Il primo “Vocabolario” della Crusca, nel
1612, non ha la voce “italiano”, né per la popolazione né per la lingua. C’è il
concetto, “la lingua nostra”, il nostro idioma”,”sì dentro che fuora d’Italia”,
ma non l’italiano. Perché la Crusca voleva l’italiano toscano? Nemmeno: “toscano”
non è registrato. Non è nemmeno campanilismo toscano, anche “fiorentino” non è
registrato come parlata, come lingua. Il vezzo di non dire è italico, che ora
si addebita alla mafia.
“L’italiano vero non esiste. Siamo
almeno 57”, titola del resto “La Stampa” il servizio di Stefano Rizzato sula
mappa genetica del Belpaese realizzata dalle università di Roma La Sapienza,
Bologna, Cagliari e Pisa: “Siamo il Paese con la biodiversità umana più estesa
d’Europa”. Siamo diversi tra di noi “più di quanto lo siano uno spagnolo e un
ungherese”.
E poi ci sono le sottospecie, per
esempio il meridionale acerrimo leghista. Un specie non ancora certificata dal
dna, ma attiva.
Per la Befana l’orchestra di Santa
Cecilia dà un suo Concerto di Capodanno, da un paio d’anni affidato al maestro
Manfred Honeck, viennese, specialista di musiche viennesi, gli Strauss, la “Danza
ungherese n.5” di Brahms, il Ciajkovskij dello “Schiaccianoci”, Lehar, e
l’Arditi del “Bacio”. Agile, arguta,
nervosa il giusto, e molto partecipe: divertita e divertente. Un non evento per
i giornali, che ci spiegano invece in dettaglio cosa abbiamo ascoltato e visto
nel Concerto di Capodanno viennese. Perché Santa cecilia non è i Wiener Philarmoniker,
anche se suona “meglio”.
Stamina prospera nell’area più ricca del
paese, al Nord dell’Appennino. Anche Di Bella, il taumaturgo del 1997, medico
siciliano, era professore a Modena e illuse la Padania. Perché ci sono più
soldi da sprecare? Ma con la coscienza di fare la cosa giusta.
Ai
fuochi dell’indignazione
Si annuncia l’esercito a guardia della
Terra dei fuochi in Campania. Che poi sono più terre dei fuochi. Senza dire che
l’esercito non serve a nulla, giusto a giustificare la diaria: non fa opera di
polizia, né preventiva né punitiva. E che i fuochi non sono della camorra ma
delle discariche abusive, qualcuna perfino comunale, negli anfratti e nei
valloni, che si fan bruciare in continuazione. Che si dovrebbero, e si
potrebbero senza dispendio, bonificare.
Questi fuochi ci sono sempre stati nel
casertano e nell’entroterra napoletano. Si denunciano ora, perché l’ex boss Schiavone, pentito di vent’anni fa,
s’è ricordato che la camorra seppelliva per conto terzi i rifiuti tossici –
meno cara dello smaltimento. Questi rifiuti ora si cercano. Non si sono ancora
trovati, dopo quattro o cinque mesi, ma si è speso molto, e molto si continua a
spendere, in appalti. Sempre in alternativa alla bonifica dei suoli, che
evidentemente è un appalto minore. Un business innescato dall’ex pentito. La
mafia ci governa nella buona e nella cattiva sorte?
Il
giudice Colicchia
Nell’estate del 1980 il giudice
Francesco Colicchia, dirigente pro tempore del Tribunale di Reggio Calabria nella
sessione feriale, mise in allarme i cassieri d’Italia. Imponendo che si
registrassero tutti i versamenti o i ritiri in biglietti da centomila. Irriso
unanimemente, il giudice Colicchia si difese con
semplicità: “Si sta per effettuare il pagamento di un riscatto e devo
poter arrivare ai rapitori”.
Era a parlarci di spirito vivacissimo,
il dottor Colicchia, e coraggioso. Nel gennaio 1978 aveva fatto condannare una
ventina di ‘ndranghetisti teorizzando il delitto di associazione mafiosa, che
trovava molti ostacoli al riconoscimento giuridico. Quell’anno i rapimenti di
persona scesero da una media di 8-10 l’anno a 1.
L’associazione mafiosa fu introdotta poi
nel 1982, con la legge La Torre-Rognoni, ed è costata la vita al suo proponente,
il deputato siciliano del Pci.
Il giudice Colicchia morirà qualche anno
dopo. Dicono di crepacuore. Una cosca di Seminara, il suo paese, sotto processo
per un rapimento di persona, ottenne il trasferimento del giudizio da Palmi a
Reggio, e Colicchia, cui toccò di giudicare il caso, li assolse. Poi morì.
I
libri da pelliccia
Usavano nell’Italia Centrale, ma
scendendo dagli Abruzzi fino al Tavoliere e alla Puglia, i “libri da
pelliccia”. Dei pastori cioè, e dei fraticelli della questua, che transumavano
anche loro attraverso gli Appennini. Libri tascabili, volumetti che entravano nella
saccoccia della giacca, più spesso di pelle. Che venivano aperti anche quando
il narratore era illetterato e andava a memoria.
Erano quasi sempre libri di avventure –
con qualche agiografia. E i libri di avventure “erano i poemi cavallereschi”,
spiega Tullio De Mauro a Andrea Camilleri in “La lingua batte dove il dente
duole”, p. 33: “Più tasso che Ariosto…, e poi il «Guerin Meschino»”. Che chi
sapeva leggeva agli altri. O rimembrava.
Una tradizione che si è perduta, ma era
diffusa fino a un paio di generazioni fa. Molti siti dell’Aspromonte avevano
incongruamente nomi derivati dal “Guerin Meschino”, di cui non figura tra i
luoghi visitati, in nessuno dei suoi cicli Denominazioni che aiutavano a
orientarsi.
Sicilia
Governa Roma, con Caltagirone e Marino. L’uno
ha chiamato e “fatto” l’altro, campagna elettorale e tutto: l’etnicismo è forte
malgrado l’odio-di-sé.
Joseph Francese, italianista all’università di
Stato del Michigan, studioso di Sciascia, trova il fatalismo “il credo
essenzialista” dello scrittore: la fede, più che la rassegnazione, in “un modo
di vita siciliano atemporale”. E analizzando “L’antimonio”, il primo racconto
pubblicato, ritrova il fatalismo costante in tutta l’attività di Sciascia, e
nelle sue opere, narrative e non.
Di ascendenza araba, come il nome vorrebbe,
oppure no, questo è vero di Sciascia.
Cuffaro
si merita una pagina sul “Corriere della sera” per “vivamente” consigliare a
Berlusconi di “scontare la condanna in carcere”. Nord e Sud uniti nella lotta?
Destra e sinistra insieme? Mafia e antimafia?
Caterina Chinnici, giudice, figlia del procuratore
Capo di Palermo Rocco, assassinato da Riina trent’anni fa, scrive dell’“essere
siciliano” in un libro ricordo, “È così breve il tuo bacio sulla fronte”: “Ci
consideriamo dei, eredi di una storia gloriosa, uomini superiori”, ma siamo
“apatici”. Di una “imperturbabilità”, anzi “disimpegno”, di cui ci facciamo un
alibi “tra noi e il nostro futuro”.
Davide
Faraone, “renziano” a Palermo, è subito indagato per spese indebite – 3.300
euro, in cinque anni, di cui assicura che ha giustificato l’uso per attività politiche. Le
faide Dc in Sicilia non sono sanguinose come quelle di Riina ma altrettanto
violente.
Qualche
volta sono pure violente. Chinnici, l’inventore del pool antimafia di Falcone e
Borsellino, il giudice buono di Pif, “La mafia uccide solo d’estate”, si ebbe
un’autobomba. Diffidava di Lo Forte e Scarpinato, due giudici della
sua Procura, che in una sorta di “diario” definiva manutengoli, pressappoco,
Dc.
Forse a
torto, poiché Caselli affiderà praticamente a loro la Procura stessa.
È anche
vero che Chinnici non era Dc.
leuzzi@antiit.eu
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