Fa trent’anni questo saggio inascoltato, che ora si può leggere online.
Ma sembra oggi, già alle prime righe: “Ci si agita molto attorno all’Irpef”, e
attorno all’“evasione, elusione, erosione”, il governo si agita ma non prende
provvedimenti risolutivi, e il debito cresce, insieme con le tasse.
Non è un paradosso, è un errore e una colpa. Giorgo Fuà, uno degli
economisti più innovativi, collaboratore di Gunnar Myrdal, Adriano Olivetti,
Enrico Mattei, fondatore dell’Istao a Ancona, incubatore della managerialità “a
cespuglio”, o modello marchigiano, proponeva allora una diversa modulazione del
prelievo: meno imposta sul reddito, più imposte indirette, in linea con gli
orientamenti socialisti europei degli anni 1970-1980. Coadiuvato da Emilio
Rosini, professore di Scienza della Finanze e all’epoca consigliere di Stato. Di
suo argomentava che “l’origine prima dei mali” era - è – “la eccessiva
dimensione assunta dalla fnanza pubblica nel suo complesso”. Che non produce
reddito e lo brucia sempre più.
A specchio, il presidente della Banca d’Italia, Visco, lo ribadiva
qualche mese fa, a fine settembre, commemorando Luigi Spaventa: “La crescita
del debito pubblico fu il risultato dell’incapacità di rimuovere i gravi e
crescenti squilibri fiscali determinatisi negli anni Settanta e Ottanta”.
Determinatisi, cioè, per l’eccessiva imposizione fiscale. Che non è, anche se
lo sembra, un problema dell’uovo e la gallina. Oggi – paradosso aggiunto al
paradosso – lo Stato spende di più mentre taglia tutte le spese produttive,
specie di servizi, la scuola, la sanità, i trasporti. Ma non si tratta di
paradossi.
Fuà e Rosini, Troppe tasse
sui rediti, free online
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