venerdì 24 gennaio 2014

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (195)

Giuseppe Leuzzi

La giudice Boccassini parla all’improvviso a lungo della prima inchiesta di Caltanissetta sull’eccidio di cui fu vittima Borsellino, per dire falso il testimone Scarantino, che depistò le indagini per un quindicennio.  Che lei l’aveva capito subito e l’aveva segnalato.
Cioè, non ne parla ora, ne ha parlato alcuni anni fa in sede giudiziaria. Ma la segnalazione a Giovanni Bianconi arriva ora. C’è una novità? Sì, dire che Nino Di Matteo, ora giudice dello Stato-mafia, era uno di quelli a cui Boccassini aveva segnalato il depistaggio.

I monologhi di Riina, le esecuzioni di Cassano allo Jonio, come Duisburg o la testa mozzata di Cittanova, sono segno di disumanità. Che è il proprio del mafioso. Irriducibile alla psicologia e alla sociologia, inevitabilmente assolutrici, di cui le tante storie che si fanno delle mafie le ammantano. Trascurando proprio questo aspetto: certa asocialità (prepotenza, violenza, che sia crudele o “normale”) è solo inumana.

La Svezia, giornali, consumatori e governanti uniti, proibisce le caramelle alla liquirizia in quanto razziste. Il Nord è speciale in tutto, ma nella stupidità si vuole inarrivabile.

Le caramelle alla liquirizia che la Svezia proibisce sono tedesche. C’è sempre un Nord “più” superiore dell’altro.

Il vescovo antimafia non piaceva ai giudici
Mario Casaburi ha scritto un libro, “GianCarlo Maria Bregantini. Una luce nel giardino della Locride”, sul vescovo di Locri-Gerace che stava rivoluzionando il “territorio” ma non piaceva ai giudici. Il vescovo-operaio trentino, nominato da Giovanni Paolo II, non si accontentava delle liturgie, e poneva al centro i problemi centrali. Nella sua diocesi il lavoro giovanile e le mafie. Su un caposaldo perfino troppo semplice: “È aberrante l’idea di un destino ineluttabile per cui in Calabria tutto è sempre stato e sempre sarà così”. Contro le mafie rivolgendosi alle donne: “Fermate i vostri mariti e i vostri figli eventualmente coinvolti nel traffico o smercio della droga: pensate a quelle donne, mamme come voi, che versano lacrime vedendo i loro figli distruggersi”. Ai giovani offrì una serie di sbocchi con aziende cooperative, specie in agricoltura, e di volontariato. Per predicare meglio, sempre fuori della ritualità, teneva una rubrica settimanale sul “Quotidiano della Calabria”.
Era un rubrica molto letta, e questo precipitò l’astio degli avvocati contro il vescovo. E sulla loro taccia dei giudici. Le piccole cooperative di giovani venivano bollate, nei convegni della Legalità, imprese capitalistiche, e Bregantini “il vescovo dei conti in banca”. Gli accusatori forse non erano nemmeno massoni. Subito allora le mafie dinamitarono i capannoni e bruciarono o avvelenarono le coltivazioni delle cooperative e le associazioni volute dal vescovo. I giudici si adeguarono. Quando il nome del vescovo emerse in un’intercettazione non fortuita, e probabilmente concordata, il Vaticano di Benedetto XVI ne dispose la rimozione.
Nell’intercettazione, quattro pagine a spazio 1, gli esponenti della cosca Giuffré di Seminara, esprimendosi tra di loro in italiano perché non ci fossero equivoci, invece che in dialetto come tutti, alludevano al “brigantino” come a un “adepto” (nella sociologia da caserma la mafia è una setta, con giuramenti, rituali, formule)  – la vicenda è stata ricostruita in questo stesso sito due anni fa:
La registrazione non fu pubblicizzata, ma lo stesso “messa a disposizione” di chi doveva sapere. Rimosso Bregantini, la normalità è tornata mafiosa nella Locride. Che, non si può negare, resta malgrado tutto un giardino. Ma un giovinastro può nuovamente fermarvi per strada e chiedervi 200 euro, anche 300, per un’esigenza improvvisa, come prestito. Dopo che siete stato al bancomat. La mafia non nasce dal nulla.

L’uomo nuovo del Sud viene dal Nord
“L’uomo nuovo viene da Sud”, titola “Il Sole 24 Ore” domenica 19 la presentazione, da parte di Lara Ricci, di “tre potenti romanzi” che “arrivano dal Sudafrica””. Uno di Nadine Gordimer, premio Nobel inglese trapiantato in Sudafrica, uno di Cortzee, premio Nobel olandese trapiantato in Sudafrica, e uno di Tathamkhulu Afrika, pesudonismo adottato da uno scrittore sudafricano di madre turca e padre arabo – uno la cui biografia cosmopolita somiglia bizzarramente a quella di Petros Markaris, che il settimanale intervista nella pagina precedente, romanziere certamente greco, ma di ascendenza e cultura greco-turco-tedesca (a quest’ultima Markaris tiene soprattutto).
Ci rubano anche lo spazio per scrivere.

Il ritorno (o nostos)
Il ritorno è la ripresa di un cammino interrotto. Sia pure per una visita breve, di circostanza, un dovere. È un ritorno alla continuità. Anche in chi ha fatto la scelta contro ogni resistenza e richiamo di affetti, la madre, l’amata\o. Pippo Pollina ha “scelto” la Svizzera invece di Palermo. Dove ha realizzato, dopo vent’anni, con artisti svizzeri e tedeschi, il suo migliore disco. Con questa filosofia: “Ed io penso a mia madre e con lei i suoi sorrisi.\ Mi vedeva dottore nei suoi sogni ormai in crisi.\ Ed io penso alle sua carezze ed al suo pianto salato\ quando venne il giorno triste in cui me ne sono andato”.
Il disco ha intitolato “Suden” – un plurale cosmopolita ma con connotato preciso: la nostalgia. Condivisa dai suoi coautori per motivi estetici (luce, calore), ma pur sempre nostalgia. Ne ha i colori, dietro lo stereotipo del Sud nelle notti invernali del Nord :“A sud del mio cuore c’è una casa di campagna\ dove tutto è quiete e riposano i pensieri,\ dove il tempo si è fermato…”

Il cugino di Torino e l’odio-di-sé - Forza Lega!
“Mimmo Calopresti è nato a Polistena nel 1955, ma, bambino, si è trasferito con la famiglia a Torino”: osì esordisce la nota biografica del regista al suo volume di ricordi “Io e l’Avvocato”. Il “ma” serve alla metrica (la presentazione è un distico in rima). Ma è pur sempre un avversativo, che si ritrova qua e là nel testo. Anche se Calopresti si compiace delle tante medaglie istituzionali al merito, da buon calabrese di Bisanzio – Polistena è in Calabria, e anche Calopresti, i nomi purtroppo non tradiscono.
Il regista è il “cugino di Torino”, anche lui, del compianto Mario Bagalà, poeta faceto e musicista sensibile? Quello che ogni tanto ritorna, sbafa da amici e parenti, e ne sparla, del paese e dei parenti. O arriveremo i meridionali alla condizione degli ebrei assimilati, quando si cambiavano il nome?

Ma oggi gli ebrei il nome se lo cambiano al rovescio, lo levantinizzano. Ci sono cicli nella storia, magari arriverà la curva anche per il Sud. Forza Lega? Il cugino di Torino parte ogni volta insoddisfatto – di se stesso, non del luogo, se bene o male ci ritorna. Non da ora. Gli basterebbe acquisire un po’ di autostima.

leuzzi@antiit.eu

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