giovedì 30 gennaio 2014

Con l’acqua o senza l’acqua?

Siamo nell’età dell’Acquario (ci siamo ancora?) e non si passa immuni da un medico. Senza cioè la raccomandazione insistita, e anzi la prescrizione, di bere acqua, - “almeno due litri al giorno”. Che nessun medico evidentemente beve. Ma si vedono le ragazze, soprattutto loro, virtuose igieniste girare con la bottiglietta dell’acqua in mano, anche d’inverno, con la pioggia. L’igiene del mondo va a periodi, l’acqua sarà la solita soluzione ultimativa del solito scienziato fracchiano, naturalmente naturalizzato americano. Come lo era il divieto dell’acqua fino a ieri, assoluto.
Scrivendo nel 1953 un omaggio all’archeologo tedesco Ludwig Curtius, suo amico, “Storia dello spirito tedesco”, il grande filologo Giorgio Pasquali comincia rievocandone la vita in famiglia, “eletto ad accompagnare il padre”, in quanto figlio maschio. Il padre, “grande amico della natura”, e quindi grande camminatore, seppure riducendo la conversazione “ai nomi delle piante e  (al)la nomenclatura del Linneo”, insegnava, come Rousseau, “che si devono sopportare stoicamente fame e sete”. Anzi, “il babbo era convinto che il bere acqua fosse superfluo e nocivo all’organismo, come ne sono ancor oggi persuasi molti Tedeschi, medici e non”. Quindi, fino a cinquant’anni fa era proibito bere.
Pasquali ne fa esempi terribili. “Ogni Italiano, in Germania, soffre non scorgendo sulla mensa di famiglia né bottiglia né bicchiere, e io so di figli fiorentini di mamma tedesca a cui durante l’estate, che qui a Firenze è così calda,  così umida, così soffocante veniva negato ogni conforto liquido”.
La frutta proibita
Ci sono cicli nella filosofia della salute. Ma, a differenza di ogni altro pensiero, si ritengono di volta in volta tassativi. La medicina essendo reputata una scienza, e quindi incontestabile.
Altro tabù era la frutta, oggi consigliata incondizionatamente, l’alimento più sano. “Un altro pregiudizio era comune all’Italia e alla Germania in quei tempi”, continua il filologo: “Curtius padre concedeva molto di rado e in quantità minima frutta ai figlioli, quasi ghiottoneria senza valore nutritivo. Parimenti mio nonno ginecologo aveva paura della frutta, tramite d’infezione, e, se fosse dipeso da lui, ci avrebbe alimentati di sola carne con poco contorno”.

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