sabato 14 dicembre 2013

Nostalgia del maschio

Da un’apologia all’altra: la solitudine riscopre la cura, il prendersi cura. L’orgoglio del sé si completa con la scoperta dell’altro-da-sé. O dalla singletudine alla famiglia, in veste di figli-genitori, se non di compagni-coniugi. Questi sempre assenti, ma quasi rimpianti.
La cura è l’attività domestica, di governo e assistenza – “lo sdebitamento tra le generazioni”. Rivista, non più sintomaticamente rifiutata: “L’esperienza della cura della persona e degli spazi domestici  è un’attività essenziale, anche se non pagata, nella qualità effettiva della vita” (Marina D’Amelia). Il “ribaltamento della cura” è il tema dei dibattiti dei gruppi femministi che Letizia Paolozzi incontra in giro per l’Italia, dal Veneto a Napoli, quale esponente del Gruppo meneghino femminista del Mercoledì, uno dei gruppi della “differenza”.  Dopo avere scritto con Alberto Leiss “La paura degli uomini”, degli uomini cioè impauriti – “si è inceppata l’autorità maschile”. Dopo la “femminilizzazione del lavoro”. Un dibattito che il Gruppo propone “a sinistra”, dunque politico. Anche se Letizia Paolozzi vi intravvede “brividi orwelliani”: “Capita che i legami scheletriscano nel «mi piace» mentre il corpo (e la differenza) rimpicciolisce fino a scomparire”, al § “Internet e la scomparsa del corpo”.
Una (ri)scoperta femminile, anzi femminista. Ma anche di qualche uomo: “La politica delle donne prova a invertire la marcia”. Malgrado “la cancellazione del patriarcato”, anzi “l’evaporazione del padre” (Recalcati), e “l’identità maschile vacillante” – vedi “la rinuncia” di Benedetto XVI. O non a causa di tutto questo?) Sempre azionando il corpo. Ma quella parte del corpo, psicologica se non fisiologica, che è solo femminile, come già sapeva Alice Munro: “Quando un uomo esce da una stanza, si lascia alle spalle tutto ciò che c’è dentro. Una donna, invece, si porta appresso tutto quello che c’è avvenuto”. La stanza, cioè la casa, e magari anche la famiglia, genitori, conviventi a vario titolo, figli. Un termidoro duraturo. questo del femminismo. Che come tutte le rivolte si è lasciati dietro, per lo scopo principale, tanti pezzi qualificanti e magari decisici.
A lungo colonna dell’ “Unità”, ex Potere Operaio, parigina dei tempi di Balestrini, Scalzone e Antonio Negri, che si distinse per piangere lacrime vere alla liquidazione del Pci, femminista nel 1972 quando le donne non ne volevano sapere, Letizia Paolozzi finisce per vedere uomini e donne muti, ognuno nel loro specifico. Il suo excursus vuole curiosamente vecchia maniera, vecchio Pci. In un femminismo di schieramento politico, e anzi di partito. Dove l’assunto (femminismo) e l’istituzione (circoli) sono tutto, ramificati in un pensiero unico – quella politica era ossimorica. E per ciò solido, stabile. Allargato qui alle Suore Salesie e alle Clarisse Orsoline, ma come contorno. La Cura (Heidegger) e la Cura di sé (Foucault), nozioni filosofiche, accostando all’“I care” del segretario Walter Veltroni. Saltando magari del tutto il contributo cerniera di Martha Nussbaum, quindici anni fa, con la sociologia politica del “tempo obbligato”, o lavoro non remunerato, per la cura dei non autosufficienti, bambini, anziani, portatori di handicap, ammalati.
Un tempo obbligato si può dire interminabile, tra figli e ascendenti. E faticoso come nessun altro: più che il tempo è in gioco la salute, nessun “lavoro” è più usurante, per il corpo e per lo spirito. Oppure no, e questa è la novità, e quasi un miracolo: è un impegno che rigenera, per stressante che sia. Forse un ricatto: in mancanza, la cattiva coscienza subentra. Perché siamo fatti così: dunque un modo di essere, una concezione transeunte della famiglia. Non fosse per il sospetto che la razionalità va oltre le utilità, inglobando per esempio la procreazione.
Di nuovo c’è anche – non detto ma individuabile - un esito esagerato della fallace concezione individualizzante (liberatrice) della telematica. In un mondo invece strutturato più che mai. Negli stessi ammodernamenti, che anzi si possono vedere sintonizzati al controllo. Tra élites sempre più ristrette e inaccessibili, e la massa. Le crisi vano “in automatico”, a danno sempre della massa, senza argini né mezzi di difesa – i soldi scompaiono senza che si possa nemmeno dire “al ladro!”. Senza spargimenti di sangue e anzi in dolcezza. Con molte “buone ragioni” anzi, compresa la globalizzazione, la cornice politica – che si può obiettare? Di cui due generazioni sono già vittime, i trenta-quarantenni, e ora i ventenni.
Un inizio dunque, una ripartenza. Mentre sarebbe tempo per un bilancio, del femminismo. In termini soprattutto psicologici, o dello sviluppo della personalità: è la donna più felice (soddisfatta, equilibrata, forte)? Quanto le donne si sono rafforzate? Nei diritti, certo. Di cui però c’è bisogno, per allargare il mercato del lavoro. Alla terza generazione, che ne è della madre, che si è rinnovata nel senso della figura maschile – e cioè dei figli delle madri femministe, e soprattutto delle figlie? Resta irrisolto il nodo politico della famiglia. Il tempo della cura scandisce la famiglia, questa “parte delle strutture fondamentali della società”, direbbe Nussbaum, per molti aspetti obbligata anch’essa e non libera. In alcuni casi ben regolata dalle leggi ma sempre irrisolta sul piano filosofico, e da qualche generazione anche su quello politico.
Letizia Paolozzi, Prenditi cura, et al./, pp. 90 € 9

Letture - 156

letterautore

Ermetismo – Prende il nome da Ermes. Messaggero degli dei e psicopompo, accompagnatore degli spiriti nell’aldilà. Ma è anche un sorta di Ulisse divino, così nell’“Inno omerico” a lui intitolato e dopo, dalle molteplici risorse (polùtropos), astuto, ladro, stimolatore dei sogni. Ridotto in letteratura all’espressione asintattica, e avulsa, a mero suono.

Fellini – È ancora il Grande Rimosso, il poeta e social scientist più attento e veritiero dell’Italia repubblicana. Dalla “Strada”, anzi dallo “Sceicco bianco”, a “E la nave va” o “Prova d’orchestra”, ottimista nello sfacelo, o al “Viaggio di G.Mastorna”, l’autobiografia storica a quattro mani con Dino Buzzati che non poté mai girare, di cui si pubblicano le sceneggiature, e alcune delle scene disegnate da Milo Manara. I vent’anni della morte, il 31 ottobre, sono passati quasi nel silenzio, in una cultura che pure non sa essere che funeraria: il Grande Censore degli anni fulgidi del neo realismo dev’essere ancora all’opera.
Si può periodizzare la storia della Repubblica con i film di Fellini. I primi, fino alla “Notte di Cabiria”, sono i film della speranza – la ricostruzione. Poi viene il boom - la borghesia trionfante e incerta: “La dolce vita”, “Amarcord”, “Otto e mezzo”. Poi il nulla: “La nave”, la “Prova” – non c’è in fisica un disordine inordinato e improduttivo, suicidario, in Italia c’è stato e c’è.
C’è l’Italia in filigrana anche nei film letterari, dichiaratamente immaginifici: “Satyricon”, “Roma”, “Toby Dammit” (Poe), “Casanova”, “La voce dalla luna” (Cavazzoni), “La città delle donne”.

Femminismo – L’immagine della donna, non più casalinga senza essere una vamp, fu rinnovata da Elena Sedlak e le gemelle Kessler, ballerine della televisione, negli anni 1960.
Boccasile le aveva precedute, il disegnatore di “Signorina Grandi Firme”, e nel dopoguerra di  tante pubblicità. Dalla domesticità al fascino, senza peccato. Subito, nel 1946, Boccasile si vide bloccata la pubblicità della Paglieri per la quale aveva disegnato una donna nuda senza niente di diabolico, e anzi angelicata. Si rifece dieci anni dopo.

È quello di Marinetti, “Il disprezzo della donna”, 1911: “In questo sforzo di liberazione, le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici, poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna, quanto più essa sarà impoverita d’amore, tanto più essa cesserà di essere un focolare di passione sentimentale o di lussuria. La vita carnale sarà ridotta unicamente alla funzione conservatrice della specie”.

Letteratura – Prospera come sfida al linguaggio, di cui si nutre: sempre rinnovata, anche nelle ripetizioni e i remake. È il senso della novella “Pierre Menard, autore del Don Chisciotte”, di Borges. Portata a epitome del paradosso del traduttore, la novella dà il senso delle letteratura. Innovativa nella (con la) ripetizione. Menard è l’autore che riscrive parola per parola il “Don Chisciotte”.

Proust – Si può dire bergsoniano anche in questo, oltre che per la “durata”: usa molte parole per forzare i limiti del linguaggio. Bergson era fermamente convinto che il linguaggio è una camicia di forza: la parola fissa, cose, concetti e contorni, delimitando la mobilissima percezione individuale, sempre ricca di sfumature, cornici, contesti.

È Secondo Ottocento pieno, anzi Belle Époque e Fine Secolo, nei personaggi femminili, le imprevedibili Odette, Albertine, Mlle Vinteuil, le comparse, le grandi dame. Imprevedibili e inafferrabili, se non da quel lato lì. L’“eterno femminino” di Goethe illustrato, se si vuole. Ma è anche la donna del romanzo francese: Balzac, Flaubert, Zola, lo stesso Stendhal per troppe incertezze. Non corpo, carne.

Traduzione – Il Montaigne di Fausta Garavini è “Montaigne”, saggio, preciso, amabile, conversativo. Anche in inglese Montaigne si presta a essere “Montaigne”, sottile  equilibrato, moderato. Mentre spesso è puntuto, e talvolta inconsiderato.
Non è il solo caso Mentre non c’è Rabelais in nessuna traduzione: resta sempre di più, di fuori.
Il Dante di Jacqueline Risset, l’ultima versione francese, è invece Dante per un tratto trascurato in Italia, il ritmo – per una carrellata interminata, che il lettore non vorrebbe interrompere, martellante.
 
Vittoriana – La cultura dell’epoca è sepolta sotto gli strali di Litton Strachey e Bloomsbury, fa tutt’uno con l’irreprensibilità morale che si voleva dell’epoca, “borghese” - l’epoca delle tendine alle finestre dell’“Orlando” di V.Woolf alla fine della corsa, o delle crinoline sotto le gonne e i busti di stecche d’acciaio. Ma era una borghesia che esprimeva e leggeva, Dickens, Thackeray, Trollope, Hardy, le Bronte, George Eliot, Stevenson, Conrad, per non dire di Lewis Carroll e dello stesso Wilde. Prosastica e non poetica, questo è vero. Ma Tennyson, Browning, Swinburne, Matthew Arnold, e infine Yeats si leggono sempre – si dice che la poesia salta un secolo, da Shelley, Keats e Byron a T.S.Eliot, che peraltro era americano, come Ezra Pound che ribaltò negli anni 1910 la sonnolenta scena inglese, ma non è vero. Anche Conan Doyle è ben vittoriano, per età, personalità e visione del mondo. E Wilkie Collins. O Kipling, la cui inventiva si ascrive all’India. E Carlyle, John Stuart Mill, Ruskin, Macaulay, W. Pater nelle scienze umane, per non dire di Darwin.
In pittura la scena fu invece moderna e perfino scandalosa. Prediligendo l’immagine femminile - insieme con la pittura monumentale, di rovine – e il flou. L’immagine velata, suggestiva, del sogno e della bellezza, del corpo, di Dante Rossetti, Burne-Jones, Leighton, Millais, Waterhouse, Alma-Tadema. Che il corpo fanno armonico. Soffice, casto benché scoperto, suggestivamente velato. Mentre Parigi, che Londra ben frequentava, privilegiava il realismo impressionista, di contadine e ballerine da tabarin – parti intime comprese.

letterautore@antiit.eu

venerdì 13 dicembre 2013

Che ci sta a fare Saccomanni?

Crescono le tasse e cresce il debito. Ognuno vede, non c’è bisogno del ministro dell’Economia, che la ricetta anticrisi è deleteria: non si sana nulla aumentando le tasse, si aumenta lo spreco e si peggiora il malanno. Che il gettito diminuisca quando si aumentano le tasse non è un caso, né una ridicolaggine: lo studente al primo anno di Economia lo impara, l’imposizione fiscale vuole accortezza, non l’incredibile semplicioneria di un Monti, e dei suoi eredi.
Cresce il debito malgrado una riduzione sensibile del costo delle nuove emissioni - in aggiunta alle tasse record. Le migliorate condizioni internazionali hanno consentito un costo medio del debito inferiore di almeno un punto nel 2013, da 3 al 2 per cento medio. Un minimo storico, con un risparmio – in termini di interessi da pagare sul debito – di 5-6 miliardi. Ciononostante il debito è aumentato e continua ad aumentare.
Ognuno vede che il bubbone è la spesa pubblica, ingiustificata, incontrollata, apparentemente inarrestabile. Alimentata dalla stessa crisi, dall’incapacità di arginarla, caso unico in Europa – la Grecia, pure tanto malmessa, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, ovunque i ratios  migliorano eccetto che in Italia, ogni paesi in crisi ha trovato come uscirne, ma non l’Italia. Aumentare le tasse peggiora, anzi, e non migliora i ratios, poiché le tasse inducono la recessione, e quindi gonfiano ulteriormente il  rapporto tra debito e pil.
La spesa pubblica non cresce in funzione anticongiunturale. Anche questo ognuno lo vede, non c’è bisogno del ministro dell’Economia. Cresce e basta: è la spesa cosiddetta improduttiva. In realtà produttiva di sperperi e corruzione, Soprattutto nella forma degli appalti, la sanguisuga dell’Italia. Di opere pubbliche in tutte le forme, ponti, strade, ferrovie, argini, palazzi, costano due e tre vuole che oltralpe. Questo non ognuno lo vede, è vero. Ma al ministero dell’Economia sì, lo sanno eccome.
uesto non ognuno lo vede, è vero. Ma al ministero dell’Economia sì, lo sanno eccome.

Ombre - 201

Il governo francese “assiste” il salvataggio della Peugeot. Assiste, cioè finanzia, lo Stato cinese che salva il gruppo automobilistico. Finanzia la società statale cinese che si fa figurare nuova socia. Senza che Bruxelles apra una “procedura”. Nemmeno esprima un allarme. Nemmeno mandi una richiesta d’informazioni. Almunia, il commissario alla Concorrenza, non legge il francese?

Tutti addolorati al funerale di Angelo Rizzoli. Senza mai dire che fu la prima vittima della Procura di Milano. Una cavia, si può dire, remissiva, su cui la Procura affilò i coltelli. Per primo la carcerazione, oltre un anno (Rizzoli sarà assolto – 23 anni dopo). Per craare l’alleanza coi “soliti noti”, i cavalieri del capitale.

L’alleanza della Procura di Milano col capitale buono fu agevolata, bisogna aggiungere, dal gentiluomo Cuccia. Che ne approfittò per regalare – proprio: gratis - la Rizzoli-Corriere della sera ai “soliti noti”, che pure disprezzava.  

Danilo Calvani, un capo dei Forconi, arriva al comizio Genova con una Jaguar nuova. Che però, tiene a precisare, non è sua: è di “un amico”, dice, “che mi ha dato un passaggio, un camionista”. Ma non voleva dire che le Jaguar sono dei camion – la più piccola costa su strada 60 mila euro.

L’arbitro Webb che incita i giocatori dell’Ajax negli ultimi secondi contro il Milan è impagabile.
Li consola poi per non aver vinto. Dopo aver dato loro un supplemento di recupero su un recupero record, per nessun motivo. Che altro poteva fare, si sa che gli inglesi non sono corruttibili.
Aveva anche evitato di vedere i loro abbracci ai milanisti.

Renzi trentenne arriva coi venti-trentenni, ostracizzando i settantenni. Il settantenne Berlusconi delega ai trenta-quarantenni. Il settantenne Grillo si tiene fuori mandando avanti i trentenni. Il ricambio generazionale è radicale e universale. Ma non si sente odore di nuovo.
I peggiori modi del vecchio anzi si instaurano subito: amicizie, cordate, chiacchiere, veleni.

Renzi- Letta. Il maggiore partito e il governo in mano ai Dc. Di colpo uno si ritrova indietro di un quarto di secolo, a De Mita-Andreotti. Sono l’angelo della storia di Walter Benjamin, che guarda all’indietro? O è che la storia non va avanti (ma questo chi lo dice?)?

Dunque, “La Traviata” alla Scala è un flop totale. Regia sbagliata, conduzione inetta, cantanti inadeguati, le critiche sono feroci. Vista su Rai 5, poi, è un disastro, con i cantanti fisicamente fuori ruolo – Violetta è la florida Damrau, drammatica come una casalinga. Ma Milano si celebra: ci impone anche i fallimenti – non nuovi.

Milano e la Scala che non sanno celebrare Verdi, neanche rappresentarlo non è solo uno scandalo, è un modo di essere della città che governa il Paese. E del Paese.

Le spese pazze – a titolo rimborso pie’ di lista - dei consiglieri regionali Pd alla Regione Lazio arrivano sul “Corriere della sera” otto giorno dopo i fatti. È sempre la sindrome “Lascia o raddoppia”? Se non ne parliamo, decise sessant’ani fa il “Corriere” giudicando pericolosi i quiz, nessuno se ne accorgerà.

Capotosti, presidente emerito della Corte Costìtuzionale a settant’anni, giudice della stessa a cinquanta, uno dei pupilli di Scalfaro, afferma il 5 dicembre: “Dal giorno dopo la pubblicazione della sentenza questo Parlamento è esautorato perché eletto in base a una legge dichiarata incostituzionale”. Questa Dc non ci risparmia niente – una sentenza retroattiva?

Poi Capotosti dirà – dopo qualche giorno, quando qualcuno glielo ha spiegato – di non averlo detto. Sempre il 5, invece, aveva detto: questo Parlamento, “quindi, non potrà più fare niente”. Cioè, nemmeno la nuova legge elettorale.  Dove li prendono?

Possono scopare solo i ricchi e fortunati. Il presidente francese Hollande, che pure si dice socialista, non sapendo che altro fare ha deciso di multare le scopate dei poveri e sfortunati: 1.500 euro a botta. Non è inventato, è vero.

Il linguaggio messo a nudo

Le “fourmis” del racconto di apertura sono piuttosto formicolii: li sente il soldato appollaiato, dopo una campagna al fronte, su una mina che scoppierà a rilascio di pressione. Uno che insomma il racconto ci fa in punto di morte, di corpi che s’afflosciano, lacerti che volano, teste , braccia, gambe mozzate, e buchi che si aprono nei petti. Una raccolta dei primi racconti, brevi, che si direbbero moralità: la guerra quale è, gli sbirri manganellatori, di guardia al Partito Conformista, la tortura dei compagni di viaggio in treno, il fornaio usuraio del sudore della fronte con cui condire il pane. Ma sono già Vian: un inventore, uno scopritore, e un trasformista. Delle cose e della lingua.
È una proposta che è una sfida. Le riproposte di Vian sono timide nella stessa Francia, ma in Italia sono ancora tabù, anche se la censura del conformismo dovrebbe essere caduta. Ma sono per il lettore un godimento.
Vian è una sfida anzitutto per il traduttore. È considerato autore faceto, del genere burlesco. Ma racconta come un Savinio più liberamente visionario – meno controllato ma con la stessa “leggerezza profonda”, o il “profondismo”, aborrito, lieve. E scrive come poi Robbe-Grillet e Godard e la Nouvelle Vague del cinema, per salti “logici”, il dopo-prima, e viceversa, il sopra-sotto, il davanti-dietro, etc,. Si legge, a quasi settant’anni dalla morte, per questo. I racconti, questi racconti in particolare, tra i primi suoi, sono soprattutto del denudamento del linguaggio. Dei suoi clichés il giocoso Vian è un feroce cacciatore.
Boris Vian, Le formiche, Marcos y Marcos, pp. 270 € 10

Alla ricerca dell’incidente – forza maggiore

Roma blindata giovedì 12: blindata è parola usata, ma è quello che si vedeva. Tutti i ponti, gli incroci e gli edifici pubblici sono stati iperprotetti dal primo mattino alle nove-dieci di notte, con schieramento di forze allargato a tutti gli allievi di tutte le accademie sottufficiali e agenti di tute le armi. Compreso l’esercito. E un elicottero in costante controlo dall’alto. La mezza città occidentale bloccata, con deviazione di km.  e trasporti pubblici dismessi.  Mentre il ministro dell’Interno Alfano alla Camera prospettava “una deriva ribellistica, indirizzata in modo generico contro le istituzioni nazionali ed europee” – poche ore dopo avere offerto al Pm del processo Stato-Mafia un carro armato per proteggersi.  Tutto questo a fronte di poche decine di manifestanti. Quasi tutti fascisti, professi, da tempo conosciuti. Anche all’università, dove si è voluto parlare di bombe carta e non di botti – i botti prefestivi che già affliggono Roma.
Questi Forconi agitano i Tir come quando, in Cile, si preparava Pinochet. Ma lo schieramento è esagerato. Denuncia un’incapacità informativa della tante polizie, compresi i servizi segreti d’informazione. E alla fine si sarà risolto in un  gigantesco straordinario pagato, per orario di servizio doppio per ognuno dei soprastanti. In piedi, certo, dodici, quattordici e sedici ore, a raccontarsi interminabili barzellette. Una giornata di riposo pagata agli autoferrotranvieri. Un esito che può non essere casuale, la Repubblica purtroppo si governa con l’immoralità, anche se di briciole. Ma c’era l’attesa e quasi l’auspicio di qualcosa che succedesse, il giorno della memoria di piazza Fontana. Non c’è ancora la nuova Dc ma c’è già il vezzo di farsi governare dalla forza maggiore?

giovedì 12 dicembre 2013

Problemi di base - 162

spock

Le sentenze della Consulta non si rispettano e non si applicano?

Le sentenze della Corte Costituzionale non sono rispettabili?

La Corte Costituzionale non è un tribunale?

I giudici della Corte Costituzionale non sono giudici?

La storia va avanti? Su quale strada?

La felicità è la corsa e non il traguardo? Si capisce che sia irraggiungibile.

Perché affannarsi tanto dietro la felicità?

Si corre per arrivare, o per correre?

Puro spirito? Perché lo spirito sarebbe puro?

spock@antiit.eu

Canto d’amore cortese per Pound

“Allora, sono pazza io, o lui?” Lui è Ezra Pound, io è H.D., Hilda Doolittle, donna bella, inquieta e vorace di corpi, che Pound trasse alla poesia. Una musa che c’è e non c’è nelle vite di Pound, ma lei sa di esserci sempre. Alla fine, la fine di entrambi, lui di 73 lei di 71 anni, in trattamento in una clinica svizzera, uno dei suoi tanti per motivi psichiatrici dopo varie psicoanalisi, H.D. rimemora su consiglio dello strizzacervelli il suo primo amore, col coetaneo, concittadino e compagno di scuola Ezra Pound, già allora geniale e balzano. Un ricordo psicoanalitico, per associazioni, “randomantico” si direbbe, apparentemente casuale, per immagini emergenti a caso. Amorevole, anche indulgente, ma senza essere affettato, che attrasse molto Pound, cui Hilda lo mandò in lettura, propiziandone una serie di lettere, ultime lettere, che fecero la primizia di questa raccolta alla sua prima edizione vent’anni fa.
Il volume, curato da Massimo Bagigalupo con un’introduzione e un apparato bibliografico e di note esplicative che sono una lettura in se stesse, comprende anche un articolo di David Rattray, “Weekend con Ezra Pound”, nel manicomio di St. Elizabeth a Washington, pubblicato su “The Nation” nel 1957, alla vigilia della liberazione del poeta. Con un corredo di foto molto significative di Ezra e Hilda. Le lettere, a commento della memoria di Hilda, sono quello che dice Bagigalupo, “di un’intimità e lucidità insolita per Pound”. E “un  documento altamente drammatico, in cui il poeta registra a caldo l’ultima e definitiva crisi della propria capacità di pensare e creare”. Dopo, tacerà.
Nella compilazione originale, New Directions, 1979, ancora in commercio (“end to torment”. A memoir of Ezra Pound by H.D.”, $ 9,50) si può leggere anche lo “Hilda’s Book”, le composizioni di Pound per Hilda, 1905-1907, con titoli mistilingui, in inglese, latino, italiano, francese, di sentito “cortese”. Cinque delle venti poesie del quaderno sono state riprese, con varianti, nelle prime pubblicazioni di Poud. Martin King, il curatore dell’edizione 1979, aveva trovato molte poesie a Hilda ancora non pubblicate: “Le poesie dell’«Hilda’s Book», e altre del «San Trovaso Notebook», sono tra molte poesie giovanili indirizzate a Hilda (come «Ys-hilda» o «Ysolt»), che restano inedite e sono ora negli Archivi Pound a Yale”.
La reviviscenza è casuale: “ll dottor Erich Heydt mi ha iniettato Ezra, infilzandomi la siringa nel braccio. «Conosce Ezra Pound, vero?». Fu quasi cinque anni fa. C’è voluto molto tempo perché il virus o l’antivirus facesse effetto”. H.D. è il nome d’autore che Pound diede a Hilda doolittle alcuni anni dopo i fatti, a Londra, dove lei era sposa del poeta Richard Aldington, nel mentre che, fattivo e decisionista come sempre, riaggiustava e imponeva i primi versi di lei, “H.D, Imagiste”, a Londra e negli Usa su “Blast”, “Poetry” e altre prestigiose riviste. Non un gran nome, ma lei se lo terrà per sempre.
S’incontrarono che lei aveva 15 anni, lui 17. Fino ai 21 anni di lui, quando Ezra partì per l’Europa, dopo un episodio boccaccesco di cui si ritenne vittima al liceo dove faceva le supplenze. Fu un vero fidanzamento, con le famiglie, le visite reciproche, i progetti. Benché non voluto dalla famiglia di lei. Suo padre brucerà, per “sollevarla”, le lettere che Pound le scriverà dall’Europa, e il rapporto s’interromperà. Hilda dimentica Ezra, accompagnandosi anch’essa in Europa con Frances Gregg, una giovane madre, e poi con vari uomini, mariti e non – con uno di questi, il musicista Cecil Gray, fece anche una figlia, una shakespeariana Perdita,  mentre era sposata con Aldington. Ezra  non ne fece una malattia.
Is-Hilda
Al college e nel successivo fidanzamento le aveva fatto conoscere e amare la musica, la poesia, il teatro. Molti vezzeggiativi inventando, “lince”, “Circe”,  “Is-Hilda” (per Isotta). Sommergendola sotto “una valanga” di letture, a partire dalla già amatissima poesia cortese provenzale - con Dante Gabriel Rossetti, non ancora il Dante di cui si vorrà reincarnazione. Per lei scrisse poesie che poi raccolse in un albo prezioso con copertina in pelle, “Hilda’s Book”, che una delle amanti di Hilda, voracemente promiscua fino in tarda età, o il figlio di una delle amanti, o uno dei suoi curatori editoriali poi si vendette all’asta. Un rapporto fervoroso, che rimarrà costante attraverso i matrimoni e le infatuazioni dell’una e dell’altro – che Hilda rende a suo modo sempre nella tipologia del’amore cortese, tra ammirazione e devozione..
Il primo amore resta a Hilda misterioso - “attraverso quale miracolo si consuma il mariage du ciel et la terre?” - ma indelebile. Anche H.D., per quanto molto etablished, convivente infine a vita di una delle più ricche ereditiere svizzere, Winifred Ellerman detta “Bryher”, voleva essere folle. Un legame ininterrompibile che Pound condivise, scrive Hilda, con molti altri: “Consciamente o inconsciamente, sembra che siamo stati incatenati con lui, intimamente legati a lui e al suo destino”. Alle sue follie, cioè, mitologiche, esegetiche (Pound è un pozzo di scienza), linguistiche, sempre entro orizzonti progettuali sconfinati - con una sola, comune, riserva: sul fascismo e l’antisemitismo.
H.(ilda) D.)oolittle), Fine al tormento. Ricordando Ezra Pound. Con lettere a H. D. e «Il libro di Hilda» di Ezra Pound, Archinto, pp.253 € 20

mercoledì 11 dicembre 2013

Umorismo delle avanguardie, involontario

Messi insieme, i testi base del futurismo fanno un’antologia umoristica. La “divina velocità”, l’“istinto eroico”, contro il “chiaro di luna” e contro “Venezia passeista”. La “il disprezzo della donna”, e della sintassi? “Illuminazioni, dice Marinetti nell’introduzione apparsa all’epoca su “Le Figaro”, alla luce di “lampade di moschea”… Molto manierista.
Con questa roba Marinetti ha imposto la voga per le avanguardie, che ha condizionato il primo Novecento, e ancora dopo, i “Novissimi”. Senza rinnovamento. Le avanguardie sono sterili? Vengono dalla pittura, ma c’è Picasso per il cubismo, la più insigne di esse.
F.T.Marinetti, Tuons le clair de lune!! Manifeste futuriste et autres proclamations, Les Mille-et-une-nuits, pp. 79 € 2,50

Cancellare Craxi

Anche vent’anni l’Italia si rinnovava:
“Non una riga sui giornali del memoriale che Craxi ha reso pubblico ieri alla Camera sul finanziamento dei aprtiti. E sono giorni di stanca nella cronaca politica e giudiziaria. Craxi quindi non è escluso da fatti più drammatici: possibile che in questo memoriale non dica nulla che abbia più peso di una dichiarazione del professore Visentini?
“È possibile che l’esclusione di Craxi sia organizzata – poolizzata? È un fatto”.

Il mondo com'è (156)

astolfo

Alimentazione – Peggiora con la scienza, alimentare e medica. Si passa di decade in decade, di generazione in generazione, dal niente acqua a due litri di acqua al giorno, sempre perentoriamente, per leggi fisico-biologiche poi rovesciate – tornerà l’acqua con giudizio? Dal tutto latte, bevete latte il latte fa bene, al poco latte. Dal tutto carne alle proteine vegetali. Dal niente zucchero, solo saccarina, al niente saccarina. E la pastina glutinata, tanto raccomandata, che tanti bambini ha condannato al rachitismo? E i conservanti, i glutammati, i polifosfati, i solfiti? L’alimentazione scientifica.

Giustizia politica – L’atto di nascita si può situare nella condanna e l’arresto di Indira Gandhi, forse la statista più apprezzata, rispettivamente nel 1975 e nel 1978. Compreso il contro-effetto: Indira Gandhi sfidò nel 1975 la condanna, continuando a governare l’India, malgrado l’interdizione dai pubblici uffici per sei anni, perse le elezioni nel 1977, le rivinse ampiamente tre anni dopo. E sarebbe durata a lungo al potere, non fosse stata assassinata nel 1984 dai terroristi sikh.
L’India è probabilmente il paese dove la giustizia è più politicizzata. In singolare contrasto con la prassi britannica, che dominò l’India a lungo. Ma l’India non ha preso nulla dalla Gran Bretagna, a parte la lingua. Dappertutto, dove Londra ha dominato, ha lasciato caratterizzazioni durevoli nella Pubblica Amministrazione in generale (procedure, codici, finanze), e negli apparati repressivi specialmente (polizia, giustizia). Anche negli Stati africani meno consolidati, Uganda, Sudan, Sierra Leone. Ma non in India: dal sistema castale - sotto al democrazia formale - ai codici, alla gestione della giustizia.
Non è politica invece, contro le apparenze, la giustizia contro cui si sbraccia l’Europa di Bruxelles: la carcerazione di Julija Tymoscenko, la bionda leader dell’opposizione in Ucraina. Tymoscenko è  bruna, si è tinta bionda e ha adottato la crocchia quando decise d’incarnare il tipo contadina. È un’avventuriera e un’affarista, nonché probabile assassina, di un concorrente per il gas russo, di cui è l’importatrice in esclusiva, con aziende sue, del marito e di prestanome.

Mandela - A ridosso dell’India e di Indira Gandhi, le stesse procedure applicò il Sud Africa – dove il mahatma Gandhi per prima si risvegliò alla politica: la giustizia politicizzata. Il Sud Africa indipendente delle larghe intese, di Nelson Mandela con la comunità bianca ex razzista, nei confronti di Winnie Mandela, moglie di Mandela nella lunga carcerazione. Anima in quegli anni dell’African National Congress, il movimento anti-apartheid di Nelson, Winnie l’aveva rafforzato malgrado la dura politica repressiva del regime razzista, con grande abilità e con molti rischi personali. Fino a  mettere l’apartheid alle corde, propiziando l’uscita di Nelson dal carcere e il ritorno del Sud Africa agli africani.
La liberazione di Nelson coincise con il divorzio d Winnie. Prima e dopo il divorzio, Winnie sostenne una politica dell’integrazione ma non di pacificazione. Non con la le stesse élites bianche dell’apartheid – criticò vivacemente l’accettazione del premio Nobel per la pace di Mandela con De Clerk, l’ultimo presidente “bianco”.
Winnie pagò l’opposizione alla politica di conciliazione con durissimi processi, lungo una quindicina di anni, tesi a farne una belva umana, con accuse di stragi, omicidi odiosi, rapimenti, estorsioni, ruberie. Sempre assolta – non propriamente, la sua assoluzione non essendo politicamente possibile, tuttavia mai condannata. E resta candidata di bandiera dell’African National Congress che governa il Sud Africa a ogni elezione – solo non deve candidarsi alla presidenza.

Migranti – Sono i nuovi schiavi, di una nuova tratta. L’emigrazione è oggi, più che una scelta volontaria, sfruttamento organizzato. A opera di una caporalato.
L’emigrazione attuale, dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa è un fenomeno radicalmente diverso da quella europea verso le Americhe e l’Australia. La povertà e la sofferenza che le accomuna non possono obliterare le profonde differenze, che ne mutano la natura. L’emigrazione europea, anche quella poverissima dei ghetti ebraici dell’impero russo e dell’impero austro-ungarico, era in qualche modo organizzata e protetta. Dalle autorità dei paesi di emigrazione, con linee di navigazione normali, visti di uscita e di entrata, visite mediche, e da quelle dei paesi di immigrazione. Per ragioni geografiche, essendoci gli oceani di mezzo. Ma anche per ragioni economiche.
Si emigrava allora individualmente, per una qualche opportunità intravista, si emigra oggi in branco, organizzati da caporali di manodopera, africani e asiatici. Con vari strumenti coercitivi: usura, documenti, assistenza minima alla sopravvivenza nei paesi di destinazione. Per attività illegali o al limite della legalità. Caporalati che ci guadagnano tanto da potersi pagare le coperture, legali e illegali, nei paesi di destinazione.
Ciò si vede soprattutto nel caso dell’emigrazione dall’Africa, la più soggetta alle forme di jugulazione, fino alle tante stragi per naufragio su natanti del tutto inadeguati. L’Africa è contigua, ma non tanto da non presupporre un’organizzazione a monte per molte delle attività cui gli immigrati forzati sono costretti. La Nigeria non è vicina, o il Ghana, non tanto da consentire un innesto naturale, spontaneo, di molte attività illegali: la prostituzione, la mendicità (squadre di giovani africani presidiano ogni angolo dei quartieri più affluenti), lo spaccio, e anche il piccolo commercio ambulante. Ci vuole molta organizzazione per introdurre e controllare tanta forz alvoro, numerosa, sparsa, illegale.
Ancora più consistente l’immigrazione illegale che non si vede, di cinesi e altri asiatici per forme di lavoro schiaviste. Al limite cioè della sopravvivenza: senza documenti, quindi “inesistenti”, e senza abitazione, senza orario di lavoro, senza cure, e una paga ridotta al “soldo”.

Pubblicità – Si personalizza? Avendo pubblicato qualche recensione di Irène Némirovsky, e una di “Bella di giorno”, dove è questione di corpi inquieti, aprendo il “New York Times” online quattro copertine di libri appaiono nei costanziani “inviti agli acquisti”: due bellissimi nudi, per storie evidentemente corporali, e due copertine di Irène Némirovsky. L’occhiuta pubblicità del “New York Times” sa anche che sono italiano. 

astolfo@antiit.eu

martedì 10 dicembre 2013

Vita greve di Proust

Un libro prezioso, di molte immagini d’epoca non photoshoppate. Con un saggio-guida di un proustiano più curioso che devoto. Roberto Peregalli, filosofo architetto, “il signore degli interni” (Camilla Baresani) e dei salotti meneghini, sa di che si parla. L’immagine è prepotente di un’epoca greve, negli oggetti, gli ambienti, i saloni, gli stessi giardini e le piante. Si sapeva, ma queste riproduzioni ne danno senso tattile.
Fine Secolo sa di chiuso: tendaggi pesanti, soglie, stipiti, cassettoni solidi, sovraccarico di soprammobili, luci opache, pareti opache, di carta o di stoffa, tavole di fiandre e mollettoni, e veli, velette, stecche e sete écru addosso a bellezze pretenziose. Più stantio che spirituale o spiritoso, come Proust viene letto - Parigi non era San Francsco dei fiori e del Castro, che è ovvio ma non ai più.
Roberto Peregalli, Proust. Frammenti per immagini, Bompiani, pp. 334 € 25

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (191)

Giuseppe Leuzzi

La questione meridionale è tutta qui: il Sud fa parte dell’Italia, ma l’Italia si ferma a Roma. Se venendo dal Sud oppure dal Nord, questo non importa.

Matteo Salvini, capo eletto della Lega, deputato europeo, così salutava, in rima, la festa di Pontida nel 2008: “Senti che puzza, scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani. Sono colerosi e pure terremotati. Con il sapone non si sono mai lavati”.
È pure vero che Napoli era ingombra di rifiuti. Che nessuno portava via – ma i napoletani, perchè producono rifiuti?

Il ritorno, il rifiuto
L’emigrante à di paese, rari sono quelli di città – gli emigranti per antonomasia, in paesi remoti,  Australia, Canada, Sud America. Qualcuno ritorna per rivedere i parenti, quindi con piena cognizione del fatto. I più ritornano normalmente per la festa del santo patrono, della Madonna – per devozione, per scongiuro, per un debito di formazione verso i figli sulle proprie origini. Ma anche in queste occasioni, in cui si presume che non disturbino, debbono “difendersi”: chi ha fatto che, anche le vite semplici o fallite devono illustrarsi.
La scoperta più comune in questi casi, di ritorni occasionali, senza propriamente nostalgia, è che hanno fato fortuna. Il tipo imprenditore: gente che possedeva oppure ha appreso un mestiere e l’ha messo a frutto, non consumando ma risparmiando e investendo, energie e soldi. Sono anche quelli ch tornano accompagnati da bei figli, tutti sempre distanti, inquieti, curiosi ma ansiosi di ripartire. Portati in paese con la scusa di far loro vedere Roma o Venezia: E che per questo, per questa pausa obbligata, finiscono per rifiutare tutta l’Italia, posto e concetto. Se interpellati infatti, anche in inglese per non metterli in difficoltà, non dicono nemmeno “buongiorno”, non dicono nemmeno “scusi, che ha detto?”, piuttosto non parlano. Il rifiuto è di pancia, violento.
L’emigrazione è una sfida. Ma anche una perdita, di un modo di essere se non della propria esistenza.

È il Sud che comanda al Nord?
Si moltiplicano gli arresti, le condanne e le confische di mafiosi e beni di mafiosi a Roma e al Nord. Come se una colonizzazione fosse intervenuta di Roma e del Nord (Milano, mezza Lombardia, Torino, mezza Liguria) da parte della mafia.  Non dell’uso delle mafie a Roma e al Nord per i guadagni facili: droga, tagenti, usura, sottogoverno?

Calabria
Le “Indias de por acà” del gesuita Juan Xavier nel 1561 da Cosenza, dov’era stato mandato in esplorazione (v. il nostro “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992) sono sempre state il luogo maledetto del maledetto Regno delle due Sicilie. Il marchesino de Custine, che prima che in Russia fu giovin signore in Calabria, attorno al 1812, alla ricerca di uomini robusti, dice che in Francia usava dire, di qualcuno che era finito male: “Gira per la Calabria”.

La Madonna di Porto, a Gimigliano, allatta il Bambino: è una madre che allatta. Mark Rotella, “Stolen figs”, la trova anglo-faced.
La Madonna di Porto è oggetto di molti studi di antropologia religiosa. Ma poco si fa caso dell’allattamento, molto invece dei riti che ne accompagnano le celebrazioni.

“Gente in Aspromonte”, la raccolta di racconti di Corrado Alvaro, è  “Revolt in Aspromonte” nella traduzione inglese di Franes Frenaye, 1962.

I primi ‘ndranghetisti erano chiamati a Vibo Valentia “spanzati” – si trovano in Vito Teti, “Maledetto Sud”. Spanciati, pancia all’aria, cioè non curvi al lavoro.
Ora se ne privilegia la cupola. O la piramide, la società ben organizzata, il secondo e il terzo livello, e il controllo del territorio, per una glorificazione malgrado tutto, nemmeno tanto surrettizia. Mentre sono solo scioperati – ora, impuniti, violenti.

Paparazzo, prima che il fotografo invadente immortalato da Fellini, era il proprietario dell’albergo di Catanzaro che accudì infine bene, fino ad annoiarlo con le pressanti premure, lo scrittore George Gissing in viaggio lungo lo Ionio nel 1897. Non è escluso, anzi è certo, che Fellini mediò il nomignolo da un fotografo di nome Paparazzo.

Lo “jettatore” di “Jettatura”, il racconto di Gautier, si chiama Paul d’Aspremont.

Teti cita uno dei grandi alienisti di fine Ottocento, R. Pellegrini, “Il manicomio di Girifalco e la pazzia nella provincia di Catanzaro”, che “il popolo calabrese” diceva “convulsionario, come la terra che egli calpesta”.

Maida Hil e Maida Vale a Londra derivano il nome da Maida, il paese in provincia di Catanzaro dove il corpo di spedizione inglese, comandato da John Stuart, sconfisse l’esercito napoleonico nel 1806. La celebrata battaglia di Maida vide la prima sconfitta delle truppe napoleoniche. L’epopea ne ha tracciato in sottofondo Gay Talese, “Unto the sons” – che per questo non ha avuto fortuna in Italia?

Il corpo di spedizione inglese, forte di 4.800 uomini, fu fatto sbarcare da Stuart a Lamezia l’1 luglio. E il 4 luglio sconfisse nell’entroterra, a Maida, i francesi del generale Reynier. Il generale Stuart, che il re Borbone a Palermo fece subito duca di Maida, era nato negli Stati Uniti, in Georgia, e aveva iniziato la carriera combattendo contro Washington. Fu richiamato dopo il successo di Maida, ma un anno dopo ottenne il comando del Mediterraneo e lo tenne fino al 1810. Subito dopo Maida, e nel successivo comando, assediò due volte il castello di Scilla, sotto il quale i francesi avevano raccolto la flotta per lo sbarco in Sicilia, che così prevenne con successo.

Per tre anni, dal 1806 al 1809, gli inglesi insidiarono le truppe francesi in Calabria, di Giuseppe Bonaparte prima e poi di Murat, col sostegno di forze locali dette massiste, contrarie alla levée en masse, la leva obbligatoria che i francesi introducevano col codice civile. Il marchese de Custine, in viaggio in Calabria nel 1812, dirà lo schieramento massista forte di ottomila uomini.

La ‘ngiuria
“Che significa l’ingiuria?”, argomenta Oscar Wilde nel saggio sul socialismo (“L’anima dell’uomo nella società socialista”): “Ciò che si dice di un uomo non cambia quest’uomo: egli è ciò che è. L’opinione pubblica non ha alcun valore”. Non è vero, il contrario è vero: l’ingiuria fissa un uomo – il nome, la famiglia, i figli. A uno stato, a un modo di essere, di dire, di fare.
Se ne può fare un libro d’oro: alcuni soprannomi, anche poco significativi o balzani, si tramandano nella stessa famiglia per generazioni. Nomi di famiglia cioè, dinastici, più che della persona, che si possono prolungare per generazioni - i famosi quattro quarti di nobiltà. Talvolta il nome iscritto all’anagrafe è all’origine un soprannome. Che però più spesso nasce dal malanimo. Ne è l’ipostatizzazione, e una sorta di monumento alla cattiveria.

Il termine meridionale è più vasto di quello classificato nel vocabolario: i soprannomi sono ‘ngiurie. Il soprannome condensa stati o situazioni pregresse, o ne cristallizza di momentanee, con effetto sempre diminutivo. Anche quando è ridondante, presuntamente elogiativo o gratificante. Esprime un dispetto. Quando non è scopertamente spregiativo (cattivo).

leuzzi@antiit.eu 

lunedì 9 dicembre 2013

La fine del Pci, ingloriosa

Vedere a Roma ieri a Campo dei Fiori e alla Madonna dei Monti, luoghi di sezioni e memorie storiche del Pci, famiglie note e ignote in coda per votare Renzi, ha segnato la fine di una storia. Una sorta di romana caduta del Muro: le generazioni unite per votare un democristiano che più democristiano non si può, parolaio, furbo, sfuggente. Tutto l’opposto di chi ambiva all’organizzazione e al progetto, e tuttora se ne fa orgoglio.
Non è una novità assoluta. Nei tanti Comuni (sono cinquemila su ottomila) che il Pd amministra, in quelli dove un riscontro di prima mano è possibile, in Emilia, in Toscana, a Roma, è da tempo che il Pci non esprimeva persone capaci, negli assessorati, nei consigli, e progetti. Come fosse incapace di governare il cambiamento, e di governarsi nel cambiamento.
Da Berlinguer a De Mita
Da Berlinguer a De Mita, dunque – tra “nipotini”: la malinconia è inevitabile. Anche tra chi non apprezzava Berlinguer. Anche probabilmente tra chi, come Scalfari e il partito di “Repubblica”, gloriavano De Mita: hanno vinto una battaglia che il nemico non ha combattuto. Che nemico era? E era proprio un nemico? A parte, cioè, il viso dell’arme dei suoi intellettuali di carta, che peraltro ancora nella disfatta non smettono la puzza al naso.
Una fine così rapida e totale di un partito super organizzato, che ha dominato la politica per oltre mezzo secolo, pone però qualche dubbio sulla natura dello stesso. L’esperienza politica del Pci in Italia, in assenza di un’esperienza diretta di governo centrale, si riassume nel lavoro sindacale e nell’amministrazione locale. Il sindacato ex Pci è uno sfacelo: niente idee né iniziative, solo ritualità. Mentre la capacità amministrativa che svanisce con la crisi lascia supporre che essa fosse legata all’abbondanza, alla possibilità di spesa. Anche per questo probabilmente il Pci finisce senza un’eredità positiva. 

Fisco, appalti, abusi (41)

Banca Intesa ha già predisposto le procedure per traslare la Tobin Tax ai cassettisti. Ha anche mandato agli stessi un preavviso: “Dal 13 febbraio si paga”.

La Robin Tax sulle imprese del settore energia è pagata per intero nelle bollette della luce e del gas. Benché la legge dica che la Robin Tax non va traslata al consumatore – il legislatore non ha letto Manzoni, non sa delle leggi-grida.

Ci sarà ora la Robin Tax sulle banche. Che verrà traslata all’utente, sul costo del conto.

Si paga un’imposta di bollo mensile per tenere aperto un conto in banca. Che però è ora obbligatorio. Anche se in sette casi su dieci serve a farsi pagare lo stipendio - una “tassa sul macinato”.

In numerosi uffici postali – a Roma al Trullo, per esempio, e ad Acilia – i pensionati lasciano alle Poste dieci euro quando ritirano la pensione, benché (solitamente) modesta. Servono per farsi liquidare ogni mese senza rogne.

I 10 euro all’impiegato postale si chiamano il “caffè”. Il “pranzo”, 100 euro, e la “cena”, 50, sono necessari, sempre a Roma, per accelerare la fornitura di un servizio: una linea telefonica (la pratica qui va in desuetudine), l’allaccio all’elettricità, al gas, il cambio di potenza.

La fila alle Poste spesso s’interrompe perché l’impiegato va avanti per i fatti suoi, a maneggiare bollettini e missive. Succede qualche tempo dopo che qualcuno, senza fare la coda, si è avvicinato allo stesso sportello per lasciarvi pacchi di bollettini o missive. Per un “caffè”?

Non converrebbe alle Poste privatizzare il trattamento preferenziale, a un euro in meno per esempio del prezzo del “caffè”? 

Alluvioni di bontà sul Sud

Tradiscono quest’anno anche le noci di Sorrento: due su cinque sono bacate. Questa è sfuggita a Rizzo e Stella, ma non si può dire che manchino d’impegno - sono le colonne portanti del “Corriere della sera”, che è il giornale più importante dell’Italia: l’indice su cui si esercitano non lascia scampo. Il Sud sta messo peggio della Bulgaria. Peggio: peggio della Bosnia – o è la Macedonia? Pieno di mafia, eh sì. E di consiglieri che rubano. Anche questo è vero: i consiglieri regionali rubano per definizione, e rubano pure al Sud. Che è pure, benché ricco di spiagge e di monumenti, senza turismo. Non come le Baleari.
Il “se” non vuol dire nulla: l’editore cerca di camuffare la cattiva azione. Riempie anche le presentazioni in libreria e online di buoni propositi: come faremmo senza il Sud, eccetera. E agli autori attribuisce sincera indignazione: il Sud  “fa venire il sangue al cervello per chi ama il Sud”. Per fortuna, come farebbero sennò? Ma niente paura: lo stesso editore li esibisce sul sito col microfono in mano molto distesi e sorridenti, davanti alle pile giallognole del libro.
Il disgusto di questa compilazione d’indignazioni si potrebbe anche argomentare. Per esempio, dove vivono Rizzo e Stella: sono stati mai in Sicilia, e alle Baleari? Ma a che pro? La buona coscienza – questo forse si può dirlo a Rizzo, che è un meridionale esimio – è equanime. Ogni tanto vede anche le manchevolezze altrui. Prendiamo un ladro in un paese di ladri: fa bene a battersi il petto, ma quando esce dal confessionale dovrà tornare a rubare. Il Sud non era cattivo e lo è diventato. E tuttora, fuori dell’Italia se la cava bene. Mentre: com’è che il “Corriere della sera” parla tanto male del Sud, e mai del Nord? Per esempio della Sa-Rc e non della variante di valico o della semplice Milano-Torino, scandali più gravi?  Della terra dei fuochi ma mai dell’avvelenamento delle falde in Lombardia? O degli sprechi. O delle opere sbagliate, incompiute, difettose che pullulano anche al Nord, pubbliche e private - Malpensa, il Mose a Venezia, la stessa Expo, ognuna delle quali “vale” due e tre volte la Salerno-Rc. Dove, bizzaria delle bizzarrie, non ci sono tangenti e fondi neri, non come a Milano o Venezia, giusto la criminalità dei criminali, ladri, grassatori.
Non si sa se un Sud senza l’Italia starebbe meglio o peggio. Certamente sarebbe meglio senza questa stampa, così alluvionalmente caritatevole.
Sergio Rizzo-Gian Antonio Stella, Se muore il Sud, Feltrinelli, pp. 35 € 19

domenica 8 dicembre 2013

Il Sud non esiste

Vito Teti non nasce italiano del Sud. Nasce, come tutti, italiano. È dopo che “si scopre” del Sud. Il suo approccio alla questione in questa narrativa storica dice tutto: il Sud è un problema socio-economico e un problema antropologico, di attitudini, e l’uno probabilmente si lega all’altro.
Già autore, vent’anni fa, del recentemente riedito “Origini del pregiudizio antimeridionale”, l’etnologo Teti si addentra, in un centinaio di pienissime pagine, nel pregiudizio quotidiano, corrente. Fatto di stereotipi, naturalmente, di abitudine più che di partito preso, ma anche di tanta perversa, interessata, volontà. Non fa fatica nella ricerca, deve semmai limitarsi – dalla sua prima indagine, 1992-1993, una “questione settentrionale” è stata imposta: il Nord vittima del Sud. Un esito che aveva anticipato nell’ampia introduzione due anni fa alla riedizione delle “Origini” (col titolo di passaggio “La razza maledetta”): il Sud sfruttatore del Nord, il razzismo di Miglio, la passione di Cristo a opera dei Bruzi – i calabresi di duemila anni fa. Ora può aggiungere la genealogia calabrese di Giuda: Giuda Iscaliota invece che Iscariota, di Scalea... Per questo il libro è gratificante, si legge come un racconto d’avventure. Una perla, anche rara: Teti si muove fra riferimenti sorprendenti – di cui purtroppo la bibliografia che correda il saggio non sempre tiene conto. Che saranno grate probabilmente agli stessi “nordici”.
Che dire dell’eterna questione? Chi è cresciuto al Sud come Teti negli anni 1950 - ma è vero ancora negli anni 1960 - fatica come lui a riconoscersi nel Sud dell’ozio, della pigrizia e del parassitismo. Oggi magari è vero, ma è l’Italia che ha portato il Sud a questo, con l’assistenzialismo invece della politica. Teti non lo dice, ma è la verità del suo stesso saggio: il problema del Sud è l’Italia. O il Sud stesso ma perché non sa confrontarsi con questa Italia sempre fuori fase: ora intromettente ora punitiva. La questione meridionale andrebbe infine vista com’è: un Sud dentro l’Italia, il “Sud” è nato con l’Italia.
Si può aggiungere, in parziale disaccordo, che la dieta mediterranea è ottima: tiene in buona salute e fa molti centenari – Teti non dia ascolto a “esperti” che le multinazionali del cibo confezionato telecontrollano. E che il meridionale è malinconico, pittoresco, conviviale, generoso, avido. Come il settentrionale – forse pure come lo svizzero. Il meridionale non differisce in sé dal settentrionale, sono due generalizzazioni. Ma, ecco, non ha la capacità-possibilità di “accumulo” che gli altri hanno, settentrionali e svizzeri. Nel senso tecnico del termine, dell’elettrotecnica: di intraprendenza, industriosità, applicazione, controllo. Ogni volta che ci prova trova gli spazi (il mercato) chiusi – il Sud è dentro un collo di bottiglia, avrebbe detto la teoria economica classica. Compreso l’ordine pubblico – eh sì, avendo visto nascere almeno quattro mafie nella Piana di Gioia Tauro negli anni 1960 si può testimoniare che esse sono l’effetto dell’ordine pubblico (carente – passivo, abulico, burocratico: le prime vittime di mafia dovettero cercare loro i colpevoli, loro le prove, e perfino i giudici che li condannassero, a nessun effetto a questo punto, la mafia aveva vinto, la violenza contro il possesso, non dei baroni, che non c’erano, nemmeno sull’albero, ma di chi l’aveva faticato).
Ogni esito era – è – impossibile al meridionale, a meno di non fabbricarsi “speciali” rampini. Dei quali invece può fare a meno se emigra. Magari non a Milano, dove prima o poi sarà scoperto colpevole, ma sì in Francia, Belgio, Inghilterra, Usa, Canada, Australia, e perfino in Svizzera. In Italia non ha possibilità di sfogo nemmeno a parole: se c’è un sistema baronale al Sud da almeno un paio di secoli è quello dell’opinione. Questa Italia – che poi è il Nord, e da una ventina d’anni è solo Milano - scrive il Sud, e gli fa anche da maestro di scuola. Nella filosofia esistenzialista, e a Roma, si direbbe: il Sud? non esiste.
Vito Teti, Maledetto Sud, Einaudi, pp. 131 € 10

La linea pugliese del Piave

Il senatore manager (immobiliarista) Stefàno, ex Dc (indipendente) ora vendoliano (indipendente), vuole restare negli annali come colui che impedì a Berlusconi di difendersi alla Giunta per le immunità: se qualcuno non gliene desse il merito, se lo dà da sé con un instant book su come fece la sua rivoluzione.
Un instant book di 350 pagine, già in libreria a otto giorni dall’espulsione di Berlusconi: ma è un miracolo. Vendola sia santo subito.
Anche un immobiliarista democristiano in Sel lo sarebbe, se Sel fosse qualcosa. Qualcosa oltre l’Azione Cattolica.
La vittoria di Stefàno è anche tribale. Il senatore è di Scorrano, in provincia di Lecce. L’editore è di San Cesario, sempre in provincia di Lecce. Il dedicatario Vendola è di lì vicino, di Bari. Apulia vincit: la linea del Piave è scesa, ma è robusta, come si vede.

E adesso, povero Napolitano?

I giornali finti compagni lo assalgono e lo ridicolizzano. Ezio Mauro su “Repubblica”, il professor Panebianco sul “Corriere dea sera”, la mafia degli antimafiosi sul processo di Palermo. Al governo del suo partito ha un democristiano professo: esagerato, manovriero, cinico più dei cavalli di razza, e vuoto come un doroteo. Mentre l’adorata Corte costituzionale dei dorotei scalfariani dichiara solo costituzionale il voto con la preferenza. Cioè il controllo del voto, e la compravendita.
Può sembrare anche un titano, il presidente che difende contro tutti l’onorabilità dell’Italia. Residua, debole, ma pur sempre inalienabile. Che parla giusto. Che dà all’Italia comunque un governo, se non altro per la faccia del mondo, di Angela Merkel, dei suoi accoliti a Bruxelles. E difende, almeno lui, il Parlamento, contro i parlamentari stessi senza dignità e i loro opportunisti presidenti: il Parlamento eletto è costituzionale, ben più della Corte omonima, di vecchi raccomandati.
Ma Napolitano è anche la dimostrazione che non ci sono mezze misure in politica. Non nella politica cannibale di questa Italia neo guelfa: democristiana, moderata, gattopardesca, dorotea, fintamente laica, fintamente sociale. Protetta dai media di affaristi e banchieri, che recitano la parte dei democratici e anzi dei democrat (sembra di sognare, ma era ieri, che le vedettes del Pd erano De Benedetti, Bazoli, Passera, Profumo, Modiano). 

Il riformismo dev’essere violento

Non ci può essere governo in Italia. Un governo che governi. Chi ha tentato di proporlo ha fatto una brutta fine. Acculato a Gelli. Alla corruzione. E ora all’impeachment. Che sembrava, ed è, una buffonata, ma si fa finta che sia una cosa seria. Anche a costo di sparare contro un galantuomo.
Tutto, anche Grillo, anche l’(ex) odiato Berlusconi, pur di impedire la riforma. Il fronte cosiddetto media-giudici è in realtà un fronte affarismo-giudici. Non c’è giornalismo in Italia, ci sono i padroni del vapore, De Benedetti, Bazoli, Caltagirone. Cui i giornalisti s’inchinano, a partire dal principe dei giornalisti Scalfari, e i giudici tutti, dai sostituti procuratori ai giudici costituzionali, trovano conveniente inchinarsi.
Una riforma, anche solo elettorale se non costituzionale, che dia all’Italia un governo, con i poteri per governare, non deve passare. Non c’è riformismo possibile. Non contro l’apparato repressivo, di media, giudici e polizie. Contro il fascismo, cioè. Aggiornato, senza le leggi speciali.
Gli italiani votano, quando ne hanno la possibilità, per avere un governo – quanti referendum. Oppure non votano, per protesta, allo stesso fine. Ma non c’è niente da fare: il fascismo non si combatte con le intenzioni, siano pure buone e ottime. Tanto più oggi che il fascismo sa schierare ottimi professori, soprattutto “a sinistra”. I socialisti ne hanno fatto le spese, e ora gli ex comunisti.