Un apologo, della felicità passeggera e la speranza
duratura. Un canto d’amore anche alla natura, alla sua natura, dell’autore, i
luoghi dell’infanzia e l’adolescenza.
È più potente la scena della vicenda che vi si svolge:
la vita dei ragazzi d’estate in un paese del crotonese, tra bagni al mare,
passeggiate sui monti, la sera al pub, la notte alla disco, lunghe dormite e
madri provvide. Tutti “liberati” – nel gergo della Seconda Repubblica si
direbbe “normali”: la ragazza “germanese” come il ragazzo “locale”. In una
storia contemporanea, anzi di cronaca: le cosche mafiose a Nord, a danno dei
conterranei che al Nord sono riusciti a creare, lavorando duro, qualcosa.
È l’apologo del male che sempre attenta al bene. Reso
però memorabile dalla lievità, e dalla novità dell’approccio (la normalità). Su
questo filo conduttore esile una serie d’immagini restano durature: il rito del
pane, così ricostituente, la cicala “paccia”, l’amicizia, l’inconsapevolezza
giovanile.
È anche una storia dei buoni che vanno via, lasciando
padroni i cattivi. Non è così, non è questa la divisione sociale. Anche se è
vero che il Sud è soprattutto impoverito di umanità: di energie, idee,
perseveranza. Abate, che è narratore
costante delle origini, qui si libera pure lui, con beneficio del lettore..
Recupera anche il dialetto, con parsimonia e in forme riconoscibili, per un
possibile arricchimento lessicale. Recupera le origini – l’adolescenza, i
luoghi, i rapporti umani – in chiave per una volta non folklorica: poiché non
ci se ne può liberare, sembra dire, godiamocele (sembra poco, ma per molti è
una violenza: il rifiuto – il rifiuto di sé – è invincibile)..
Carmine Abate, Il
bacio del pane, Mondadori, pp. 175 € 12
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