lunedì 27 gennaio 2014

Il mondo com'è (161)

astolfo

Chiesa – Sembra voler uscire dalla catacombe, dopo il pontificato flamboyant del papa polacco – i polacchi sono combattenti, seppure a cavallo. Farsi vedere che esce, come se fosse nelle catacombe - e in qualche modo lo era, seppure trionfante. Per buttarsi nel calderone, seppure spumeggiante, del cosiddetto laicismo dei diritti. Della ragione semplificatrice, per intendersi, che l’Onu, l’Unesco, e altre assise severe dei diritti umani si arrogano e sventolano: il sesso libero, il sesso improduttivo, la buona morte, la famiglia allargata, frazionata, moltiplicata, il multiculturalismo, la bontà dei brutti-e-cattivi, l’essere che è il non essere. Una filosofia “selvaggia”, per non dire suicidaria
La chiesa che ha il maggiore patrimonio estetico, pedagogico e politico del mondo. E anche in filosofia se la passerebbe bene, ha la tradizione più forte, se non la più brillante.

Destra—Sinistra – Fonsai ha perso molti clienti dopo il suo passaggio a Unipol. Per il pregiudizio ideologico, Unipol essendo sempre associata alla Lega delle cooperative. Ne ha persi in alcuni quartieri di Roma che pure sono di sinistra, Parioli, Monteverde, Trastevere. E di più nel Nord-Est.
“La grande bellezza” è partito con una grave handicap nella corsa all’Oscar: il “finanziatore maggiore” del film sarebbe Berlusconi. Non proprio Berlusconi, una sua società che produce molti altri film di sinistra, ma non importa, il messaggio percorre le reti inquieto e inquietante. Il tamtam s’è intensificato ultimamente, nella speranza che, arrivando per via di links ai gruppi simpatetici Usa, porti alla bocciatura del film agli Oscar.

India – Ora che, con la prigionia a tempo indefinito senza capo d’accusa dei due militari italiani, se ne seguono le cronache, si rivela per un paese violento e fortemente retrogrado. Specie nei suoi stati ritenuti più progrediti, come il suo Nord-Est relativamente industrializzato, l’Uttar Pradesh, il Bihar, e a Sud il Kerala, comunista da sempre. L’immagine era fortemente oleografica. Del paradiso dei deboli, dei mistici, dei puri. All’ombra delle sue Upanishad. Dei coloratissimi musical di Bollywood. Dell’acuta critica, esistenziale, sociale, letteraria dei tantissimi dottissimi affermatissimi anglo-indiani, filosofi, sociologi, scrittori, politici, ininfluenti e ignorati in patria. Specialmente delle anglo-indiane, molta sapienza con tanta sicurezza. Per non dire dei piccoli coltivatori, che la liberalizzazione ha strozzato vent’anni fa. Almeno trecentomila suicidi sono contati tra i coltivatori da allora, per debiti non onorati – che non sono una piccola cifra, anche in una popolazione così grande.
Ciò che gli inglesi rimproveravano al modo indiano di fare politica è vero anche a oltre sessanta o settant’anni dalla fine dell’impero: l’isterismo, la bugia costante, l’odio patologico, la crudeltà, e il sospetto. Nella “più grande democrazia del mondo” si violentano, con diritto, le ragazze. Una donna può essere condannata da un giudice a essere violentata, più volte. E due militari stranieri non essere accusati di nulla ma minacciati di morte. Dove al Nord vige il patriarcato più duro, per la professione, il matrimonio, la condizione umana delle figlie. E al Sud, nel progressivissimo Kerala, vige il maggiorascato come 150 anni fa nelle ricerche di Lafargue, sia pure in forme matriarcali, della sorella maggiore – dei Nair e non solo. Ovunque gli stupri e i linciaggi delle donne, meglio se bambine, sono quotidiani. Qualcuna di queste violenza fa oggi notizia a fini di piccola politica, per capitalizzare sull’indignazione di minoranze urbane. 

Iran – È l’unico paese “vero” nell’Arco della Crisi, nel senso che ha storia, cultura, alfabetizzazione perlomeno reale. Un patrimonio nazionale, insomma,. Ed è il paese più legato all’Occidente. Dall’eguaglianza e la sintonia culturale più che dalla politica o dalle strategie militari. Obama riapre un rapporto che, malgrado trent’anni di embarghi, non si è mai potuto spezzare. Anche perché la diaspora iraniana è ormai molto consistente, ovunque in Europa e negli stessi Usa. Nel sito Iridiplomacy, del ministro iraniano degli Esteri, l’ex responsabile Iran del dipartimento di Stato durante la fallimentare presidenza cCarter (1976-1980), Gary Sick, elenca una serie di “interessi in comune” tra Washington e Teheran: l’Afghanistan, l’Irak (la “quasi guerra civile”), la Siria, e perfino l “sicurezza e stabilità del Golfo Perrsico”, dove invece la sponda araba sembra dominante nel rapporto con gli Usa.
Kissinger, che, con l’altro vecchio segretario di Stato repubblicano Shultz, ha voluto far pervenire il sostegno della sua parte a Obama, nelle memorie del 1982, “Anni di crisi”, tracciava “realtà geopolitiche” che trascendevano la crisi dei rapporti con Khomeini – ne scrive in un passato che è un presente storico, se all’Urss si sostituisce la Russia: “L’Iran, paese che ha un passato di indipendenza secondo solo a quello dell’Egitto e più lungo di quello della Cina, poteva fare da ponte tra l’Unione Sovietica e il Medio Oriente arabo. Sotto lo scià era la barriera che proteggeva due nazioni vulnerabili come il Pakistan e l’Afghanistan dalla pressione esercitata da un lato dall’espansionismo sovietico e dall’altro dalla turbolenza mediorientale. L’Iran è di gran lunga la più forte delle nazioni situate lungo lo stretto di Ormuz, per cui passa più del quaranta per cento del petrolio importato dalle democrazie occidentali”.

Italiano – Diffidente, lo voleva Stendhal, che lo conosceva bene, in “Roma, Napoli e Firenze nel 1817”, il giorno 26 maggio: “In mezzo a tutti questi cambiamenti di governo e di governanti, si vede raddoppiata la «diffidenza», questa base immutabile del carattere italiano, e hanno ragione: sospettare qui non è mai di troppo”.

Public Company- Ritorna quando c’è bisogno dei capitali del “parco buoi”, i piccoli azionisti? Non è così naturalmente, ma lo è storicamente. A ogni teorizzazione o promessa di public company è seguito un forte aumento di capitale: come sottrarsi alla lusinga? Salvo vedere ogni volta l’investimento sparire, e anche in fretta. Dal tempo, sono ormai quasi quarant’anni, in cui per la prima volta fu proposta, per far pagare anche al “parco buoi” il disastro Montedison - dopo averci dissanguato l’Eni.

È una delle solite ubbie sul modello Usa (come l’ordinamento universitario, o i fondi pensione e investimento), scarsamente o per nulla realizzabili poiché manca il contorno normativo che le rende possibili. Nel caso societario la responsabilità degli amministratori, la flessibilità delle procedure fallimentari, i controlli delle autorità di sorveglianza. Nessuno può fare una dote al figlio alla nascita in Italia in previsione della sua maggiore età a 18 anni, come negli Usa se ne fanno per pagargli gli studi all’università a 18 anni (negli Usa molto cari). Due “carriere” patrimoniali come quelle della presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, e di suo marito, l’economista premio Nobel George Akerlof, come Paola Jadeluca le ricostruisce oggi su “Affari & Finanza” di Repubblica
non sono immaginabili in Italia: due nerd, due giovani che si fanno da soli, il padre di Ackermann disoccupato quando lui ha dodici anni, lei assistente volontaria a Harvard nel 1971 e poi funzionaria della Fed, insieme dal 1978, hanno tra collezioni, fondi pensione e titoli un patrimonio valutato sui dieci milioni di dollari. In Italia non sarebbe possibile: di investimento “sicuro” (dalle truffe) c’è solo la casa. C’era, ora è bottino delle orde politiche.

astolfo@antiit.eu

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