttuosamente – razionalmente – reazionario. Si prenda la cultura: “Forse viviamo in un’epoca bigotta e ci siamo lentamente convinti che la conoscenza rechi bontà e felicità”. Schopenhauer avrebbe avuto di che invidiare, quello dei massimari, “L’arte di avere ragione”, “L’arte d’invecchiare”, e ogni altra “arte”, e quello del pessimismo: “Illusioni e bugie non rappresentano sempre l’aspetto negativo dei rapporti civili. Rappresentano, come dire?, l’ingrediente indispensabile per regolare i rapporti umani”. E subito dopo: “La storia non è forse la più grande illusione che l’uomo abbia saputo creare?” Ma sempre sottile. Si prenda l’amore: “Sono convinto che l’amore da cui trae origine la vita sia la più grande fabbrica di illusioni. Le altre scimmiottano questa produzione”. Quanto al “celebre sentimento”: “Se la nostra riproduzione fosse affidata alla pura ragione, quasi sicuramente la specie umana sarebbe sparita al sorgere delle prime civiltà”.
Resta indistruttibile in materia il sostrato, che Leopardi ha scolpito nello “Zibaldone”(3237-3238): “Chiunque esamina la natura delle cose con la pura ragione, senz’aiutarsi né dell’immaginazione né del sentimento, … potrà ben quello che suona il vocabolo analizzare, cioè risolvere e disfar la natura, ma e’ non potrà mai ricomporla, voglio dire e’ non potrà mai dalle sue osservazioni e dalla sua analisi tirare una grande e generale conseguenza”. Questo dal punto di vista gnoseologico, del modo di conoscere. Poi c’è la felicità, che il poeta infelice aveva individuato all’inizio (51) del diario: “Il più solido piacere di questa vita è il piacer vano delle illusioni”. E nello stesso passo la metafisica: “Io considero le illusioni come cosa in certo modo reale stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana”. Avendo già prima (21) risposto al quesito di Longino, ”Del sublime”, perché le anime grandi diventino sempre più rare, con “la barbarie che vien dopo l’eccesso d’incivilimento”: “Non c’è dubbio che i progressi della ragione e lo spegnimento delle illusioni producono la barbarie, e un popolo oltremodo illuminato mica diventa civilissimo… Le illusioni sono in natura, inerenti al sistema del mondo, tolte via affatto o quasi affatto, l’uomo è snaturato; ogni popolo snaturato è barbaro”.

Armando Torno, Elogio delle illusioni, Bompiani, pp. 127 € 10

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (189)

Giuseppe Leuzzi

Bellezza e povertà
L’autunno sull’Aspromonte è quest’anno specialmente fiammeggiante. Le piogge di san Martino hanno  infine ripulito i boschi della polvere estiva. Grandi foreste di faggi rossi suonano l’hallalì a elfi e ninfe attorno a Gambarie. Il giallo è carico, limoncello maturo, degli aceri giù verso Basilicò, che un tempo proteggevano contro le streghe, i pipistrelli, e la sfortuna, sotto l’argento sfavillante dei pioppi. Ma nessuno lo sa, se ne accorge, se ne bea. Qualcuno sale fin qui per una mangiata di caldarroste nei ristoranti. O va a funghi all’alba, una questua professionale, senza mai alzare gli occhi. Senza nemmeno respirare, forse: l’aria è profumata.
Un assaggiatore d’aria come ce ne sono dei vini potrebbe stenderne un campionario mirabolante: immaginifico, come si vuole l’assaggio, ma di sostanza. Solo le acque si gustano, ne abbiamo il culto. Di ognuna vantiamo anche le proprietà organolettiche di cui niente sappiano – parliamo la terminologia astrusa delle etichette di acqua minerale.
Non abbiamo niente di nostro, non ce ne curiamo, in un certo senso siamo socialisti. Non francescani, quelli la natura almeno se la godono tutta. Il tipo anarcoide, il solito: quello che non sa quello che fa.

Calabria
All’opera è famosa per un delitto di gelosia. Ruggero Leoncavallo vi ambienta “I pagliacci”, dove la moglie fedifraga e l’amante vengono uccisi in scena. Un fatto di sangue che Leoncavallo visse da ragazzo, nello stesso Montalto Uffugo dove il padre era pretore.
La mafia è recente.

Si può spiantare un pescheto per piantarvi i pannelli solari? A Altomonte sì. Borgo peraltro civilissimo. Si lavora con lo Stato.
Anche il pescheto: era stato pianto con i fondi Ue, per illuminazione di Costantino Belluscio, il politico, segretario di Saragat,

Ci sono dop dell’olio di oliva in tutta Italia, compresi luoghi dove gli olivi sono decorativi, il Garda, la Romagna. Non c’è invece per la Piana di Gioia Tauro, la più grande foresta di al mondo di ulivi giganti. Ma qui non è colpa dello Stato, che anzi la dop avrebbe volentieri riconosciuta.

La rivolta per “Reggio capitale” nel 1971 fu niente a confronto con quella per “Torino capitale”, il 21-22 settembre 1864, dopo la designazione di Firenze a capitale del regno il 15 settembre. La rivolta non c’è nelle storie, ma fece 52 morti, tra dimostranti, anche passanti, e carabinieri: si sparava senza controllo. Più 187 feriti.

Massimo Alvaro ha tra i ricordi del padre Corrado, in una intervista con Mario Procopio del 1977, “un via vai di calabresi in casa nostra”, la sola gente con cui il padre si sentiva a suo agio, “povera gente il più delle volte che aveva dei problemi da risolvere”.Di una donna in età il padre gli raccontò che era venuta a chiedere “se davvero stesse per scoppiare la guerra in Abissina”. Lo scrittore aveva risposto di sì, e la donne aveva commentato: “Peccato che il figlio mio è morto, sennò poteva andare anche lui a guadagnarsi qualcosa”.

Miracolo a Milano
Vacche che fanno latte per 82 anni. È l’ultimo miracolo di Milano. Anche di Torino: sono la Lombardia e il Piemonte le regioni più prolifiche di latte inesistente, per il quale l’Italia ha pagato e paga multe per 4 miliardi, di cui la metà a carico del Tesoro. Sono noccioline, al confronto, gli abusi sull’olio di oliva e sugli agrumi. Che l’Italia comunque non paga, li pagano i colpevoli.
Per una volta almeno, è il Sud che finanzia il Nord, la corruzione al Nord, il malaffare. La cosa infine si sa perché qualche processo infine si fa, dopo dodici anni, e qualche verità viene fuori. Il trucco è semplice: che una mucca possa dare latte per 8,2 anni, tra i 22-24 mesi e i dieci anni, diventa per 82 anni: che ci vuole, una virgola, in meno.
Il “Corriere della sera” dice che “la vicenda delle quote latte si trascina dal 1984 con decine di processi in tutta Italia!”. Lo dice col punto esclamativo ma non è vero: la vicenda si trascina da trent’anni, ma con pochi processi e tutti in Nord Italia. Perché lì si è consumato il delitto. A Cuneo in particolare, e in Lombardia.
Il miracolo è doppiamente nordico, poiché la legislazione europea sulle quote latte, del tutto aberrante, è stata introdotta per proteggere il latte tedesco di bassa qualità da ogni concorrenza. Per sostenere i prezzi si decise di limitare la produzione, invece di prevedere dei conguagli (“integrazioni di prezzo”) come per altre produzioni. Fu per questo deciso nel 1984 di bloccare la produzione di latte secondo le quote nazionali dei mercati nel 1983. Il ministro dell’Agricoltura dell’epoca, Vito Pandolfi, diede per l’Italia una cifra sottostimata (per errore, sosterrà poi, dell’Istat), e l’Italia rimase ancorata a una quota di produzione largamente inferiore ai suoi consumi. Ma perché il latte dev’essere bavarese?

I favori
Con i favori non si costruisce niente. Non una carriera politica, in politica anzi ci si espone, a ritorsioni e vendette – malumori, invidie, calunnie, pettegolezzi. Se uno mi chiede di sveltire (risolvere) una pratica, e la cosa va a buon fine, perché conosco le procedure giuste, invece che riconoscenza nove volte su dieci susciterò indignazione, sospetti di intrigo politico, complicità, favoritismi, e anche accuse.
Il beneficato non è riconoscente, e anzi, se il favore è “consumato”, se il beneficato non ha più bisogno per altre pratiche o favori, tenderà a smarcarsi. Criticando, anche a costo d’inventarsi torti e capi d’accusa, per ricostituirsi una verginità. È l’equivoco maggiore della politica al Sud, dove più si esercita come potere personale, dei favori personali al servizio del potere personale.
Al tempo dei notabili, della borghesia liberale (cioè delle professioni), il rapporto di dipendenza funzionava se continuamente rinnovato. Il notabile non era un concorrente, e quasi sempre non aveva concorrenti, ognuno aveva un suo orto. La politica invece consiste proprio nell’apertura degli steccati e nella gemmazione continua di nuovi poteri – l’aggiornamento, il rinnovamento.
Questo della funzione politica, della rappresentanza produttiva, costruttiva, è il problema del Sud: essere arrivato tardi al parlamentarismo, dopo millenni di signoraggio e vita chiusa nei paesi. Senza le esperienze pregresse delle altre parti d’Italia con forme di autogoverno, nelle repubbliche e i principati. La democrazia non funziona in automatico, al contrario: il voto non implica la capacità di governarsi, e al Sud ne sanziona anzi l’incapacità, pervicace. E non tanto di diffidenza verso lo Stato quanto dell’impossibilità di concepirlo. Se non, appunto, nella dialettica improduttiva della mediazione senza beneficio. Senza beneficio politico, di crescita della fiducia. Reciproca e quindi nei propri mezzi.
Il Sud resta abbarbicato su quella che si chiama attitudine difensiva. Che però, dopo quattro o cinque generazioni di affrancamento, è da considerarsi un rifiuto. Si dice che il Sud è tradito dalla sua classe politica. Ma la sua classe politica lo esprime. A volte, nei paesi, s’incontrano sindaci del tutto inadeguati. Ma girandosi attorno è facile scoprire che non c’è nessuno di meglio.

leuzzi@antiit.eu

giovedì 21 novembre 2013

L’amico silenzio nel libro

Piccolo omaggio dell’editore al filologo, apprestato per gli amici nel 2001, alla vigilia della morte, è la raccolta di brevi testi sul silenzio come forma di comunicazione mistica. Pozzi parte col piede sbagliato: “Tutto può essere spartito fra gli esseri esistenti, fuorché l’esistere”. Mentre è vero il contrario: l’esistenza può essere insopportabile perché forzatamente condivisa. Ma si è già corretto: “L’uomo è un solitario non solo”.
Frate cappuccino, svizzero di Locarno, docente a Friburgo, curatore avventuroso di testi necessari, la “Hypnerotomachia Poliphili”, l’“Adone”, nonché di studi di larga attrattiva per la stessa editrice, quale “La parola dipinta”, editore di mistiche dimenticate, Angela da Foligno e Maria Maddalena de’ Pazzi, oltre a santa Chiara, elabora nella più parte delle annotazioni il linguaggio e le “visioni” di Adamo di Dryburg e Veronica Giuliani, nonché di Riccardo di San Vittore, Bartolomeo Barbieri da Castelvetro, Jacopone, Angela da Foligno.
Il secondo passo falso è più insidioso: la solitudine come bene ultimo. Seppure in scala (a Dio) e a specchio (di Dio), secondo lo schema di santa Chiara. Si è disperatamente soli: “Ogni luogo solitario finisce di essere tale quando viene a dimorarvi un solitario”. Più che il silenzio, vale l’ascolto, la forte “correlazione tra il silenzio e la parola”. Il libro – la paginetta finale vale la lettura: “La cella e il libro sono le stanze della solitudine e del silenzio”. Il libro, “deposito della memoria, antidoto al caos dell’oblio”, vigila: “Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace”. E poi c’è la copertina: fra’ Bartolommeo attende ancora di essere scoperto, da cinque secoli, in silenzio.
Giovanni Pozzi, Tacet, Adelphi, pp. 42 € 7

Marino fa male a Renzi

Ha chiuso il carosello di auto sul Colosseo, cosa che un vigile urbano avrebbe potuto fare da solo, e poi più nulla. Cioè, una serie di disastri annunciati. Diffusi, potenziati, da un giornalismo corrivo – ma forse solo per fargli le scarpe. Con Ignazio Marino la sinistra nuovista più che altro si mostra incerta, inerte.
Anche sui temi sui quali sarebbe facile per una qualsiasi sinistra la mobilitazione. Gli immigrati. Gli emarginati. Le periferie, che sono sempre un argomento buono anche se sono piccolo borghesi. Il trasporto pubblico. Le nomine, puntando soprattutto quelle di Veltroni, suo compagno di partito, e non quelle di Alemanno.
Dopo il Colosseo, Marino si è attaccato al Teatro Stabile, dove vuole un attore celebre, chissà a quale fine, e anche amico degli amici. E all’Opera. Che vuole a tutti i costi commissariata, vuole cioè tagliare il personale e l’attività.  Ricattando questo e quello, Bruno Vespa, vicepresidente del Teatro, per non si sa che cosa, un sindacalista Cgil perché in conflitto d’interessi con la moglie violinista… Uno squallore da non credere, se non si leggessero le cronache romane di “Repubblica”, “Messaggero” e “Corriere della sera”. Mentre poteva tranquillamente far decadere il direttore generale che non gli garba, nominato da Alemanno.
Per non dire del “concorsone”, l’assuzione di duemila dipendenti pubblici, quasi perfezionata senza nessuno scandalo, e da lui bloccata e anzi denunciata, senza nessuna prova e anzi nessun indizio – delle buste in cui solo i suoi accoliti vedrebbero in trasparenza. Roba da codice penale, con un’altra Procura della Repubblica. Dice: l’uomo non è cattivo, non ha buoni collaboratori. Non è peggio?
Forse è per questo che a Roma il nuovissimo Renzi non sfonda: uno lo guarda concionare e ci vede Marino. Roba da ramazza. Prima dell’uso.

mercoledì 20 novembre 2013

Meglio zoppa che fuori?

E ora, Cancellieri? non potrà più fare il ministro. Quello che Letta e Napolitano presentano come un consolidamento del governo, con le mancate dimissioni del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri,
azzopperà il governo stesso in uno dei suoi piani fondamentali – sulla carta: il riordino della giustizia stessa. Il ministro  resta ostaggio dei giudici che doveva riformare.
Sulle finalità dei giudici, torinesi e romani, compresi i consiglieri del ministero, non c’è dubbio: tutto è stato calendarizzato per indebolire il ministro – non colpevole ma, eccetera. Quello che non si capisce, in questa evidenza, è il senso dell’arrocco di Letta e Napolitano. Forse non volevano essi stessi la riforma della giustizia? Sarebbe bastato che rinnovassero la fiducia in Cancellieri, e ne accettassero le dimissioni, anche in omaggio alla sua dirittura morale.
Anche sul piano personale, il bel gesto delle dimissioni, dopo la professione d’innocenza a cui tutti credono, avrebbe dato lustro e spessore politico a Anna Maria Cancellieri – che era papabile per il Quirinale, si ricorderà.

Il partito siculo-lombardo

Alfano e Schifani in Sicilia, Formigoni e Lupi in Lombardia: nasce siculo-lombardo il muovo partito ex berlusconiano. E nasce democristiano, ex. Gli altri protagonisti, Quagliariello, liberale, e Cicchitto, socialista, non hanno voti. Nasce anche distintamente governativo, ministeriale. Senza se e senza ma, è la divisa di Alfano e Schifani, che suona però: comunque al governo.
Storicamente, dovrebbe essere una formazione determinante: Sicilia e Lombardia, le due regioni più popolose, si pregiavano con la “vecchia” Repubblica di determinare le “formule” politiche nazionali – le formule, non le politiche, dove la Sicilia ha contato solo per le briciole (il sottogoverno). Le due regioni sono state anche a lungo solidamente democristiane, e quindi il nuovo partito dovrebbe costituire il passo decisivo per un ritorno al centro, al neo guelfismo se non più al confessionalismo – i vescovi diffidano.
Si vedrà presto, fra sei mesi, alle elezioni per il Parlamento Europeo. Alle Europee si vota col proporzionale, per cui tutti possono cantare vittoria. Per questo o quell’aspetto, se non per l’insieme. Ma due fattori potrebbero già risultare dirimenti. Il ministerialismo potrebbe pesare negativamente, per il fallimento annunciato del governo: più tasse e nessun beneficio. A Milano. In Sicilia, Alfano lascia campo libero, col suo ineffettuale Castiglioni, a Romano e Micciché, che nelle lezioni pre-Alfano assicuravano a Berlusconi tutti i parlamentari dell’isola.

Film parlato, senza nome, davanti alla morte

Buon numero dei racconti qui raccolti sono degli anni dell’anonimato: dell’occupazione tedesca e la persecuzione antisemita. “Le vergini”, il racconto che dà il titolo alla raccolta originaria, fu pubblicato il 15 luglio 1942, due giorni dopo l’arresto, due prima della deportazione. Una buona metà dei racconti della scrittrice sono di questi tre anni di persecuzione, brevi, brevissimi e lunghi, una sorta di rimodulazione della partitura centrale che andava elaborando e che sarà, benché incompiuto, il capolavoro postumo, “Suite francese”. 
Scritti in semi-cattività, da sfollata con la famiglia a Issy-l’Évêque nel Morvan, nella campagna della Borgogna, questi ultimi racconti più degli altri sembrano d’evasione. Sono vivaci, il curatore li dice popolati da “personaggi rivoltati”, ma allora di un altro mondo, non quello proprio della scrittrice. “Le vergini” raccontano la solitudine, l’abbandono, il tradimento, ma sempre celebrano l’amore, seppure impietosamente. Anche “I fantasmi” sono spettri dell’amore: “la maternità felice” può “far dimenticare l’amore”, ma l’amore non si dimentica – “non si dimentica che la sofferenza”. Rivoltosi forse ma perdenti, personaggi ingannati dalla fortuna, dal destino, dalla vita. O sarà una forma estrema di difesa, uno sberleffo alla sfortuna. I racconti precedenti sono mielosi. Compiaciuti. “Film parlato”, il lungo racconto del titolo, perfino del genere che poi sarà detto neo realistico, “tutto disgrazie”.
“Film parlato” è in forma di trattamentone, un abbozzo di sceneggiatura. È una scrittura che Irène Némirovsky ha adottato dopo il successo del film che Duvivier trasse dal suo “David Golder”, che ripeté il successo del romanzo, e resta negli annali come “grande film parlato francese”, il primo film parlato francese. Ne scrisse altri e all’epoca si disse scrittrice per immagini. Per tre-quattro anni dopo il film di Duvivier, 1931, dirà: “Non scrivo un altro romanzo. Medito progetti di film”. Ne scrisse altri quattro, di cui tre confluiranno con “Film parlato” in un volume della collana “Renaissance de la nouvelle” che Paul Morand, scrittore e estimatore di “testi brevi”, aveva creato e dirigeva per Gallimard (nella stessa collezione tre anni più tardi, nel 1938, debutterà Marguerite Yourcenar con le “Novelle orientali”).
“Film parlato” e i racconti immediatamente successivi, “Eco”, “Magie”, sono “facili” e scontati. “Film parlato” è un racconto di ombre più che di persone, di maschere, dai destini segnati, tra l’innocenza impossibile e il vizio traditore. Crepuscolare – neo realistico. Malinconico, ossessivo, unidimensionale, l’obiettivo immancabilmente puntato sulla disgrazia. Lineare, una storia frusta su una scena morta, Paris-la-nuit. E tuttavia è come Brasillach diceva, Irène Némirovsky è migliore narratrice nei racconti che nei romanzi.
La guerra è sempre presente, come in tutta l’opera di Irène Némirovsky,  ma non è il tema dominante, malgrado la guerra vera che la scrittrice viveva (“A causa della circostanze”, “Le carte”, “La paura”). Onnipresente è invece l’amore, per lo più sconosciuto. Ai padri per i figli (non alle madri), tra vecchi coniugi, tra lo scrittore e l’adoratrice (“La sconosciuta”). Lo scrittore che è sempre vanitoso, e “le parole più preziose” si riserva (“Eco”) “per se stesso, per il sogno interore che perseguiva notte dopo notte…”, narciso totale, asociale. Al meglio emerge, come ovunque in questa scrittrice immigrata, la Francia “profonda”, avara, sordida, remota – “La ladra”, lo stesso “Film parlato”. E la borghesia urbana: “Eco”, “A causa delle circostanze”, “I fantasmi”. Soprattutto le figure femminili. Che “sanno”. Del marito destinato a restare uno sconosciuto (“A causa delle circostanze”): “È così raro che si guardi veramente, profondamente, un uomo che vive con voi, che dorme con voi da quindici anni”. Della memoria familiare (id): “Gli uomini hanno una memoria terribile. Una donna, sai, dimentica presto”, cioè no, “una donna non dimentica niente, al contrario, ed è molto più forte, molto più terribile che per gli uomini, rifletté, perché non è la nostra ragione che si ricorda ma le profondità stesse della carne”. Della maternità compensativa, il tema di almeno cinque dei dodici racconti. Morto l’innamorato, la giovane sposa “il primo uomo sposabile”, perché pensa che “la maternità felice può far dimenticare l’amore” (“la notte, i sogni stessi divengono placidi e innocenti accanto a una culla”). O l’ananke a cui la donna si garrota”, i “mille piccoli legami che, presi isolati, non sono più grossi di un capello, ma che, tutti insieme, la ostacolano così tanto che non può fare un passo fuori dal cerchio stretto”.
La scelta, operata da Olivier Philipponnat sotto il titolo “Les vierges”, il biografo della scrittrice che qui ne fa la presentazione, è curata da Marina di Leo, la traduttrice forse meglio sintonizzata con la marcia di Irène. Una metà dei racconti erano già usciti in traduzione da Passigli, “Giorni d’estate”.
Irène Némirovsky, Film parlato e altri racconti, Adelphi, pp. 198 € 17

martedì 19 novembre 2013

Recessione – 10

Tutto quello che dovreste sapere ma non si dice:
L’Ocse rivede al ribasso le stime sul prodotto interno lordo dell’Italia nel 2013, da meno 1,7 a meno 1,9 per cento. Due settimane dopo che la Commissione Ue aveva anticipato l’ulteriore peggioramento del pil, da meno 1, 3 a meno 1,8. Quaranta giorni dopo che analoga revisione al ribasso era stata fatta dal Fondo Monetario Internazionale, da meno 1,5 a meno 1,8.

Il tasso di disoccupazione è in Italia al 12,5 per cento. È un record storico, dopo gli anni immediatamente successivi alla guerra. Il precedente record negativo era del 1983, al 10,9 per cento.

La disoccupazione era dell’8,4 per cento nel 2011 – inferiore alla media Ue, 9,6 per cento. La recessione indotta dal governo Monti ha peggiorato la disoccupazione in diciotto mesi di 3,1 punti percentuali, settecentomila posti di lavoro.

In particolare è peggiorata la disoccupazione degli uomini: era al 7,6 per cento nel 2011, contro il 9,6 della media Ue e delle donne in Italia, è ora, secondo le prime stime, al 12 per cento.

La banche italiane sono le più solide in base ai parametri: il core tier 1 supera l’11 per cento, ed è giudicato di tutta sicurezza. Misura la consistenza del capitale e delle riserve di bilancio (utili non distribuiti al netto delle imposte) in rapporto al credito concesso. È migliorato ed è forte in relazione al credit crunch, allo scarso credito attivato per investimenti. Le banche sono solide perché l’economia è debole.

Le banche italiane, considerate dalla Banca d’Italia le più affidabili, registrano tutte ricavi e utili in calo a fine settembre rispetto al già difficile 2012. I minori tassi di attività e guadagni i sono imputati per intero alle attività italiane.

Le sofferenze delle banche italiane (crediti non riscuotibili) aumentano ogni mese di 2,2 miliardi. Il totale delle sofferenze lorde era a settembre di 144 miliardi. Aumentato di 26,8 miliardi rispetto al record negativo precedente di settembre 2012, o del 22,9 per cento.

Oltre due terzi delle sofferenze bancarie, 99,1 miliardi su 144, derivano dal credito alle imprese. 

Il mondo com'è (153)

astolfo

Capelloni – Furono la grande novità del 1968, e quella più contestata. Materia di storie strazianti. Una serie di foto narrava su “Oggi” di una mamma che ritrovava il figlio perduto fra i capelloni e lo convinceva a lasciare la cattiva strada: “Finalmente Paolo piange, perfino i capelloni si sono commossi”. Il fatto aveva incidenza igienica, si suponeva, oltre che filosofica, ed era tema prediletto del “Corriere della sera”, che ad esso dedicò la serie Barbonia e New Barbonia, corredate di foto di ragazzi imbruttite. C’erano anche ragazze nei gruppi, ma il problema era maschile. Gli argomenti erano di tre tipi, anzi di uno solo: prostituzione dei ragazzi, nozze sacrileghe tra ragazzi, orge di droghe. L’aggettivazione era ampia: sporchi, pezzenti, scansafatiche, parassiti, seminfermi, esibizionisti, invertiti.
Contro i capelloni si distinse il “Corriere della sera” sotto la direzione di Giovanni Spadolini. Il ritorno all’ipertricosi risorgimentale fu bollato come eresia dallo stesso Spadolini, del Risorgimento custode, che dirigeva il Corriere della sera”, disse l’argomento blasfemo e promosse una serie di crociate giornalistiche contro. I fotografi del Corriere della sera furono sottoposti a rudi fatiche  per fissare i giovani nei loro covi, che erano all’aperto, sui prati e lungo i fiumi. I collaboratori del giornale, psicologi e sociologi, furono sollecitati all’ardua decifrazione della mostruosità. E agli “esperti” che non avevano contratto di collaborazione interviste si sollecitarono per esplicitare l’inevitabile condanna.
Capellone era nel vocabolario la moneta di bassa lega del ducato di Modena, così chiamata in quanto mostrava al diritto il busto del duca Francesco III d’Este, il quale aveva lunghi capelli.

Eurasia – È la condizione geografica dell’Europa, appendice del continente asiatico. Cui si vuole apparentare, in ambito slavo, una concezione politica, contrapposta all’Occidente. L’Occidente volendosi anch’esso un concerto fondamentalmente geografico: la metà del mondo a Ovest del Meridiano Zero o Meridiano Primo, Greenwich, e a Est dell’Antimeridiano: un’area da cui quasi tutta l’Europa è esclusa.
Politicamente, esaurita la guerra fredda, che la divisione tra Est e Ovest spostò al centro dell’Europa, la nozione di Western Hemisphere è solo recepita nella Costituzione degli Usa, e si riferisce agli Usa stessi, il Canada e l’America Latina. In tal senso è insegnata nei programmi scolastici. Teorizzata da James Monroe e da lui posta a fondamento della Dottrina Monroe, che esclude interferenze militari.
Culturalmente l’Europa, rifacendosi alla classicità greco-romana, si escludeva dal Medio Oriente e tanto più dall’Oriente, e anzi si caratterizzava in opposizione a essi. Pur provenendone con ogni evidenza (linguistica, mitologica, religiosa). La stessa Europa ha tuttavia ultimamente rifiutato questa caratterizzazione, escludendo dalla sua Costituzione con pignoleria le “radici cristiane”, che del mondo greco-romano sono la perpetuazione. Da tempo peraltro, con progressività crescente, abbandona anche i riferimenti alla stessa tradizione greco-romana, per una forma di “estraniazione” storica e per l’invenzione, ricorrente, di un’origine nordica. Un’applicazione è la divisone che si è voluta imporre, nella crisi economica 2007-2013, tra l’Europa nordica e quella mediterranea.

La nozione è resuscitata dalla Russia postsovetica, e in particolare nei quindici anni ormai di governo di Putin. Che fa dell’Unione Economica Euroasiatica, di cui ha fissato la nascita al 2015, il perno della sua politica. Con cautela, poiché il concetto di Eurasia è in Russia al centro dell’ideologia fascista rinascente sulle spoglie del sovietismo, attorno al filosofo Aleksandr Dugin. Ma Putin dichiara l’Eurasia “un’assoluta priorità”. Il Duemila vede delinearsi grandi unità geopolitiche, e la Russia vuole legarsi strettamente all’Europa, proiettandola verso l’Asia. Il patrocinio che sta dando alla Siria di Assad e all’Iran Putin pone in questa prospettiva: non per una zona d’influenza, ma per un coinvolgimento “europeo” nel Medio Oriente.
Dugin, ben conosciuto in Italia attraverso la rivista “Eurasia”, di cui è uno dei pilastri, e le Edizioni del Veltro, che editano la rivista e ne pubblicano le opere ((la più nota è “Fondamenti di geopolitica”), lega la nozione a un movimento di russi emigrati dopo il 1917, e alla minaccia che la globalizzazione rappresenterebbe per tutte le diversità, nazionali, storiche, culturali. Tradizionalista, lettore e seguace di Guénon e Jung, antiliberista e per questo antiamericano, fu uno dei capi del Fronte di Salvezza Nazionale venticinque anni fa contro l’ultraliberismo di Boris Yeltsin. Collaborò alla redazione del programma del nuovo partito Comunista di Ghennadi Zjuganov. Presto si staccò dal Fronte, per fondare nel 1994 un partito Nazional-Bolscevico, con Eduard Limonov. Al quale qualche anno dopo lo lascerà. Sulla base di un manifesto, “La rivoluzione conservatrice”, pubblicato nel 1994, che fa proprie le posizioni  della “rivoluzione conservatrice” tedesca (antihitleriana) degli anni tra le due guerre.
Di dieci anni più giovane di Putin, Dugin ha la stessa formazione, all’ombra dei servizi segreti che portarono alla perestrojika, e poi tentarono di governarla. Nei primi anni Duemila ha fondato vari partiti e movimenti euroasiatici. Da qualche anno ha posto il centro della sua attività a Astana, la capitale del Kazakistan, che il dittatore Nazarbayev ha dichiarato capitale dell’Eurasia.

Guerra – “La guerra è l’impiego illimitato della forza bruta”, è la prima e più vera definizione che ne dà von  Clausewitz, il suo massimo teorico. Che ribadisce il concetto: è “un duello su vasta scala”, e “un atto di forza per costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà”.
Sempre si propone di Clausewitz la massima: “La guerra non è che la continuazione della politica altri mezzi”. Per inferirne una “giustificazione”, come se la guerra fosse un atto politico – diplomatico, di mediazione. E quasi inteso a ristabilire il diritto. In contrasto con l’evidenza, ma anche col pensiero vero di Clausewitz, secondo il quale “la politica è la culla dove si sviluppa la guerra”.
Clausewitz aveva una concezione bellicosa e non compositiva della politica. Perché la vedeva nella sua componente esterna, da nazione a (contro) nazione, invece che come amalgama di una nazione e una società. E perché era anch’egli un prussiano, che ragionava con logica prussiana, della politica come potenza – si arruolò che aveva dodici anni, e divenne generale di corpo d’armata.
L’arte della guerra prussiana si è peraltro estesa dopo le guerre napoleoniche a tutta l’Europa, con la coscrizione obbligatoria e “il paese in armi”. Clausewitz lo diceva: “La guerra non scoppia mai in modo del tutto improvviso, non è l’opera di un istante”, e “non è mai un atto isolato”.

astolfo@antiit.eu



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La ripetizione scardina il linguaggio

Autore e pièce dimenticati, che avviarono il teatro dell’assurdo e tennero banco a Parigi per decenni, seppure in una sala piccola – ma “La cantatrice” è un monologo. Ne parla giusto Nuccio Ordine, cui viene a proposito per “L’utilità dell’inutile”.
Il teatro dell’assurdo riporta alla rilettura in automatico a Hemingway, “Il vecchio e il mare”, e alla sua maestra, Gertrude Stein: l’effetto straniante (polimorfo) della ripetizione, della parola ripetuta – basta poco per rompere il contesto (abitudine, luogo comune).
Eugène Ionesco, La cantatrice calva

lunedì 18 novembre 2013

Il compromesso restaurato

Letta dice il governo “più ristretto, più stabile”. Anche nell’umorismo involontario mediando il pragmatismo di Andreotti. Cui il suo governo riconduce, ora che dalle larghe intese passa al quadripartito: tre partitini stretti ora attorno al Pd, allora alla Dc, con l’appoggio esterno di un grosso partito, allora il Pci oggi Berlusconi. Un ritorno agli anni Settanta dei “governicchi” di Andreotti voluti da Moro e Berlinguer. Anche allora giustificati dall’urgenza economica. Che finirono col terrorismo e la morte di Moro.
Erano i governi detti del compromesso storico, ma erroneamente: il Pci di Berlinguer che li sosteneva non contava nulla. Lo stesso oggi: il governo si dice delle larghe intese, ma Berlusconi non conta nulla. C’è Napolitano al Quirinale invece di Leone, ma non si può dire che abbia più autorità che il suo infelice predecessore - che poi Berlinguer sacrificò. Resta a Letta di ripetere infinite volte i suoi governicchi, come Andreotti seppe fare.  

Ombre - 198

Dopo il quasi dimezzamento dell’elettorato in Sicilia, la Basilicata va oltre, sfondando il 50 per cento: ha votato il 47,6 per cento. Qui non possiamo nemmeno dare la colpa a Berlusconi, la regione Basilicata è di sinistra.

Il Pd si divide (su Cancellieri, le tasse, le primarie, i circoli vuoti), chiude le sezioni, sospende il tesseramento, ma il “Corriere della sera” fa oggi sei pagine su Berlusconi, una sul Pd. Berlusconi paga almeno la pubblicità?

Appena passata di mano, Fonsai è dichiarata la compagnia di assicurazioni meglio amministrata d’Italia, ed è la stella di Borsa – ha raddoppiato di valore in dieci mesi..

Dopo Dolce & Gabbana, il pool reati economici della Procura di Milano, una diecina di giudici diretti da Francesco Greco, beccano Vanessa Incontrada, sempre per evasione fiscale. Poca roba, per il resto Milano è a posto.
Qualche calciatore, però, non guasterebbe.

Reclutato a un’assurda campagna contro l’Opera di Roma e il maestro Muti, Valerio Cappelli ne compara sul “Corriere della sera” i numeri con la Scala: pochi spettatori a Roma rispetto a quelli di Milano. Soprattutto considerando che Roma è città turistica. Ma i turisti a Roma hanno il Colosseo cui pensare, San Pietro, Trevi, perfino il Vittoriano, le masse sono perverse. A Milano invece la Scala, non hanno altro.

Carmine Gallo è un sottufficiale di Polizia che si è segnalato a Milano contro la ‘ndrangheta (rapimenti di persona) e la droga. Sottoposto a vari processi, è stato assolto ultimamente dalla Cassazione in quanto vittima di vessazioni da parte dei Carabinieri del Ros. Uno pensa di aver letto male.

La Guardia di Finanza deposita in ritardo di due mesi la “notazione” sul traffico telefonico di Antonino Ligresti con Anna Maria Cancellieri. In tempo per 5 Stelle. Dice: avevamo altro da fare.

C’è una Spectre in Italia? C’è. Regnante Napolitano, Comandante in Capo delle Forze Armate.

Ghedini trova la strada maestra per Berlusconi nell’affidamento ai servizi sociali, che estingue anche la condanna ed evita l’incandidabilità politica. La soluzione che la Procura di Milano aveva individuato - e pubblicizzato, in una serie minuziosa, sul “Sole 24 Ore, a cura di Donatella Stasio, capo servizio giudiziario – subito a ridosso della condanna del giudice Esposito:

“L’intera vicenda della trattativa”, lo Stato-mafia, “è costellata di episodi e rivendicazioni dal movente poco chiaro”. Non piacciono più al “Corriere della sera” le minacce di Riina, e lo dice in un articolo anonimo. Omertà? Resipiscenza?

Le minacce di Riina al pm dello Stato-mafia forse sono vere forse no. Le interpretazioni del procuratore Capo di Palermo Messineo sono invece vere, nel senso che Messineo l’ha detto: Riina vuole morto il pm Di Matteo “per ordini superiori”.

Di  Matteo era pm a Caltanissetta quando le indagini sulla strage di Borsellino e della scorta furono deviate su una falsa pista. Per caso, certamente, o incapacità. Il giudice Grasso, da Palermo, le indirizzò sulla pista giusta. Divenendo per questo Procuratore Nazionale Antimafia , senatore, e presidente del Senato. Da qui ora fa lega con Di Matteo, e questo è strano: sembrava avesse ancora un gradino da scalare, al Quirinale.

Catello De Martino ha fatto dell’inesistente, costosissima, Opera di Roma il miglior teatro d’opera italiano degli ultimi tre anni. Perfino stupefacente la penetrazione del belcanto, in forma di opere intiere, con recitativi e cori, nelle scuole elementari, con Mozart e Verdi, e in questo 2013-2014 Leoncavallo. Ma se ne deve andare: il sindaco Marino vuole la sua poltrona. Anche a costo di passare per il commissariamento – con un uomo suo. 

Questo sito l’aveva detto, Marino vuole un uomo suo all’Opera di Roma. Ma non per questo Marino lo fa: i “novissimi” della politica sono come i vecchi, forse più avidi.

Troppo ricca Hvb, troppo indigente l’Italia

Arriverà più credito disponibile per l’economia dall’unione bancaria europea, per quanto annacquata dalla Germania, che dalla nuove regole sulla capitalizzazione e le riserve che entreranno in funzione e gennaio - l’accordo Basilea III. Il fatto è emerso a margine della polemica, venerdì scorso, tra Unicredit e il “Financial Times” su alcune dichiarazioni della banca. I due maggiori gruppi bancari, Unicredit e Intesa, che si sono allargati a caro prezzo nell’Europa centro-orientale, potranno rinazionalizzare vasti ammontari di capitale  non più necessari a rafforzare le banche acquisite.
La rivelazione è venuta da una comunicazione allo European Council on Foreign Affairs di Giuseppe Scognamiglio, un dirigente di Unicredit con una lunga esperienza di diplomatico. Riferendosi al core tier 1 di Hvb, la consociata bavarese di Unicredit, che è più del doppio, il 20,7 per cento, rispetto al 9 per cento richiesto da Basilea III, Scognamiglio calcolava che Unicredit potrà rimpatriare 7 miliardi di euro del capitale sottoscritto di Hvp, con un effetto leva pari a 40 miliardi di credito disponibile per l’economia italiana.
Il core tier 1 è il rapporto tra capitale sottoscritto e riserve accantonate da una parte e gli impieghi dall’altra. Anche in Italia, Unicredit e Intesa hanno un core tier più elevato del prescritto, dell’11,7 e 11,5 per cento rispettivamente. L’operazione Unicredit-Hvp, benché immune alle indagini penali, a differenza della successiva operazione fotocopia Mps-Antonveneta, ha appesantito il gruppo italiano in questi difficili otto anni interorsi dall’acquisto. 

Fisco, appalti, abusi (40)

Vi rubino i documenti. Il duplicato della patente vi costerà 10 euro, quello della carta d’identità 11.

Vi rubino i documenti e siate con la social card, il libretto di risparmio postale, la pensione sociale alla posta. Ci vorranno tre code di ore, e almeno due settimane di tempo, per riavere la social card, col credito disponibile, la disponibilità del risparmio e la pensione. Per il pagamento della pensione si può fare “cagnara”, almeno a Roma, per il resto le Poste sono inflessibili.

I manager italiani sono i più pagati, nelle medie europee. Primo viene Marchionne, con 46 milioni e mezzo (18,7 Fiat, 27,8 Fiat Industrial).

I manager dei paesi in crisi sono i più pagati: prima degli italiani vengono nelle statistiche europee gli spagnoli.

Le retribuzioni dei manager italiani sono in rapporto inverso anche con le dimensioni delle aziende da loro gestite: le società europee capitalizzano mediamente tre volte più di quelle italiane.

Non c’è solo il Monte dei Paschi che comprò Antonveneta per il doppio di quanto valeva. Anche Unicredit pagò la bavarese Hypovereinsbank per il doppio del valore nel 2005, 15,4 miliardi invece di 7-8.

L’ermeneuta ermenauta

Lo “squalo del denaro” (“Manchette pubblicitaria”), “creatura primitiva che,\ in quanto priva di\ apparato respiratorio autosufficiente,\  per esistere deve circolare\ non fermarsi mai”, è anche un trattato di economia. È uno degli epigrammi, sembrerebbe in serie, per vena irresistibile, sparsi dal poeta qua e là negli anni 1990, qui unificati figurativamente attorno allo spoglio del giornale - per “frinire” ascoltando “remote\ le rotative\ rotanti\ nell’oscurità\ per dare forma\ all’aldiquà”. Da “ermeneuta del testo,\ ermenauta del resto”. Navigando già in rete, tra pixel e autostrade a fibre ottiche, avvertito – “(Questa non è la tela, ma il suo ragno.\Questa non è la rete, ma il reziario)”.
Un’antropologia della contemporaneità (quotidianità), divertita (s’indovina), divertente (un po’ meno). Gli epigrammi sono asintotici, come raffrenati. Da una voglia di misura. O da un genio e una passione che non hanno voglia (hanno paura?) di caratterizzarsi – “ogni diversità” tradotta “in un siero pentecostale”. L’effetto è riduttivo: il tema vasto, perfino importante, la lettura del giornale, si risolve in battutine. L’ironia dissecca?
Valerio Magrelli, Didascalie per la lettura di un giornale

domenica 17 novembre 2013

Berlusconi moltiplica l'offerta

Tre destre, anzi quattro con l’ex Msi di Storace e Fratelli d’Italia. Senza più delfini, anzi interlocutore obbligato, essendo il capo del maggiore partito di opposizone, malgrado le interdizioni.
Berlusconi sconta in anticipo il suo ridimensionamento, con l’uscita dal Parlamento e i dieci mesi di servizi sociali, moltiplicando l’offerta politica. Non è una novità, è il suo modo manageriale di fare politica: a un mercato disappetente: si diversifica l’offerta, con tre per due eccetera.
Nello stesso tempo ripersonalizza il suo partito. Che non presenta più alter ego con cui dialogare in sua assenza: ci sarà solo lui, e sarà un interlocutore obbligato di chiunque voglia fare una riforma.
È tutta qui la divisione, non traumatica, del vecchio partito di Berlusconi. Che si riorganizza anche in previsione di un Pd targato Renzi, che lo vorrà giovanilista all’eccesso. Sbaraccando con Alfano e Formigoni i giovani vecchi. E dissuadendo i Ciellini e gli altri giovanilisti moralisti dal passare con Renzi.
Per Alfano la costituzione di un suo proprio partito può essere un passo avanti verso il nuovo Centro (ex) Dc, con Casini e Monti. E con la possibile divisione del Pd dopo Renzi. Fuori cioè dalla destra. Già oggi il governo Letta è un ritorno ai vecchi governi di coalizione, con tre o quattro partitini centristi attorno al Pd invece che alla Balena Bianca. Ma l’ipotesi neo guelfista dovrà fare la prova del voto, già fra sei mesi alle Europee. La componente ciellina, benché forte con Lupi e Mauro in due ministeri chiave per gli affari, non garantisce più un largo voto. Dopo il fallimento di Monti, ogni ipotesi centrista, malgrado il gran parlare che si fa del Centro decisivo, è da verificare.

Un papa non viene dal nulla

“Sincerità, semplicità, sobrietà” Bruno Forte pone a fondamento, sul “Sole 24 Ore”, della popolarità di papa Francesco. In tono elogiativo, con apprezzamento senza riserve. Ma mettendo involontariamente in moto un procedimento antifrastico. Se si riflette, cioè, che la Chiesa procede per severa cooptazione, il suo procedimento politico cardine. Democratica, cioè ad accessi aperti, ma ipercontrollata nella “carriera”: Bergoglio è diventato papa essendo stato per lungo tempo vescovo e poi cardinale.
Confondere un papa con il Francesco per antonomasia è inoltre un segno del rigetto della politica che ci sta soffocando. Un papa non può esserlo, essendo per definizione un capo e un governatore. Né lo era san Francesco, che non fu un testimonial ma un santo di profonde e ragionate politiche. Del resto, andare al Quirinale in una piccola Ford, magari seduto accanto all’autista, è segno di sobrietà,  o ostentazione di sobrietà?
Questo papa vuole fare notizia. A che pro? È l’arma del populismo, tenere occupate le folle. In questo, il papa è argentino in tutto, niente di piemontese o genovese in lui. Ratzinger era persona morigerata, i Giovanni Paolo e tutti gli altri che lo hanno preceduto, compreso Pio XII, non si vedono più da secoli papi del lusso. Hanno abitato i palazzi vaticani e vestito cerimoniali per preservare il ruolo. L’ostentazione è di questo “papa umile”: twitta, telefona, impone la mani, usa scarpacce, e lo fa sapere. Invita Scalfari nello studio seminterrato che sa di suore perché ne parli.  

Secondi pensieri - 156

zeulig

ChiomaDegli idiomi del corpo, complessi e avventurosi, sempre oltre ogni luogo comune, la chioma è uno dei più vari, per foggia, ampiezza, colore, durezza, morbidezza, vaporosità. Angela Davis alla London School of Economics nel 1966, al seminario di Economia dei paesi in via di sviluppo, incuteva rispetto per la chioma prima che per le argomentazioni.

Wikipedia solo ne riporta aneddoti. Tipo che: in Cina tagliarsi i capelli era un disonore. In quale Cina? O che le mogli dei marinai nei paesi di mare non si tagliano i capelli finché i mariti non sono tornati. Mentre quando possono vanno dal parrucchiere, specie in assenza dei mariti, che sempre sono comunque ingombranti. La trattatistica della seduzione, pure ampia, si imita a farne un segnale secondario, nell’uomo come nella donna. È tutta ricorrente nella tradizione, specie nella forma lunga.
I capelli lunghi sono motivo di vanto in Assalonne, verità e forza in Sansone, santità in Samuele - sono squallore e bruttura in Nabuccodonosor, il nemico. In Gulliver sono più che altro d’impaccio. Il dottor Groddeck ha individuato nei pazienti affetti da caduta di capelli il desiderio di perdere con essi i pensieri. Tenerseli, e esibirli, ha quindi il significato contrario, di assunzione delle responsabilità. Del resto Cesare significava in origine capelluto, derivato da Gilgamesh-Sansone. Secondo Desmond Morris le ciglia false erano una specialità britannica già nel Settecento, e la fronte bassa un segno di bellezza in Egitto, Svezia, Francia nell’antichità. Come in India, dove i capelli lunghi e ben oliati distinguono i moralmente superiori.
Negli Usa si vendevano nel 1968 ogni giorno quarantamila parrucche alla Beatles. E se uno non si cresceva i capelli, o si era liberato dei pensieri alla Groddeck, l’unico da cui Freud accetta d’avere imparato qualcosa, era un fascista. Quarantamila parrucche al giorno fa quindici milioni l’anno, tutti simil Beatles: la rivoluzione era preclusa ai calvi?
I capelloni furono nello stesso 1968 l’innovazione più contesa. Non bisogna sottostimare il carattere politico del fenomeno. Il golpe di Napoleone il 18 brumaio maturò quando due giovani al caffè Garchi furono insultati e uccisi per la loro elaborata pettinatura su istigazione del Direttorio, che s’immaginava di governare anche l’estetica. Nel 1968 si sarebbero pensati i capelli lunghi un ritorno all’ipertricosi risorgimentale, con baffi atteggiati e barbe. Ma il professor Spadolini, del Risorgimento custode, che dirigeva il Corriere della sera”, disse l’argomento blasfemo e promosse una serie di crociate giornalistiche contro.

Musica – È “le anime profonde, della materia recluse,\ in lotta per il soffio di vita, per la liberazione”, dell’ode “Die Töne” di Karoline con Günderode: il musicista è colui che libera le catene “affinché il desiderio\ melodioso sgorghi fuori dal mutismo”.  I suoni non si creano, sono “liberati”: incamminati “sul blu dell’arcobaleno,\ sulla cresta delle onde selvagge,\ guizzarono stormendo in cima agli alberi,\ in gola all’usignuolo sospirarono” e all’orecchio dell’uomo mormorando “s’innalzarono al suo foro interiore”.  Una “storia” molto persuasiva, ne inquadra il mistero più che la logica dei numeri.

Riposo – Sandro Zanzotto, il poeta, in una prosa di quarant’anni fa sulla “zona” del Quartier del Piave, la sua “zona”, fa grande caso dell’ “antichissima Pieve di San Pietro di Feletto”, che ne è la storia e l’anima. E, “nel piccolo raccolto battistero” della chiesa, di alcuni affreschi. Uno è su un tema “che merita veramente una grande attenzione, anche perché se ne ritrovano esempi piuttosto raramente, in Italia sono soltanto due o tre, poi nei Grigioni se ne ritrova qualcuno. Il tema è quanto mai affascinante e dall’affresco emana un senso di mistero, di enigma sotto certi aspetti. Il tema è quello del «Cristo della domenica», cioè il tema originario sta a significare tutti i dolori, in qualche modo, che vengono apportati al Cristo dall’infrazione del divieto del lavoro domenicale”.
L’emozione del poeta è “poetica” – Zanzotto si sarebbe meravigliato di aver posto il fatto religioso (l’interdetto, la figura del Cristo) a nucleo del suo “essere”: nostalgico, emotivo, epidermico. Ma il riposo è un messaggio e una sociologia. Più caratterizzato oggi che si ripudia, al confronto cioè con l’odierna sua cancellazione. Progressiva  e giusta (lo shopping del lavoratore, la fitness, la wellness, l’aggiornamento, il social network): economica, sociale, sanitaria. Ma è dove, anche, il “messaggio” laico – la razionalità a basso voltaggio, la modernizzazione presunta, l’opinione pubblica falsa, com’è forse della sua natura – si appiattisce. Sul business. Che invece è sempre (per definizione) furbo.

Sopravvivenza – Non si parla d’altro, nelle aree e fra i popoli più ricchi della terra, e più studiosi. Per una prospettiva che comunque sarà, non potrà essere di meno, di milioni di anni – quanto è impossibile immaginare della storia. In una col sogno realistico di un’estensione di decenni della vita media, con l’abbandono di Dio e di ogni altro supporto metafisico, e con la fiducia, che si penserebbe ragionata, nella propria capacità d’intraprendere. Per una forma apotropaica, di  scongiuro? Per una voglia di masochismo?

Suicidio – La bella e gentile Karoline von Günderode si pugnalò prima di buttarsi al fiume, subito dopo essersi scritto l’epitaffio, a venticinque anni, per un torto d’amore subito, lei che non credeva all’amore. Lo scrittore argentino Francisco Lopez Merino si uccise davanti allo specchio, nella cantina del Jockey Club a La Plata. Si suicidavano i soldati giapponesi nell’ultima guerra piuttosto che arrendersi – meglio un giapponese morto che uno vivo?
La fantasia non difetta. Arria, matrona romana, esitando il marito Cecina Peto, s’affondò il pugnale nel petto, lo estrasse, glielo porse e disse: “Paete, non dolet”. Massinissa invece, il leader libico, mandò a dire alla moglie Sofonisba, quando entrambi caddero prigionieri di Scipione l’Africano: “Evita l’onta del suo trionfo, ucciditi!”. Petrarca commosso ne ha tratto il poema “Africa”. Sofonisba aveva lasciato il marito Siface, re dei Massesili, dopo averlo spinto a fianco di Cartagine, per Massinissa in quanto filoromano. Anche se non tutte le precauzioni riescono: Vercors, esordendo con 21 ricette pratiche di morte violenta, come richiesta d’amore all’amata, si vede ingoiare un veleno e impiccarsi a un albero, lanciandosi poi nel vuoto sopra la Dordogna mentre si spara alla tempia, se non che il salto gli devia il tiro, la pallottola taglia la corda, e il suicidario cade nel fiume, da cui lo trae in salvo un pescatore di trote, dopo che ebbe vomitato nell’impatto il veleno.
Weininger si uccise nella stanza in cui era morto Beethoven. Bisogna dunque disporre, se si ha un ideale, della sua stanza. A meno che il musicista non emanasse fluidi mortali. Si dice pure che il filosofo adolescente sia morto per l’odio di sé ebraico, ma i ricchi ebrei all’epoca, di censo o spirito, diffidavano del semitismo. Il compito è spesso lasciato al caso. Martin Eden si buttò in acqua due volte, la seconda con fatica, le spalle essendosi incastrate nell’oblò. Pericle Yannopulos, lo scrittore greco, si uccise cavalcando nel mare. Enrico, il figlio ribelle di Federico II di Svevia, saltava col cavallo le gole dei fiumi, finché annegò nel Savuto, che le acque ha basse. Si gettavano pure i felici iperborei di Plinio, da una apposita torre, ma dopo un lauto pasto. Uso restaurato da Gordon Childe, che in taxi ha raggiunto un dirupo a sud di Sidney.

Traduzione – È la funzione intellettiva (umana?) fondamentale: ravvisare - con i sensi, la mente, la memoria - confrontare, collegare, riversare. Ogni operazione intellettiva (umana?) è trasversale a due o più realtà, ognuna  definendosi con l’altra.

zeulig@antiit.eu

L’esistenza predatrice del mistico

Una schiava liberata, dopo che il padrone la sorprese in preghiera avvolta dalla luce? O suonatrice di flauto e meretrice? Di sicuro è una mistica, vissuta in Iraq nel secolo VIII, fino a vecchiaia inoltrata, benché in povertà, e di cui fu raccolta una serie di detti memorabili. Detta poi “la madre” del sufismo, il misticismo più radicale dell’islam – quello per cui anche la preghiera è una distrazione dalla comunione col Vicino, uno dei novantanove “bellissimi nomi” con cui Dio è invocato nel “Corano” (“più vicino a noi della stessa nostra vena jugulare”).
Una miniera. Paradiso e inferno “tradiscono” Dio: “Il culto dev’essere immune da speranza e timore”.E sul paradosso del pessimismo, a chi lamentava: “Che tristezza!”, risponde: “Non mentire! Di’ piuttosto: «Che poca tristezza!» Se tu fossi triste, la vita non ti rallegrerebbe…. La tua esistenza è tua preda, se sei saggio”.
Rābi’a, I detti di Rābi’a