Chiesa – Sembra voler uscire dalla
catacombe, dopo il pontificato flamboyant del papa polacco – i polacchi sono
combattenti, seppure a cavallo. Farsi vedere che esce, come se fosse nelle
catacombe - e in qualche modo lo era, seppure trionfante. Per buttarsi nel calderone,
seppure spumeggiante, del cosiddetto laicismo dei diritti. Della ragione
semplificatrice, per intendersi, che l’Onu, l’Unesco, e altre assise severe dei
diritti umani si arrogano e sventolano: il sesso libero, il sesso improduttivo,
la buona morte, la famiglia allargata, frazionata, moltiplicata, il multiculturalismo,
la bontà dei brutti-e-cattivi, l’essere che è il non essere. Una filosofia “selvaggia”,
per non dire suicidaria
La chiesa
che ha il maggiore patrimonio estetico, pedagogico e politico del mondo. E
anche in filosofia se la passerebbe bene, ha la tradizione più forte, se non la
più brillante.
Destra—Sinistra
–
Fonsai ha perso molti clienti dopo il suo passaggio a Unipol. Per il
pregiudizio ideologico, Unipol essendo sempre associata alla Lega delle
cooperative. Ne ha persi in alcuni quartieri di Roma che pure sono di sinistra,
Parioli, Monteverde, Trastevere. E di più nel Nord-Est.
“La grande bellezza” è partito
con una grave handicap nella corsa all’Oscar: il “finanziatore maggiore” del
film sarebbe Berlusconi. Non proprio Berlusconi, una sua società che produce
molti altri film di sinistra, ma non importa, il messaggio percorre le reti inquieto
e inquietante. Il tamtam s’è intensificato ultimamente, nella speranza che,
arrivando per via di links ai gruppi simpatetici Usa, porti alla bocciatura del
film agli Oscar.
India
– Ora che, con la prigionia a tempo
indefinito senza capo d’accusa dei due militari italiani, se ne seguono le
cronache, si rivela per un paese violento e fortemente retrogrado. Specie nei
suoi stati ritenuti più progrediti, come il suo Nord-Est relativamente
industrializzato, l’Uttar Pradesh, il Bihar, e a Sud il Kerala, comunista da
sempre. L’immagine era fortemente oleografica. Del paradiso dei deboli, dei
mistici, dei puri. All’ombra delle sue Upanishad. Dei coloratissimi musical di
Bollywood. Dell’acuta critica, esistenziale, sociale, letteraria dei tantissimi
dottissimi affermatissimi anglo-indiani, filosofi, sociologi, scrittori,
politici, ininfluenti e ignorati in patria. Specialmente delle anglo-indiane,
molta sapienza con tanta sicurezza. Per non dire dei piccoli
coltivatori, che la liberalizzazione ha strozzato vent’anni fa. Almeno
trecentomila suicidi sono contati tra i coltivatori da allora, per debiti non
onorati – che non sono una piccola cifra, anche in una popolazione così grande.
Ciò che gli inglesi rimproveravano
al modo indiano di fare politica è vero anche a oltre sessanta o settant’anni
dalla fine dell’impero: l’isterismo, la bugia costante, l’odio patologico, la
crudeltà, e il sospetto. Nella “più grande democrazia del mondo” si violentano,
con diritto, le ragazze. Una donna può essere condannata da un giudice a essere
violentata, più volte. E due militari stranieri non essere accusati di nulla ma minacciati di morte. Dove al Nord vige il patriarcato più duro, per la
professione, il matrimonio, la condizione umana delle figlie. E al Sud, nel
progressivissimo Kerala, vige il maggiorascato come 150 anni fa nelle ricerche
di Lafargue, sia pure in forme matriarcali, della sorella maggiore – dei Nair e
non solo. Ovunque gli stupri e i linciaggi delle donne,
meglio se bambine, sono quotidiani. Qualcuna di queste violenza fa oggi notizia
a fini di piccola politica, per capitalizzare sull’indignazione di minoranze
urbane.
Iran – È l’unico
paese “vero” nell’Arco della Crisi, nel senso che ha storia, cultura, alfabetizzazione
perlomeno reale. Un patrimonio nazionale, insomma,. Ed è il paese più legato
all’Occidente. Dall’eguaglianza e la sintonia culturale più che dalla politica
o dalle strategie militari. Obama riapre un rapporto che, malgrado trent’anni
di embarghi, non si è mai potuto spezzare. Anche perché la diaspora iraniana è
ormai molto consistente, ovunque in Europa e negli stessi Usa. Nel sito
Iridiplomacy, del ministro iraniano degli Esteri, l’ex responsabile Iran del
dipartimento di Stato durante la fallimentare presidenza cCarter (1976-1980),
Gary Sick, elenca una serie di “interessi in comune” tra Washington e Teheran:
l’Afghanistan, l’Irak (la “quasi guerra civile”), la Siria, e perfino l
“sicurezza e stabilità del Golfo Perrsico”, dove invece la sponda araba sembra
dominante nel rapporto con gli Usa.
Kissinger, che, con l’altro vecchio
segretario di Stato repubblicano Shultz, ha voluto far pervenire il sostegno
della sua parte a Obama, nelle memorie del 1982, “Anni di crisi”, tracciava
“realtà geopolitiche” che trascendevano la crisi dei rapporti con Khomeini – ne
scrive in un passato che è un presente storico, se all’Urss si sostituisce la
Russia: “L’Iran, paese che ha un passato di indipendenza secondo solo a quello
dell’Egitto e più lungo di quello della Cina, poteva fare da ponte tra l’Unione
Sovietica e il Medio Oriente arabo. Sotto lo scià era la barriera che
proteggeva due nazioni vulnerabili come il Pakistan e l’Afghanistan dalla
pressione esercitata da un lato dall’espansionismo sovietico e dall’altro dalla
turbolenza mediorientale. L’Iran è di gran lunga la più forte delle nazioni
situate lungo lo stretto di Ormuz, per cui passa più del quaranta per cento del
petrolio importato dalle democrazie occidentali”.
Italiano – Diffidente,
lo voleva Stendhal, che lo conosceva bene, in “Roma, Napoli e Firenze nel
1817”, il giorno 26 maggio: “In mezzo a tutti questi cambiamenti di governo e
di governanti, si vede raddoppiata la «diffidenza», questa base immutabile del
carattere italiano, e hanno ragione: sospettare qui non è mai di troppo”.
Public
Company-
Ritorna quando c’è bisogno dei capitali del “parco buoi”, i piccoli azionisti?
Non è così naturalmente, ma lo è storicamente. A ogni teorizzazione o promessa
di public company è seguito un forte
aumento di capitale: come sottrarsi alla lusinga? Salvo vedere ogni volta l’investimento
sparire, e anche in fretta. Dal tempo, sono ormai quasi quarant’anni, in cui
per la prima volta fu proposta, per far pagare anche al “parco buoi” il
disastro Montedison - dopo averci dissanguato l’Eni.
È una delle solite ubbie sul modello
Usa (come l’ordinamento universitario, o i fondi pensione e investimento),
scarsamente o per nulla realizzabili poiché manca il contorno normativo che le
rende possibili. Nel caso societario la responsabilità degli amministratori, la
flessibilità delle procedure fallimentari, i controlli delle autorità di
sorveglianza. Nessuno può fare una dote al figlio alla nascita in Italia in
previsione della sua maggiore età a 18 anni, come negli Usa se ne fanno per
pagargli gli studi all’università a 18 anni (negli Usa molto cari). Due “carriere”
patrimoniali come quelle della presidente della Federal Reserve, Janet Yellen,
e di suo marito, l’economista premio Nobel George Akerlof, come Paola Jadeluca
le ricostruisce oggi su “Affari & Finanza” di Repubblica
non sono immaginabili in Italia:
due nerd, due giovani che si fanno da
soli, il padre di Ackermann disoccupato quando lui ha dodici anni, lei assistente
volontaria a Harvard nel 1971 e poi funzionaria della Fed, insieme dal 1978,
hanno tra collezioni, fondi pensione e titoli un patrimonio valutato sui dieci
milioni di dollari. In Italia non sarebbe possibile: di investimento “sicuro”
(dalle truffe) c’è solo la casa. C’era, ora è bottino delle orde politiche.
astolfo@antiit.eu
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