Chinnicchinnacchi”
no, non è “arabo, è latino. Lo spiega Camilleri persuasivo a Tullio De Mauro in
“La lingua batte dove il dente duole”: “Sei mesi fa mi scrive un professore che
insegna latino arcaico, e mi spiega che chinnicchiennacchi
deriva paro paro dal latino arcaico, basta scrivere col k quis hic in hac («cos’è questo in questa cosa», «che c’entra?»)” –
forse quid, ma non importa..
A
Taranto l’acciaio “uccide”, a Trieste, dove ne uccide di più, no.
Trento
prima per qualità della vita nella classifica di “Italia Oggi”, Crotone ultima.
Lo scrittore Carmine Abate vive nel trentino e scrive memorabilmente del
crotonese, dove è nato e cresciuto.
Si
cercano i fusti tossici delle industrie del Nord che la camorra ha sotterrato
nel casertano. Meritoriamente si cercano, anche con dispendio di risorse. Non
si cercano invece le “industrie del Nord” che quei fusti avrebbero smaltito
illegalmente. Una ricerca che non costerebbe.
Severgnini
firma sul “Corriere della sera” sabato un “Italie 2013” in cui ricorda il rogo
della Città della Scienza a Bagnoli:”Non è solo un incendio di matrice
criminale, ma il luminoso, terribile riassunto dell’impotenza del Sud”. Poi ci
ripensa. “Chi pensasse che il fuoco è il marchio dei drammi del Sud, dovrà ricredersi:
in novembre, a Prato, sette morti nel rogo di una fabbrica-dormitorio cinese”. Il
cerchiobottismo anche tra Nord e Sud?
Vent’anni dopo avere invocato per il Sud il filo
spinato, Ernesto Galli della Loggia si ravvede domenica 22 chiedendo sul
“Corriere della sera” la “pura e semplice applicazione della legge”: la
condanna dei criminali. Lo chiede in reazione all’incriminazione di due vedette
dell’antimafia, Carolina Girasole e Rosy Canale: ci voleva tanto per sapere che
la mafia la combattono i Carabinieri?
W Schiavone,
il fusto tossico
Arruolare Schiavone contro il Sud? Non è
un’idea, è un fatto – non isolato, uno di tanti. Schiavone è Carmine, capo
camorrista da un ventennio pentito. Dopo vent’anni Schiavone s’è ricordato che
la camorra ha trattato i fusti tossici dell’industria del Nord, e ha appestato
il casertano. Un linguaggio generico che si tradisce da solo – il delinquente
sa di cose, non “fusti tossici”, di persone, (mediatori, commanditari,
beneficiari), e di luoghi precisi. Che il giudice Cantone, che a lungo ha
“gestito” il pentito, spiega con chiarezza a Vittorio Zincone su “Sette”:
“Mettiamo ordine ed evitiamo sensazionalismi.
Non capisco tutta questa visibilità che viene data oggi a Carmine Schiavone”. È
un ex boss che dice cosa da brividi. “Nulla di nuovo. La magistratura ha già
controllato e in molti dei luoghi che lui indica come inquinati non è stato
trovato nulla”. Perché allora rilascia interviste in cui minaccia epidemie
tumorali e catastrofi bibliche? “Forse, oggi che non ha più il programma di
protezione, intende ritrattare le sue accuse. O più semplicemente gli piace il
ruolo di guru che gi attribuiscono i media”..
È così: il “fatto” sono i giornali e i
telegiornali, ci hanno creato e ci creano sopra un inferno. Ancora non hanno
trovato il fusto, ma ci sperano molto.
Emigrato,
sradicato
Tornano gli emigrati, e non si trovano a loro
agio. Perché vengono da un mondo migliore – meglio organizzato, più ordinato e
pulito, più ricco, più promettente? No, perché non ritrovano il “loro” mondo locale,
quello che avevano lasciato. Case, strade, figure diverse, quelle femminili
specialmente. Soprattutto ci trovano un’altra lingua, cioè un altro dialetto. È
questo che li fa sentire esclusi, in rapporto alle attese, alla preparazione, ai
lunghi e costosi viaggi, e quindi a disagio.
L’emigrato è fermo, nel rapporto col luogo
natio, al momento dell’emigrazione, mentre nella comunità di origine tutto è
mutato, non può non mutare, se in meglio o in peggio non importa. Soprattutto la
lingua, che è un “organismo” forzatamente vivo e quindi in continua evoluzione.
Contrariamente al sentimento innato di una sua immodificabilità. La delusione
dell’immigrato di ritorno è l’esito delle aspettative, il loro rovesciamento.
Ma è vissuta come un tradimento: l’emigrato
di ritorno soffre l’innovazione come una sorta di tradimento dell’identità.
Napoli
Non si
sa se congratularsi per la nascita della bambina da una madre in coma da
quattro mesi, o vituperare chi ha provocato il coma della madre, uno sparatore
a caso. L’estrema vitalità va con la barbarie?
“La
gatta cenerentola”, unico capolavoro del Novecento musicale a Napoli, andò in
scena a cura della Regione Emilia-Romagna, non della Campania. Roberto de
Simone, autore e ricercatore ineguagliato a Napoli, è stato sempre rifiutato
dalla città.
La Terra
dei fuochi dietro Napoli è così detta perché c’è l’abitudine di ammassare i rifiuti
e dargli fuoco. È un fatto di “civiltà” e non di camorra. Ma si fa come se.
Il
casertano non ha un’incidenza di tumori peggiore che altrove. Ma piace dirsi
vittime. Per fare teatro? Per una modesta invalidità?
Cirio
era piemontese, un manovale di Nizza Monferrato. Impiantò un’industria a
Torino, che avviò le esportazioni, presenziò all’Expo di Parigi nel 1867, fu
Commendatore della Corona d’Italia, e nel 1891 fallì. Il piemontese Cirio non
di diede per vinto. Andò a proporre le conserve dove si produceva la materia
prima, e tre anni dopo, nel 1894, poté riaprire a San Giovanni a Teduccio. Nel 1900
la Cirio era tra le aziende conserviere più grandi d’Europa.
Dunque
“O sole mio” è ucraina. La più famosa canzone napoletana, forse la più famosa
al mondo, da Gigli a Pavarotti, e a Sinatra, Tony Bennett, Elvis Presley, nacque
a Odessa. Il sole è quello del mar Nero, dove Edoardo Di Capua era in tournée col padre Giacobbe, bravo
violinista. Durante una sosta nella città, allora russa ora ucraina, una
mattina illuminata dal sole, il giovane compositore Di Capua dotò di note la canzone
affidatagli dal’amico Capurro a Napoli prima della sua partenza.
Capurro e Di Capua
morirono in povertà negli anni
1910: non poterono
mai riscuotere i diritti d’autore. Che andarono alla case editrice, Bider.
Bontà del diritto napoletano. Un causa lunga settant’anni, che nel 1972 ha
riconosciuto coautore della melodia Alfredo Mazzucchi. Che nient’altro musicò –
era “redattore” della casa editrice musicale, di cui fu poi titolare. Ma questa
decisione fu di un tribunale di Torino: c’è qualcuno più furbo della furbizia.
leuzzi@antiit.eu
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