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lunedì 20 gennaio 2014

Berlusconi fa vent’anni – 14

astolfo

“20 anni dopo\ Finzione e realtà”. “Il Fatto Quotidiano” celebra in grande, in rosso, i vent’anni de “L’Italia è il paese che amo”, il disvelamento di Forza Italia e la  “discesa in campo” di Berlusconi. Dicendo che l’evento era preparato da tempo, il che non può non essere vero. E che Berlusconi era investito da Craxi: questo invece non è vero, ma conferma che l’“uomo nero” dei disfattisti (in genere missini riciclati comunisti, il piccolo destra-sinistra della Seconda Repubblica) è sempre Craxi, anche se l’uomo è ben morto - cioè le riforme, che Craxi aveva fatto, o stava per fare e si devono ancora fare (per prima la giustizia, l’agente killer di tutte le Repubbliche).
Niente di più lontano da Craxi di Berlusconi. La capacità di decidere contro il rinvio. La capacità di fare contro l’inciucio permanente. Un’idea della politica contro nessuna idea. Il pluralismo radiotelevisivo Craxi volle in omaggio alla milanesità e contro il monopolio becero – che perdura – della Rai. Berlusconi del resto, quando veniva a Roma andava da De Mita, con un pacchettino sempre infiocchettato, accompagnato da Gianni Letta – così Stefano Brusadelli lo descriveva sul “Mondo”. Lo stesso De Mita del partito Scalfari-De Benedetti che a fine luglio 1990 “ritirerà” i “suoi ministri dal governo Andreotti VI che varava la legge Mammì, la liberalizzazione dell’etere - e continuerà a governare senza i ministri di De Mita, grandi nomi: Martinazzoli, Mattarella, Bianco, Piga, Fracanzani (che democrazia!). 
Il suo limite, poiché non si può provare che è un corruttore e un corrotto, e anzi probabilmente non lo è, benché sia l’unico finora ricercato e perseguito, sarà di esser stato “troppo buono” - tutto il contrario di Craxi. Niente teste tagliate, salvataggi e anzi promozioni di nullità quali Fini e Casini, e lo steso Bossi piccolo familista. Nessuno contro, nemmeno coi sindacati: la riforma delle pensioni nel 1994 avrebbe bissato quella della scala mobile dieci anni prima e avrebbe rilanciato potentemente l’Italia. Nessuna vera battaglia contro i suoi giudici politicanti, loro invece durissimi, insolenti, e i tanti suoi altri nemici, specie non “comunisti” – i suoi beneficati per esempio, da Mentana a Travaglio, per non dire di Montanelli. 
Ma è vero, c’è sempre da dire di Berlusconi. Che è di più della macchietta dei lanciatori di uova, sia pure giornalisti intemerati e storici di professione. E di meno di quanto lascia intendere. Confermando il personaggio del bravo venditore, persuasivo, da cui per questo bisogna guardarsi. Anche un po’ pazzo, e per questo pericolosamente simpatico – lo diceva Aznavour, in concerto a piazza del Duomo nel 2009 (a 85 anni…), che Berlusconi aveva sfidato a duettare: “Silvio mi piace perché è matto, e io ho sempre adorato i matti”.
Non per merito suo, ma a petto di troppi belli-e-buoni della Repubblica pieni di sé e ipocondriaci, la politica è comparativa. Migliore imprenditore che politico, poiché da politico si è lasciato ingabbiare in galera – e da chi poi, un giudice nepotista. Anche se ha vinto tante elezioni. Compresa l’ultima. Ma qui si è chiarito che vince per la forza della disperazione: gli italiani per un quarto si sono astenuti, per un quarto hanno votato Grillo, che è la stessa cosa, e per un quarto sono tornati a votare, contro gli scandali e le condanne, Berlusconi.
Doroteo d’opposizione
Che si può dire per i vent’anni? Che Berlusconi non era di plastica, come si diceva. Ma che il  berlusconiano partito dell’amore è, è stato, il vecchio partito doroteo, della mediazione a fini di non fare – l’opposto delle sue roboanti promesse. Con una differenza. Con comportamenti cioè curiosamente “incrociati”, tra il Berlusconi degli affari e quello della politica: doroteo sempre in affari, accomodante, contro ogni sfida e oltraggio, anche quando il Pci-Pds gli armava contro i referendum, mentre è stato ed è divisivo in politica. Alla ricerca costante, se non alla creazione, di nemici. A partire dai suoi figli e figliocci. Più a suo agio all’opposizione che al governo, che ha presieduto due o tre volte con grandi maggioranze parlamentari ma a nessun effetto. Una sindrome potrebbe essere di senile cupio dissolvi, ma poi a ogni elezione, compresa quella di febbraio, si dimostra che non è.
Non è una contraddizione, c’è un prima e un dopo. Berlusconi sapeva marciare come imprenditore senza nemici, mentre da politico non ha fatto che attizzare. Perché prima era colonizzato, suo malgrado, da Craxi, di cui non poteva fare a meno. Poi invece è finito in sacrestia, come da indole. Aveva perfino l’unica rete tv di sinistra in Italia, Italia Uno,con lo straripante intelligentissimo “Drive In”, dove dava lavoro, visibilità e lustro all’intellighentsia, anche ai Pci, a cominciare dai vignettisti di partito, ElleKappa, Vauro, Disegni, Staino. Ma l’uomo era fondamentalmente democristiano, e non seppe resistere a Comunione e Liberazione quando i preti lo scoprirono.
Il macellaio Draghi
Che altro dirne? Qualcosa ha fatto, come portare la pensione minima a 500 euro. O levare la patrimoniale sulla casa di abitazione. Anche tenere i conti in ordine - seppure con lantipatico Tremonti. Ma soprattutto si nota per essere, benché molto milanese, più corretto di “Milano”, e vittima dei monopoli. Della giustizia, della banca, dell’informazione – eh sì: non è il “re” dei media, ne è la vittima. E di Draghi. Vittima lui, in questo caso, ma ben di più l’Italia: Berlusconi ha perso il posto a palazzo Chigi, l’Italia è stata svenata da Draghi, letteralmente, come il maiale appeso al gancio. Carlo Carraro, l’economista, rettore di Ca’ Foscari, l’università di Venezia, è uno di quelli che lo dice – a Vittorio Zincone, su “Sette” del 10 gennaio: “La politica di Berlusconi non piaceva a chi detiene il potere economico in Italia. Banche, assicurazioni. Soggetti che non sono stati sfavoriti dagli interventi della Bce, che Bce e Bankitalia, invece, dovrebbero monitorare meglio”.
Sarà. Il fatto è che il governo Berlusconi-Tremonti è stato silurato da Draghi. Di fretta, ancora prima di arrivare al vertice della Bce, Draghi indusse il presidente cessante Trichet a inviare una lettera congiunta di licenziamento a Berlusconi-Tremonti, e la rese pubblica. Una procedura unica, talmente grave da portare Draghi all’imputazione di lesa maestà, se ci fosse ancora una politica in Italia - nonché di avere favorito una speculazione facile e assassina sull’Italia. Ma Draghi è intoccabile, anche a una semplice critica, perché è l’uomo delle banche. Dei centri del potere mediatico, che ha locupletato a costi estremamente bassi di “moneta” Bce, tali che le banche possono comodamente non fare nulla, giusto comprarsi dei titoli di Stato e lucrare la differenza.
Più corretto è Berlusconi di quello che è lo standard morale di Milano: non ha derubato nessuno, non ha rovinato nessuno, e anzi ha creato molte carriere, non ha licenziato nessuno. Il contrasto su tutti questi fronti è lapalissiano col suo arcinemico Carlo De Benedetti, che invece è un pilastro della sinistra politica. Sopratutto, non ha fatto arrestare né condannare nessuno. Che non è un merito o un’opera buona, ma a Milano sì: si denunciano tutti anche non anonimamente, chi non ha ottenuto un appalto, una consulenza, una vendita, un acquisto, un merger o una fusion, subito crea trabocchetti. Un milanese, si potrebbe definire, sobrio. Non lo è, ma i milanesi non lo sono, lui fa eccezione.
Nella crisi, a destra
Primo Levi, alla fine sul suo tormentarsi sul “perché” dello sterminio, pochi mesi prima di darsi la morte, non trovava altra ragione che la “pericolosità” delle “posizioni carismatiche”. Il problema con Berlusconi in politica è che non è carismatico. È ingessato, goffo, monotono, prolisso. Non è un capopopolo - un giudice in toga, un Grillo barbuto, un Le Pen (anzi, è il contrario: di Le Pen si ascoltavano i comizi pagando il biglietto nell’estate del 1987, e gli stadi erano pieni. Molti peraltro l’hanno votato a malincuore, non per turarsi il naso, ma perché non hanno altro. Ci saranno anche i berlusconiani puri e duri, ma i milioni di voti li ha presi suo malgrado. Era un simulacro. Adesso che lo mandano al gabbio ogni poche settimane si vede: i suoi fan non si disperano, solo ne avevano bisogno - per quanto: “era”? la domenica delle Palme è previsto che “Milano” gli impedisca i comizi in tv, e i poveri elettori saranno ricostretti a rivotarlo. 
Di colpevole c’è solo Berlusconi, comunque, e questo è già un merito. René Girard, il filosofo del capro espiatorio, direbbe che può bastare: forse ora i giudici ci lasceranno un po di libertà. In ogni caso esce di scena martire di una popolare resistenza: può anzi vantare un Tribunale Speciale, allestito appositamente per lui, in fretta, a Ferragosto, in Cassazione. Dopo la prova generale, sempre in Cassazione, con l’esproprio proletario del Berlusconi ricco tycoon in favore del bisognoso De Benedetti – a cui l’esproprio peraltro non è bastato, ha subito dovuto licenziare un altro centinaio di giornalisti.
Visto seriamente, al di là delle sue buffonate, e della boria dei suoi nemici, tutta gente di paradiso, anche i più fegatosi, e dei giudici di Milano col puttanesimo: nella crisi è più facile che il popolo si affidi ai conservatori. A Berlusconi come a Bush jr., Angela Merkel, Sarkozy, Cameron, e incluso il laburista Blair. Cioè a coloro che, se non ne sono gli autori, stanno però dal lato degli agenti-attori-mestatori della crisi. Presupposti di conoscerne i meccanismi, e quindi di poterci forse porre rimedio. A una crisi che in Italia dura ormai da 22 anni.
È un paradosso, e anzi un’incongruenza. È una debolezza, ma perché i nemici della crisi non hanno idee né energie. In questi sette anni di crisi finanziaria aggravata, dal 2006, questa parte è la sinistra politica. Che recita il rosario e per questo si salva. Ma nella “subordinazione culturale”, che Renzi ha ben percepito. Si ascolti Landini in tv, così severo e inconcludente: è l’“agente segreto” di Berlusconi.
Il re del nulla, a sinistra
C’è un Berlusconi d’assalto, da campagna elettorale, da venditore di se stesso, e un Berlusconi di governo, inetto, inerte. Nei confronti delle cose da fare, e nei confronti dei suoi stessi uomini – funzionari, pupilli, allievi, salvati. Com’è possibile che questa nullità vinca sempre, o quasi, ogni elezione? Con tutte le procure addosso, le spie, i benpensanti, e i muckracker dei media? Dovendone celebrare coi vent’anni anche, in qualche modo, l’epicedio, bisogna ribadire di fronte a tanta virtuosa-vittoriosa nullità che essa è il frutto della nullità della sinistra. Che non poteva immaginare un avversario più comodo e debole, e ne ha fatto un monumento – perenne, a quanto si vede (conduce i sondaggi….). La sinistra del compromesso storico, che ha spazzato via ogni altra sinistra e il territorio presiede totalitaria, con sbirri, specie nei media, e manette.
I vent’anni si celebrano dominanti di un personaggio debole, un avversario inesistente, come il cavaliere di Calvino. Si dice: è il padrone dei media, ma non è vero. Nove decimi dei media, Rai compresa, sono contro di lui, e il suo decimo non lo sa o non lo vuole usare. Ha contro tutti i servizi, di ogni genere: spioni, giudici, cronisti giudiziari, carabinieri e finanza. Non ha nessuna forza, a parte la vendita della pubblicità. E non si sa difendere: lo dicono furbo, e lo sarà, ma quanto ingenuo. Lavitola, Ruby, le fidanzate, i tanti avvocati, la stessa moglie Veronica, lo stalliere siciliano, per uno che si sa sotto i riflettori e superintercettato, sono ingenuità colossali. Che sia durato vent’anni, che abbia vinto e perfino stravinto, è solo segno della pochezza della sinistra.
Berlusconi tede ad accreditare l’idea che questo è stato il suo ventennio. Ma è una delle tante idee che la sinistra gli accolla di cui lui poi si ammanta. Il liberalismo è una, e pronto se n’è fatta una bandiera, lui che è illiberale, in azienda e in politica – non una sola legge liberale ha promosso o realizzato. Il sentimento della giustizia che il diritto e i tribunali calpestano è un’altra – l’onnipotenza e la risolutività del Diritto sarebbe il cardine del pensiero liberale. La bandiera del merito. La politica come carisma. E la politica come comunicazione, Tutti “valori” che la sinistra ha imposto e impone, con la sua intellettualità monopolistica, nei tg, i tak-show, le “ospitate”, i giornali, gli opinionisti compunti, tutti così politicamente corretti. La sua specialità è di fare il verso, ma un po’ contropelo, scorretto solo un po’, a tanta sapienza.

Dappertutto e su tutto brandendo l’impulso, la pervasività, e il senso del limite dell’imprenditore. Questo è vero, del tanto che dice di sé: gli animal instincts che lo animano – peraltro tanto più giusti, egualitari, produttivi, insomma, ci siamo intesi, “populisti”. Lui, di suo, quello è: un imprenditore, anzi un venditore, dal naso specialmente fino. In un paese in cui la sinistra non fosse stata così sciocca, non ci sarebbe stato un ventennio berlusconiano.
Cache-sex
Un capitolo a parte meriterebbe Berlusconi perseguitato. Su questo non si può argomentare, tutto è segreto. Magari è colpevole. Ma non ha dossier (quindi non ha usato le polizie, in questo sì, ripete Craxi: da capo del governo non  si è costituito dossier), non ha fatto leggi speciali, non ha conculcato nessuno. Montanelli, quando se ne separò dopo vent’anni di intimità per poi attaccarlo furiosamente, tra i riconoscimenti di lealtà e generosità, gli rimproverò la mancanza di “doppiezza” e di “cinismo”. Mentre è stato ed è vittima di tutti i giudici e gli sbirri d’Italia, legali e non. È rimasto in piedi, e anche questo dà da pensare, sulle colpe dell’apparato repressivo: la giustizia fallisce quando è del potere.
Berlusconi è anche il cache-sex della Procura di Milano ormai dai tempi di Borrelli, quindi sono vent’anni, e del Tribunale di Milano, per coprire le sicure malefatte di altri. Inchieste mai fatte, sabotate, emasculate, anche  insabbiate, senza vergogna, di colpe certe, con ogni evidenza: Penati, Pirelli-Telecom, Moratti-Saras, Rizzoli-Corriere della sera, Sme. 
Tante cose si possono dirne, quante frittate non si sono rimestate su questa anomalia? Ma la cosa sicuramente vera per la futura storia politica - ammesso che ci sarà storia e si farà politica - è che Berlusconi l’ha fatto vincere l’Ulivo-partito Democratico. Il compromesso storico di Berlinguer, quello dei governicchi di Andreotti. Che ha perso tre elezioni su sei, due le ha vinte per pochissimi voti, molti governi si è fatti attribuire non eletti da presidenti della Repubblica condiscendenti, e quando ha governato non c’è riuscito per più di due anni, sempre dividendosi e litigando, su non si sa che cosa. Anche ora, in otto mesi si è già baloccato con tre governi, due mesi con Bersani, alla scrivania con due ignoti parlamentari, sei con Letta, e ora prevedibilmente con Renzi.

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