È uscita infine anche in Italia due anni fa, nel
mentre che se ne preparava l’edizione in francese, l’“Intervista” che il 27
gennaio 1983 Primo Levi aveva avuto con Anna Bravo e Federico Cereja, due
storici. Quattro anni prima della decisione di farla finita. Il titolo francese,
“La zona grigia”, sembra anche più pertinente. Il testo Einaudi l’edizione
francese fa precedere ad una prefazione di Carlo Ginzburg, “Calvino, Levi e la
zona grigia”, in cui lo storico riprende “Un dialogo”, il suo libro di colloqui
con Vittorio Foa dieci anni fa, della “zona grigia” che non è un giudizio, né
un fatto etico, ma una categoria analitica, descrittiva, una rilevazione.
Fra i tanti aspetti di Levi scrittore, c’è questo,
insiste Ginzburg: “La ricostruzione di Auschwitz come una gigantesca esperienza
biologica e sociale”. In qualità di chimico, qui delle pulsioni, estraendone
“ciò che può esserci di più rigoroso come campo di sperimentazione per
determinare ciò che c’è d’innato e ciò che c’è di acquisito nel comportamento
dell’uomo confrontato alla lotta per la vita”. Laboratorio di sperimentazione
“rigoroso” forse no, ma non c’è bisogno di essere pilateschi: è vero che Levi
era ed è restato un ricercatore, ma sulla vita nel lager da testimone del fatto, dopo esserne stato vittima. Tutto
questo non è senza importanza per lo storico, non dovrebbe.
L’intervista è tutta da scoprire – è ben un inedito. È
appesantita dagli interventi dei curatori, che
intervistarono Levi nell’ambito di una
ricerca sulla memoria della deportazione, condotta in Piemonte a partire
dal 1982. Ma Levi, benché pressato, se non contestato, non si sottrae. Nella ricerca,
“oltre 10 mila cartelle raccolte”, confluiranno 220 testimonianze, che danno
una realtà composita del fenomeno: “Una metà”, dice Cereja (lo storico nel
frattempo è deceduto), erano “prigionieri politici, poi ci sono molti militari,
sbandati, rastrellati anche”, per rastrellati intendendosi sopratutto operai al
lavoro obbligatorio.
“Zona grigia” è un concetto di Primo Levi. Qui
anticipato, verrà trattato ne “I sommersi e i salvati”, quindi nel 1986, un
anno prima del suicidio - “La zona grigia” è il secondo capitolo del saggio-rrievocazione. Si riferisce ai prigionieri collaboratori: “La classe ibrida dei prigionieri-funzionari
costituisce l’ossatura del Lager, e insieme il lineamento più inquietante”. Con
un potere “sostanzialmente illimitato” sulle vite degli altri prigionieri. Non
una nozione vaga di passività, rassegnazione, disimpegno, quale la zona grigia
è passata frequentemente a denotare, ma un fatto preciso, di mors tua vita mea. E riguarda tutti gli
internati, compresi gli ebrei, Kapò o Sonderkommando,
e i comunisti delle furerie e le infermerie. Il saggio di Anna Bravo che chiude
la pubblicazione ne dà le coordinate. Basta ricordare che, come la precedente “banalità
del male”, la “zona grigia” ebbe un’accoglienza largamente ostile, perché
dirompente: rompeva le certezze rituali, di qua il bene di là il male. Anche
nell’Olocausto. “Questo è un argomento veramente ustionate”, Levi ripete: “Io rimango atterrito davanti a questa
faccenda”.
L’“Intervista”, due ore e mezza di conversazione, si
chiude con la testimonianza più originale, anche per la storiografia, e meno
rilevata: la “selezione” a opera talvolta degli stessi internati, in questo
caso i “politici”, del partito Comunista: “E quindi credo che dovesse essere pure
ammesso questo fatto, che potesse essere condannato a morte uno qualunque per
salvare uno di loro. Non mi sembra più… non mi sembra una cosa così… così
mostruosa”. Per trenta e più anni, però, sì, gli è sembrata mostruosa, si
arguisce dal tono di rassegnazione. E anche da questa resipiscenza morale, questo
adattamento: uno come Primo Levi non poteva che vergognarsene.
Il suicidio, a differenza delle sentenze, si può solo
rispettare e non commentare. Ma Primo Levi non mancava di ragioni – a partire
dal rifiuto che gli fu a lungo opposto di “Se questo è un uomo”, un capolavoro.
Era del resto il non-eroe: non politico, non tragico, non storico, non filosofo.
Un sopravvissuto. Un uomo pratico, e uno scrittore. Rileggendo la trascrizione
a distanza di trent’anni, è il tono che insistente colpisce, specie di fronte
alla semplicità, aggressiva, degli storici che lo intervistano. È onesto.
Anna Bravo-FedericoCereja (a cura di), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, pp. 93 € 10
Primo Levi, La
zone grise, Payot, pp. 160 € 16
Anna Bravo-FedericoCereja (a cura di), Intervista a Primo Levi, ex deportato, Einaudi, pp. 93 € 10
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