astolfo
“20
anni dopo\ Finzione e realtà”. “Il Fatto Quotidiano” celebra in grande, in
rosso, i vent’anni de “L’Italia è il paese che amo”, il disvelamento di Forza
Italia e la “discesa in campo” di Berlusconi.
Dicendo che l’evento era preparato da tempo, il che non può non essere vero. E
che Berlusconi era investito da Craxi: questo invece non è vero, ma conferma
che l’“uomo nero” dei disfattisti (in genere missini riciclati comunisti, il
piccolo destra-sinistra della Seconda Repubblica) è sempre Craxi, anche se l’uomo
è ben morto - cioè le riforme, che Craxi aveva fatto, o stava per fare e si
devono ancora fare (per prima la giustizia, l’agente killer di tutte le
Repubbliche).
Niente
di più lontano da Craxi di Berlusconi. La capacità di decidere contro il
rinvio. La capacità di fare contro l’inciucio permanente. Un’idea della
politica contro nessuna idea. Il pluralismo radiotelevisivo Craxi volle in
omaggio alla milanesità e contro il monopolio becero – che perdura – della Rai.
Berlusconi del resto, quando veniva a Roma andava da De Mita, con un pacchettino
sempre infiocchettato, accompagnato da Gianni Letta – così Stefano Brusadelli
lo descriveva sul “Mondo”. Lo
stesso De Mita del partito Scalfari-De Benedetti che a fine luglio 1990 “ritirerà”
i “suoi” ministri dal governo Andreotti VI che varava la legge Mammì, la liberalizzazione
dell’etere - e continuerà a governare senza i ministri di De Mita, grandi nomi:
Martinazzoli, Mattarella, Bianco, Piga, Fracanzani (che democrazia!).
Il suo limite, poiché non si può provare che è un corruttore e un corrotto, e anzi probabilmente non lo è, benché sia l’unico finora ricercato e perseguito, sarà di esser stato “troppo buono” - tutto il contrario di Craxi. Niente teste tagliate, salvataggi e anzi promozioni di nullità quali Fini e Casini, e lo steso Bossi piccolo familista. Nessuno contro, nemmeno coi sindacati: la riforma delle pensioni nel 1994 avrebbe bissato quella della scala mobile dieci anni prima e avrebbe rilanciato potentemente l’Italia. Nessuna vera battaglia contro i suoi giudici politicanti, loro invece durissimi, insolenti, e i tanti suoi altri nemici, specie non “comunisti” – i suoi beneficati per esempio, da Mentana a Travaglio, per non dire di Montanelli.
Il suo limite, poiché non si può provare che è un corruttore e un corrotto, e anzi probabilmente non lo è, benché sia l’unico finora ricercato e perseguito, sarà di esser stato “troppo buono” - tutto il contrario di Craxi. Niente teste tagliate, salvataggi e anzi promozioni di nullità quali Fini e Casini, e lo steso Bossi piccolo familista. Nessuno contro, nemmeno coi sindacati: la riforma delle pensioni nel 1994 avrebbe bissato quella della scala mobile dieci anni prima e avrebbe rilanciato potentemente l’Italia. Nessuna vera battaglia contro i suoi giudici politicanti, loro invece durissimi, insolenti, e i tanti suoi altri nemici, specie non “comunisti” – i suoi beneficati per esempio, da Mentana a Travaglio, per non dire di Montanelli.
Ma
è vero, c’è sempre da dire di Berlusconi. Che è di più della macchietta dei
lanciatori di uova, sia pure giornalisti intemerati e storici di professione. E
di meno di quanto lascia intendere. Confermando il personaggio del bravo venditore,
persuasivo, da cui per questo bisogna guardarsi. Anche un po’
pazzo, e per questo pericolosamente simpatico – lo diceva Aznavour, in concerto
a piazza del Duomo nel 2009 (a 85 anni…), che Berlusconi aveva sfidato a
duettare: “Silvio mi piace perché è matto, e io ho sempre adorato i matti”.
Non per merito suo, ma a petto di troppi belli-e-buoni della Repubblica pieni di sé e ipocondriaci, la politica è comparativa. Migliore imprenditore che politico, poiché da politico si è lasciato ingabbiare in galera – e da chi poi, un giudice nepotista. Anche se ha vinto tante elezioni. Compresa l’ultima. Ma qui si è chiarito che vince per la forza della disperazione: gli italiani per un quarto si sono astenuti, per un quarto hanno votato Grillo, che è la stessa cosa, e per un quarto sono tornati a votare, contro gli scandali e le condanne, Berlusconi.
Non per merito suo, ma a petto di troppi belli-e-buoni della Repubblica pieni di sé e ipocondriaci, la politica è comparativa. Migliore imprenditore che politico, poiché da politico si è lasciato ingabbiare in galera – e da chi poi, un giudice nepotista. Anche se ha vinto tante elezioni. Compresa l’ultima. Ma qui si è chiarito che vince per la forza della disperazione: gli italiani per un quarto si sono astenuti, per un quarto hanno votato Grillo, che è la stessa cosa, e per un quarto sono tornati a votare, contro gli scandali e le condanne, Berlusconi.
Doroteo d’opposizione
Che
si può dire per i vent’anni? Che Berlusconi non era di plastica, come si
diceva. Ma che il berlusconiano partito
dell’amore è, è stato, il vecchio partito doroteo, della mediazione a fini di
non fare – l’opposto delle sue roboanti promesse. Con una differenza. Con
comportamenti cioè curiosamente “incrociati”, tra il Berlusconi degli affari e
quello della politica: doroteo sempre in affari, accomodante, contro ogni sfida
e oltraggio, anche quando il Pci-Pds gli armava contro i referendum, mentre è
stato ed è divisivo in politica. Alla ricerca costante, se non alla creazione, di
nemici. A partire dai suoi figli e figliocci. Più a suo agio all’opposizione
che al governo, che ha presieduto due o tre volte con grandi maggioranze parlamentari ma a nessun effetto.
Una sindrome potrebbe essere di senile cupio
dissolvi, ma poi a ogni elezione, compresa quella di febbraio, si dimostra
che non è.
Non
è una contraddizione, c’è un prima e un dopo. Berlusconi sapeva marciare come
imprenditore senza nemici, mentre da politico non ha fatto che attizzare. Perché prima era colonizzato, suo malgrado, da Craxi, di cui non poteva
fare a meno. Poi invece è finito in sacrestia, come da indole. Aveva perfino
l’unica rete tv di sinistra in Italia, Italia Uno,con lo straripante
intelligentissimo “Drive In”, dove dava lavoro, visibilità e lustro all’intellighentsia,
anche ai Pci, a cominciare dai vignettisti di partito, ElleKappa, Vauro,
Disegni, Staino. Ma l’uomo era fondamentalmente democristiano, e non seppe
resistere a Comunione e Liberazione quando i preti lo scoprirono.
Il macellaio Draghi
Che
altro dirne? Qualcosa ha fatto, come portare la pensione minima a 500 euro. O levare la patrimoniale sulla casa di abitazione. Anche tenere i conti in ordine - seppure con l’antipatico Tremonti. Ma soprattutto si nota per essere, benché molto milanese, più corretto di “Milano”, e vittima dei monopoli. Della giustizia,
della banca, dell’informazione – eh sì: non è il “re” dei media, ne è la
vittima. E di Draghi. Vittima lui, in questo caso, ma ben di più l’Italia:
Berlusconi ha perso il posto a palazzo Chigi, l’Italia è stata svenata da
Draghi, letteralmente, come il maiale appeso al gancio. Carlo Carraro,
l’economista, rettore di Ca’ Foscari, l’università di Venezia, è uno di quelli
che lo dice – a Vittorio Zincone, su “Sette” del 10 gennaio: “La politica di
Berlusconi non piaceva a chi detiene il potere economico in Italia. Banche,
assicurazioni. Soggetti che non sono stati sfavoriti dagli interventi della
Bce, che Bce e Bankitalia, invece, dovrebbero monitorare meglio”.
Sarà.
Il fatto è che il governo Berlusconi-Tremonti è stato silurato da Draghi. Di
fretta, ancora prima di arrivare al vertice della Bce, Draghi indusse il presidente
cessante Trichet a inviare una lettera congiunta di licenziamento a
Berlusconi-Tremonti, e la rese pubblica. Una procedura unica, talmente grave da
portare Draghi all’imputazione di lesa maestà, se ci fosse ancora una politica
in Italia - nonché di avere favorito una speculazione facile e assassina sull’Italia.
Ma Draghi è intoccabile, anche a una semplice critica, perché è l’uomo delle
banche. Dei centri del potere mediatico, che ha locupletato a costi estremamente
bassi di “moneta” Bce, tali che le banche possono comodamente non fare nulla,
giusto comprarsi dei titoli di Stato e lucrare la differenza.
Più
corretto è Berlusconi di quello che è lo standard morale di Milano: non ha derubato
nessuno, non ha rovinato nessuno, e anzi ha creato molte carriere, non ha licenziato
nessuno. Il contrasto su tutti questi fronti è lapalissiano col suo arcinemico
Carlo De Benedetti, che invece è un pilastro della sinistra politica. Sopratutto,
non ha fatto arrestare né condannare nessuno. Che non è un merito o un’opera
buona, ma a Milano sì: si denunciano tutti anche non anonimamente, chi non ha
ottenuto un appalto, una consulenza, una vendita, un acquisto, un merger o una fusion, subito crea
trabocchetti. Un milanese, si potrebbe definire, sobrio. Non lo è, ma i milanesi
non lo sono, lui fa eccezione.
Nella crisi, a destra
È
un paradosso, e anzi un’incongruenza. È una debolezza, ma perché i nemici della
crisi non hanno idee né energie. In questi sette anni di crisi finanziaria
aggravata, dal 2006, questa parte è la sinistra politica. Che recita il rosario
e per questo si salva. Ma nella “subordinazione culturale”, che Renzi
ha ben percepito. Si ascolti Landini in tv, così severo e inconcludente: è
l’“agente segreto” di Berlusconi.
Primo Levi, alla fine sul suo tormentarsi sul
“perché” dello sterminio, pochi mesi prima di darsi la morte, non trovava altra
ragione che la “pericolosità” delle “posizioni carismatiche”. Il problema con
Berlusconi in politica è che non è carismatico. È ingessato, goffo, monotono,
prolisso. Non è un capopopolo - un giudice in toga, un Grillo barbuto, un Le
Pen (anzi, è il contrario: di Le Pen si ascoltavano i comizi pagando il
biglietto nell’estate del 1987, e gli stadi erano pieni. Molti peraltro l’hanno
votato a malincuore, non per turarsi il naso, ma perché non hanno altro. Ci
saranno anche i berlusconiani puri e duri, ma i milioni di voti li ha presi suo
malgrado. Era un simulacro. Adesso che lo mandano al gabbio ogni poche settimane
si vede: i suoi fan non si disperano, solo ne avevano bisogno - per quanto: “era”?
la domenica delle Palme è previsto che “Milano” gli impedisca i comizi in tv, e
i poveri elettori saranno ricostretti a rivotarlo.
Di colpevole c’è solo Berlusconi, comunque, e questo è già un merito. René Girard, il filosofo del capro espiatorio, direbbe che può bastare: forse ora i giudici ci lasceranno un po’ di libertà. In ogni caso esce di scena martire di una popolare resistenza: può anzi vantare un Tribunale Speciale, allestito appositamente per lui, in fretta, a Ferragosto, in Cassazione. Dopo la prova generale, sempre in Cassazione, con l’esproprio proletario del Berlusconi ricco tycoon in favore del bisognoso De Benedetti – a cui l’esproprio peraltro non è bastato, ha subito dovuto licenziare un altro centinaio di giornalisti.
Di colpevole c’è solo Berlusconi, comunque, e questo è già un merito. René Girard, il filosofo del capro espiatorio, direbbe che può bastare: forse ora i giudici ci lasceranno un po’ di libertà. In ogni caso esce di scena martire di una popolare resistenza: può anzi vantare un Tribunale Speciale, allestito appositamente per lui, in fretta, a Ferragosto, in Cassazione. Dopo la prova generale, sempre in Cassazione, con l’esproprio proletario del Berlusconi ricco tycoon in favore del bisognoso De Benedetti – a cui l’esproprio peraltro non è bastato, ha subito dovuto licenziare un altro centinaio di giornalisti.
Visto
seriamente, al di là delle sue buffonate, e della boria dei suoi nemici, tutta
gente di paradiso, anche i più fegatosi, e dei giudici di Milano col puttanesimo:
nella crisi è più facile che il popolo si affidi ai conservatori. A Berlusconi
come a Bush jr., Angela Merkel, Sarkozy, Cameron, e incluso il laburista Blair.
Cioè a coloro che, se non ne sono gli autori, stanno però dal lato degli
agenti-attori-mestatori della crisi. Presupposti di conoscerne i meccanismi, e
quindi di poterci forse porre rimedio. A una crisi che in Italia dura ormai da 22
anni.
Il re del nulla, a sinistra
C’è un Berlusconi d’assalto, da
campagna elettorale, da venditore di se stesso, e un Berlusconi di governo,
inetto, inerte. Nei confronti delle cose da fare, e nei confronti dei suoi
stessi uomini – funzionari, pupilli, allievi, salvati. Com’è possibile che
questa nullità vinca sempre, o quasi, ogni elezione? Con tutte le procure
addosso, le spie, i benpensanti, e i muckracker dei media? Dovendone
celebrare coi vent’anni anche, in qualche modo, l’epicedio, bisogna ribadire di
fronte a tanta virtuosa-vittoriosa nullità che essa è il frutto della nullità
della sinistra. Che non poteva immaginare un avversario più comodo e debole, e
ne ha fatto un monumento – perenne, a quanto si vede (conduce i sondaggi….). La
sinistra del compromesso storico, che ha spazzato via ogni altra sinistra e il
territorio presiede totalitaria, con sbirri, specie nei media, e manette.
I vent’anni si
celebrano dominanti di un personaggio debole, un avversario inesistente, come
il cavaliere di Calvino. Si dice: è il padrone dei media, ma non è vero. Nove
decimi dei media, Rai compresa, sono contro di lui, e il suo decimo non lo sa o
non lo vuole usare. Ha contro tutti i servizi, di ogni genere: spioni, giudici,
cronisti giudiziari, carabinieri e finanza. Non ha nessuna forza, a parte la
vendita della pubblicità. E non si sa difendere: lo dicono furbo, e lo sarà, ma
quanto ingenuo. Lavitola, Ruby, le fidanzate, i tanti avvocati, la stessa
moglie Veronica, lo stalliere siciliano, per uno che si sa sotto i riflettori e
superintercettato, sono ingenuità colossali. Che sia durato vent’anni, che
abbia vinto e perfino stravinto, è solo segno della pochezza della sinistra.
Cache-sex
Berlusconi tede ad accreditare l’idea
che questo è stato il suo ventennio. Ma è una delle tante idee che la sinistra
gli accolla di cui lui poi si ammanta. Il liberalismo è una, e pronto se n’è
fatta una bandiera, lui che è illiberale, in azienda e in politica – non una
sola legge liberale ha promosso o realizzato. Il sentimento della giustizia che
il diritto e i tribunali calpestano è un’altra – l’onnipotenza e la
risolutività del Diritto sarebbe il cardine del pensiero liberale. La bandiera
del merito. La politica come carisma. E la politica come comunicazione, Tutti
“valori” che la sinistra ha imposto e impone, con la sua intellettualità monopolistica,
nei tg, i tak-show, le “ospitate”, i giornali, gli opinionisti compunti, tutti
così politicamente corretti. La sua specialità è di fare il verso, ma un po’
contropelo, scorretto solo un po’, a tanta sapienza.
Dappertutto e su tutto brandendo l’impulso,
la pervasività, e il senso del limite dell’imprenditore. Questo è vero, del
tanto che dice di sé: gli animal instincts
che lo animano – peraltro tanto più giusti, egualitari, produttivi, insomma, ci
siamo intesi, “populisti”. Lui, di suo, quello è: un imprenditore, anzi un
venditore, dal naso specialmente fino. In un paese in cui la sinistra non fosse
stata così sciocca, non ci sarebbe stato un ventennio berlusconiano.
Un capitolo a parte meriterebbe Berlusconi perseguitato. Su questo non si può argomentare, tutto è segreto. Magari è colpevole. Ma non ha dossier (quindi non ha usato le polizie, in questo sì, ripete Craxi: da capo del governo non si è costituito dossier), non ha fatto leggi speciali, non ha conculcato nessuno. Montanelli, quando se ne separò dopo vent’anni di intimità per poi attaccarlo furiosamente, tra i riconoscimenti di lealtà e generosità, gli rimproverò la mancanza di “doppiezza” e di “cinismo”. Mentre è stato ed è vittima di tutti i giudici e gli sbirri d’Italia, legali e non. È rimasto in piedi, e anche questo dà da pensare, sulle colpe dell’apparato repressivo: la giustizia fallisce quando è del potere.
Berlusconi è anche il cache-sex
della Procura di Milano ormai dai tempi di Borrelli, quindi sono vent’anni, e
del Tribunale di Milano, per coprire le sicure malefatte di altri. Inchieste
mai fatte, sabotate, emasculate, anche insabbiate, senza vergogna, di colpe certe,
con ogni evidenza: Penati, Pirelli-Telecom, Moratti-Saras, Rizzoli-Corriere
della sera, Sme.
Tante cose si
possono dirne, quante frittate non si sono rimestate su questa anomalia? Ma la cosa sicuramente vera per la futura storia politica - ammesso che ci sarà storia e si farà politica - è che Berlusconi l’ha fatto vincere l’Ulivo-partito
Democratico. Il compromesso storico di Berlinguer, quello dei governicchi di Andreotti. Che ha perso tre elezioni
su sei, due le ha vinte per pochissimi voti, molti governi si è fatti
attribuire non eletti da presidenti della Repubblica condiscendenti, e quando
ha governato non c’è riuscito per più di due anni, sempre dividendosi e
litigando, su non si sa che cosa. Anche ora, in otto mesi si è già baloccato
con tre governi, due mesi con Bersani, alla scrivania con due ignoti parlamentari,
sei con Letta, e ora prevedibilmente con Renzi.
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